Ferraris-Asproni

Eugenio Ferraris Direttore di Monteponi

Dagli studi alla Direzione della Monteponi

Erminio Ferraris (fig. 1) nasce a Ronco Scrivia (GE) il 15 febbraio 1852 da Luigi, ingegnere ferroviario, e Giuseppina Defiori.

Completati gli studi medi, orientati in ambito fisico-matematico, si trasferisce in Sardegna per lavorare come tecnico presso le miniere di Masua e Malacalzetta.

Qui, affascinato dal lavoro minerario per cui si ritiene portato, decide di approfondire gli studi nel campo e si iscrive alla scuola mineraria di Freiberg [1]  dove, nel 1873, consegue la laurea in Ingegneria mineraria.

Sempre affamato di conoscenze, una volta laureato si trasferisce a Zurigo dove perfeziona le sue competenze tecniche lavorando presso la Società di Ingegneria e Costruzioni Meccaniche Escher Wyss e C.

Tornato in Sardegna, nel 1875, a soli 23 anni, diventa Direttore di Monteponi, con Montevecchio l’altra miniera sarda di importanza europea per la produzione di minerali di piombo e zinco, dove resterà fino alla morte (29 settembre 1928) operando anche come Amministratore Delegato e Presidente.

Lontano dalla vita avventurosa di Giovanni Antonio Sanna, meno implicato del quasi coetaneo Alberto Castoldi nella gestione proprietaria della propria Società e nell’attività politica, il Ferraris fu soprattutto un geniale ingegnere minerario, capace di continuare l’opera già iniziata dall’ingegner Adolfo Pellegrini, Direttore dal 1861 al 1875, e fare uscire definitamente la miniera di Monteponi da un passato caratterizzato da tecniche estrattive e organizzative antiquate.

Oltre agli interventi particolarmente significativi nel campo dell’eduzione delle acque e del trattamento dello zinco, di seguito approfonditi, al Ferraris si devono numerose migliorie tecniche e organizzative in tutti i campi dell’attività della miniera: 



Fig. 1 – Erminio Ferraris

Durante tutto il periodo della sua Direzione fu coadiuvato dall’avvocato Roberto Cattaneo, suo patrigno e sponsor, che dal 1874 era stato chiamato a gestire la parte amministrativa della miniera, avendo un ruolo estremamente importante soprattutto nella vicenda della cessione della miniera, che dalla proprietà demaniale dello Stato passa a quella della Società Monteponi con atto d’acquisto del 22 dicembre 1879, ratificato l’anno successivo.

Nella decisione favorevole al passaggio fu decisivo l'intervento di Quintino Sella nella seduta parlamentare del 21 marzo 1879.


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[1] La stessa dove due anni dopo si diplomerà Aberto Castoldi.

L'impianto di eduzione delle acque

Con il passaggio di proprietà la Società ha piena disponibilità a tempo indeterminato della miniera ed è, così, in grado di reperire sul mercato e ammortizzare l’ingente quantità di denaro necessaria a risolvere un grave problema, che ostacolava la coltivazione mineraria e che la precedente gestione Pellegrini aveva già iniziato ad affrontare, con risultati solo parzialmente positivi: l’eduzione delle acque di falda che allagavano i cantieri minerari.

Il giacimento di Monteponi, diversamente da quello di Montevecchio ─  che è di età Permo-Carbonifera (300 Ma ca.), di origine filoniana idrotermale e inserito all’interno di formazioni filladiche e scistose generalmente impermeabili ─ ha origine esalativa sedimentaria, struttura colonnare con sviluppo verticale di oltre 600 m e, soprattutto, è inserita nella formazione calcareo-dolomitica di Gonnesa (Cambriano inf., 540 Ma ca.), sede della falda acquifera che alimenta la Sardegna sud-occidentale.

Di conseguenza, la geometria del giacimento e la sua posizione all’interno di una formazione calcarea acquifera, faceva sì che, a parte i primi cantieri al di sopra della quota naturale della falda (70 m s.l.m.), la coltivazione avvenisse all’interno della stessa con i conseguenti gravi problemi che, come detto, l’ingegner Pellegrini aveva cercato di risolvere con la soluzione classica: aspirare l’acqua dai cantieri e pomparla in una galleria di drenaggio.

A tale scopo nel pozzo Sella, posto a 213 m s.l.m. e profondo 145 m per una sezione di 6x3 m, venne quindi ubicato un impianto di eduzione di grande capacità, costituito da due pompe a vapore di 500 CV ciascuna, con una prevalenza di 72 m e una portata edotta totale di 300 l/s, molto elevata per quei tempi ma sottodimensionata ai fini di una soluzione definitiva della questione.

Il sistema, con scarico nella galleria S. Severino a 142 m s.l.m., entrò in funzione a fine 1874 e operò con varie interruzioni fino al 1881, stabilizzando il livello della falda a +61,50 m s.l.m., con un abbassamento di 8.50 metri che, però, si rivelò insufficiente.

Pertanto, quando Erminio Ferraris assume l’incarico di Direttore il problema dell’allagamento dei cantieri è ancora tutto da risolvere.

Il Ferraris e i suoi tecnici pensano a una soluzione radicale, semplice e geniale ma anche molto costosa, soprattutto per una concessione trentennale (1850÷1880) ormai vicina alla scadenza: lo scavo di una galleria di scolo, al livello più basso possibile, in maniera tale da drenare tutte le acque del bacino direttamente al mare.

Facendo leva sul fatto che tale intervento avrebbe procurato giovamento a tutte le miniere dell’area, anch’esse immerse nella falda acquifera, e grazie all’intervento in favore da parte di Quintino Sella (§ 13.4.2), il Cattaneo riesce a ottenere la cessione della miniera alla Società Monteponi, ratificata con Legge 2 maggio 1880.

Nello stesso anno inizia, quindi, lo scavo della galleria di drenaggio, intitolata a Umberto I, con andamento SW-NE, per una lunghezza di 5,962 m dalla palude Sa Masa presso Fontanamare (Gonnesa) alla miniera di Monteponi.

L’8 marzo 1885, alla progressiva 4,161, viene intersecato il contatto scisto-calcare con conseguente venuta d’acqua di circa 380 l/s e abbassamento del livello delle acque nella miniera di Monteponi a quota 55.50 m s.l.m., sceso ulteriormente all’equilibrio a 49.50 m.

Per aumentare ulteriormente il deflusso, nel 1889 si decide di prolungare la galleria, riprendendo lo scavo e incontrando il 2 agosto dello stesso anno, nella dolomia gialla alla progressiva 4,264, una spaccatura di notevoli dimensioni, denominata “Gran Sorgente”, con la fuoriuscita di una elevatissima portata d’acqua: 3,600 l/s nelle prime 24 ore, stabilizzatasi a 1,400 l/s dopo 5 mesi, con relativo abbassamento del livello delle acque in tutto il bacino del metallifero iglesiente, fino alla quota 23.75 m s.l.m. raggiunta nel 1890, abbassata ancora a 13.50 m s.l.m. nel 1892 in seguito a un ulteriore prolungamento della galleria e all’allargamento della “Gran Sorgente”, livello mantenuto per i successivi 30 anni con un deflusso dalla galleria di scolo di circa 1,000 l/s (fig. 2).

A lavori ultimati, la galleria presentava una sezione libera di 5.31 m2 per uno sviluppo complessivo di 5,874 m fino al pozzo Vittorio Emanuele.

A partire dagli anni ’20 del XX secolo, quando i cantieri minerari scesero sotto il livello del mare, il sistema, pur mantenendo la stessa logica, venne ampliato realizzando gallerie di scolo e di pompaggio  (fig. 3) nella galleria Umberto I, a livelli via via più bassi, secondo lo schema in tab. 1



Fig. 2 - Sbocco delle acque di eduzione nella galleria di scolo di Monteponi 

Fig. 3 - Una camera di pompaggio dell'impianto di eduzione di Monteponi

Tab.1 - Articolazione del sistema di eduzione delle acque di Monteponi

Il trattamento dei minerali di zinco

Nel 1526 «un medico e alchimista... proveniente dalla Svizzera, il saccente e lunatico che si è cambiato il nome in Paracelso, osserva con attenzione il precipitato argenteo che si è formato all’interno del forno di fusione. Da almeno quindici secoli tutti pensano che esistano solamente sette metalli (oro, argento, rame, ferro, stagno, piombo e mercurio), ma forse ce ne sono altri... Forse questo strato di polvere sottile, proveniente da pietre calaminari polverizzate e incandescenti, era qualcosa di più del colorante mescolato per secoli al minerale ramifero per ottenere il “rame giallo”, l’ottone... Forse è esso stesso un metallo... Non gli crederanno, ormai cominciano a considerarlo il pazzo più pericoloso d’Europa... Vede la forma appuntita dei cristalli e pensa a parole tedesche... Alla fine opta per Zink, picco. È leggero, facile da lavorare e non arrugginisce... Però... ha un grande inconveniente... evapora rapidamente, a 907°C» [2] confrontato con gli altri metalli, tutti con temperatura di ebollizione abbondantemente sopra i 2000°C.

Per questo motivo i fabbri lo hanno ignorato per secoli: quando nelle fonderie si raggiungevano alte temperature, necessarie per le reazioni di riduzione dei metalli, lo zinco evaporava ed era eliminato insieme agli altri gas di combustione.

Mentre in India e in Cina era stato trovato un modo di estrarre lo zinco puro già tra il XIV e il XVII secolo, in Europa occorrerà aspettare il 1809 [3], quando il chimico di Liegi Jean-Jacques Dony costruirà la prima fonderia industriale utilizzando il processo da lui messo a punto, denominato “Belgian retort process”, che riprendeva sostanzialmente il processo indiano e che rimase il metodo prevalente di estrazione dello zinco puro fino alla metà del XX secolo.

A partire dall’uso di questo processo nello sfruttamento della miniera di calamina di Altenberg, nel triangolo di confine Belgio-Olanda-Germania, nel 1837 venne fondata la Société Anonyme des Mines et Fonderies de Zinc de la Vieille Montaigne che, in pochi decenni, diventò la prima produttrice mondiale di zinco e partecipò, a cavallo tra XIX e XX secolo, alla gestione di numerose miniere nell’Iglesiente e nella provincia bergamasca.

Tornando alla Monteponi gestita dal Ferraris, con RD del 19 agosto 1876 la concessione viene estesa alla coltivazione dei minerali dello zinco, che a Monteponi erano principalmente calamine carbonatiche (Smithsonite --> ZnCO3), a basso contenuto di Zn non arricchibili con la normale preparazione meccanica.

In previsione di questa estensione, già dal 6 gennaio di quell’anno il Ferraris aveva presentato alla Prefettura di Cagliari la richiesta di autorizzazione per la realizzazione di un progetto per una nuova fonderia, che aveva già ottenuto il favore del Conte Baudi di Vesme, presidente della Monteponi.

A causa della difficile congiuntura per il mercato del piombo e dello zinco il progetto viene, però, momentaneamente accantonato e sostituito da un trattamento termico (calcinazione) e una separazione magnetica dei composti del ferro presenti.

La calcinazione avveniva in forni a tino o tubolari rotativi mischiando carbone al minerale. I carbonati, in assenza d'aria, venivano così ridotti con emissione di CO2. Per la conseguente perdita di peso, aumentava il tenore in Zn della calamina calcinata rispetto alla calamina "cruda", che, eliminando i calcari e le dolomie cotte delle ganghe, poteva raggiungere il 35%.

Sempre per migliorare il rendimento del trattamento dei minerali, sotto la direzione del Ferraris vengono realizzate le laverie Vittorio (1884) e Calamine (1887).

Nel 1899 arriva in miniera Francesco Sartori, altro grande ingegnere minerario con un grande futuro proprio nella metallurgia dello zinco, che nel 1907 sostituirà come Direttore il Ferraris, il quale però, come già ricordato, rimarrà in Monteponi assumendo la carica di Amministratore Allegato nel 1911 e di Presidente nel 1926.

Con lo scoppio della 1a Guerra Mondiale e la conseguente interruzione delle importazioni da Belgio e Germania dello zinco necessario per l’industria bellica nazionale, il Ministero della Marina chiede alla Monteponi di avviare un impianto per la fusione dei minerali della Sardegna.

In breve tempo, la collaborazione tra Ferraris e Sartori fa sì che venga realizzato, presso la stazione ferroviaria, un impianto di produzione dell’ossido di zinco, mentre contemporaneamente a Vado Ligure viene costruita una fonderia per la produzione dello zinco metallico con il processo belga-slesiano messo a punto dal Dony.



Fig. 4 - Edificio dell'impianto elettrolitico a Monteponi oggi

Fig. 5 - Interno dell'impianto elettrolitico di Monteponi nel 1967 (Ufficio fotografico Montedison)

Infine, con la collaborazione dell’importante chimico Prof. Livio Cambi, preside della facoltà di scienze dell'università di Milano, nel triennio 1923÷1926 viene costruito il primo impianto elettrolitico sardo per la produzione di zinco a partire da calamine ferruginose a prevalenza carbonatica (Smithsonite, ZnCO3), rimasto in funzione fino al 1983 (figg. 4-5).

Due anni dopo l’inaugurazione dell’impianto elettrolitico, il 29 settembre 1928 Erminio Ferraris muore a Zurigo dopo una lunga malattia.

Come già era avvenuto più di 20 anni prima, viene sostituito nel ruolo di Presidente dall’ing. Francesco Sartori.

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[2] David Van Reybrouck: Zinco – Pagine d’Arte (2018)

[3] Già nel 1746, tuttavia, il chimico berlinese Andreas Sigismund Marggraf aveva proposto un metodo per l’estrazione dello zinco per riduzione delle calamine con polvere di carbone

Bibliografia


Giorgino Asproni Direttore e Impresario minerario

Dalle origini alla Direzione di Montevecchio

Giorgio Asproni (fig. 6), detto “Giorgino”, nasce a Bitti il 3 novembre 1841 da Giovanni, fratello di Giorgio Asproni, noto politico sardo della Sinistra Storica, parlamentare dal 1849 al 1876, prima del Regno di Sardegna e poi, dal 1861, del Regno d’Italia.

La cultura del paese d’origine determinerà il suo carattere barbaricino, duro e intransigente, ma l’economia di tipo agricolo e pastorizio non susciterà il suo interesse più orientato all’attività mineraria, grazie anche alle sollecitazioni del famoso zio, già interessato in affari minerari e grande amico e sodale di Giovanni Antonio Sanna, il proprietario della miniera di Montevecchio, dove Giorgino inizierà la sua carriera di Direttore minerario.

Sostenuto dallo zio Asproni, studia dapprima a  Sassari, dove ottiene il diploma ginnasiale nel 1859, poi a Genova, dove si laurea in matematica due anni dopo.

Sempre con il sostegno dello zio,  si trasferisce, quindi, a Torino per seguire un corso biennale di approfondimento, al termine del quale consegue anche la laurea in ingegneria.

Sollecitato dallo stesso Quintino Sella, nel 1864 fa un ulteriore passo avanti con l’ammissione, alla scuola francese di Saint-Ètienne, dove ottiene la specializzazione in arte mineraria.

Tornato in Sardegna, nel 1866 Giovanni  Antonio Sanna, consigliato dall'Asproni zio, suo amico e socio dell'Anonima Montevecchio, lo nomina Direttore della miniera di Montevecchio.

Nei primi diciotto anni di attività, la miniera, pur affermandosi come sicura realtà, produttiva, aveva avuto una storia travagliata per le continue beghe tra proprietà e gerenza.

Dopo l'esperienza della Direzione Galletti e della Gerenza Massone (1851-1862) caratterizzata da un sistema di coltivazione "a rapina", tutta indirizzata all’estrazione nelle zone ricche e completamente disinteressata alla ricerca e all’innovazione, nel 1862 era stato nominato Direttore della miniera quell'Eugenio Marchese, studente, amico e futura guida di Quintino Sella nel suo viaggio ispettivo in Sardegna del 1869.

Il Marchese, già a capo dell’Ufficio di Iglesias del Corpo delle Miniere, non aveva potuto fare molto anche perché era entrato in carica in una fase di precarietà della gerenza, stretta tra la gestione ormai agli sgoccioli del Massone, quella ad interim del successore Carlo Valle e la nomina di Francesco Michele Guerrazzi, detto “Cecchino”, senza esperienze precedenti nel campo e in carica solo in quanto genero di Giovanni Antonio Sanna, avendone sposato la figlia Amelia.

Giorgino Asproni assume la direzione in questo contesto e si scontra subito con la gerenza di Cecchino Guerrazzi.

I due sono profondamente diversi per carattere, formazione e interessi: Cecchino attento in particolare agli aspetti economici, soprattutto quelli personali, e preoccupato della concorrenza del secondo nelle simpatie del Sanna [4]; Giorgino volto principalmente alla parte tecnica, competente, rigoroso e profondamente legato al Sanna.

Assunta la carica di Direttore e con l’appoggio del Sanna, Giorgino Asproni dà subito avvio ai lavori di ricerca di nuove zone mineralizzate e alla preparazione dei nuovi cantieri.

Il risultato è particolarmente soddisfacente, visto che la produzione media annua di galena passa da 3,160 tonnellate nel decennio 1856÷1865 alle 5,560 del decennio 1866÷1875 della sua direzione, con un aumento del 75.95%.

Oltre alle nuove ricerche, l’Asproni si adopera per migliorare tutti gli aspetti dell’attività della miniera: organizzazione dei cantieri, collegamento tra i vari livelli, nuovi sistemi di eduzione delle acque, introduzione delle migliori tecnologie disponibili, realizzazione della strada di collegamento della miniera con Guspini, miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli operai, il cui orario fu ridotto a 8 ore a turno per gli interni, 10 ore per gli esterni.

Particolarmente significativa è l’attività svolta per migliorare la fase di trattamento ed arricchimento dei minerali estratti.

In questo ambito, alla vecchia laveria Rio in funzione dal 1853 l’Asproni decide di affiancarne altre tre, una per ciascuna delle tre concessioni in cui era suddivisa la miniera:

Anche l'Ospedale e la Palazzina della Direzione furono iniziati da Giorgino Asproni e completati dal Castoldi, nel 1875 e 1878 rispettivamente.

Anche Quintino Sella, che visita la miniera nel 1869, riconosce le sue capacità: «Debbo citare con encomio le opere dell’ingegnere Asproni, e lo ricordo con molta soddisfazione poiché egli è sardo e dimostra coll’esempio l’utilità che vi ha pei sardi nel rivolgersi agli studi minerari...» [5].

Nel biennio 1868-1870, caratterizzato dalla controversia Sanna-Guerrazzi, l'Asproni, come detto legato al Sanna, dapprima si dimette, sostituito dall'ingegner Lorenzo Chiostri, uomo dei Guerrazzi, per poi riassumere la carica di Direttore quando la controversia ha termine con la totale vittoria del Sanna.

Con il ritorno dell'Asproni, la produzione scesa sotto le 5,000 tonnellate (4,350 nel 1872) ritorna sopra le 7,000 nel 1875.

Purtroppo, quest'ultimo periodo della Direzione Asproni è caratterizzata anche da un gravissimo incidente [6], il più grave tra quelli verificatisi all’esterno della miniera e che colpì solo la manodopera femminile (vedi riquadro).

Il 14 aprile 1872 Giorgino Asproni entra ufficialmente a far parte della famiglia Sanna sposando Giuseppina Mari, la nipote di Giovanni Antonio, figlia della sorella Francesca e di Carlo Mari, parlamentare e insigne ufficiale medico della Marina.

Non sarà, com’era usanza del tempo, un matrimonio solo di convenienza ma soprattutto d’amore, allietato dalla nascita ben nove figli, sette femmine e solo due maschi.

L'anno successivo la Società Montevecchio offre all’Asproni un contratto per il prolungamento di 10 anni del suo ruolo di Direttore.

Nonostante ciò, l’Asproni decide di dimettersi dalla miniera alla morte di Giovanni Antonio Sanna, avvenuta il 9 febbraio 1875, ritenendo che questo luttuoso evento sancisse la rottura definitiva del suo legame con la miniera.

Lo sostituirà nel 1877, in continuità di gestione, l’ingegnere Alberto Castoldi, altro genero del Sanna di cui aveva sposato l’ultima figlia Zely.

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[4] Nel 1863 Giovanni Antonio Sanna aveva tentato di combinare il matrimonio tra la figlia Amelia e Giorgino, senza riuscirci per la preferenza di Amelia verso Cecchino. Il Sanna tornerà alla carica qualche anno dopo cercando di combinare il matrimonio di Giorgino con la terza figlia Enedina, ma in questo caso a non essere d’accordo fu Giorgino.

[5] E' in quest'occasione che il Sella matura l'idea della Scuola mineraria di Iglesias, proposta nella sua Relazione alla Camera, e istituita con RD 10 settembre 1871.

Dapprima ospitata presso l'ex convento di San Francesco, si traferì nel 1911 nell'attuale edificio (fig. 7) costruito su iniziativa di Giorgino Asproni a cui poi la Scuola fu intitolata.

[6] Bisogna sottolineare che, nella circostanza, il comportamento della Direzione fu assolutamente inadeguato alle terribili conseguenze dell’evento.

La Direzione, infatti, si scusò formalmente ma, pur assicurando il ricorso alle massime misure di sicurezza possibili, ripristinò le condizioni preesistenti all’incidente, rinnovando i rischi connessi alla presenza di un grande serbatoio d’acqua a monte di un dormitorio.



Fig. 6 - Giorgino Asproni

Fig. 7 - Scuola mineraria Giorgio Asproni a Iglesias

L'avventura tunisina di Djebel Ressas

Djebel Ressas (“montagna di piombo”) è un picco calcareo di età giurassica localizzato 25 km a SSE di Tunisi (fig. 8).

Come rivela il suo nome, al suo interno sono presenti mineralizzazioni di piombo coltivate fin da epoca romana, ma poi abbandonate fino al XIX secolo quando, dopo varie vicissitudini, la concessione passa nelle mani di Pietro Ghiani Mameli, parente dello stesso Asproni, direttore della Cassa di Risparmio di Cagliari e fondatore della Società mineraria e metallurgica italiana.

Secondo le misurazioni effettuate dall’ing. Melis, pioniere delle ricerche minerarie, nella zona erano presenti e recuperabili molte migliaia di tonnellate di scorie lasciate dalle precedenti coltivazioni.

Per valutare meglio la situazione il Mameli, con l’appoggio di Quintino Sella e del Governo italiano, interessato a stabilire una testa di ponte in Tunisia come freno alle mire espansive francesi, invia sul posto Giorgio Asproni, che conferma le valutazioni del Melis e propone di installare in prossimità della stessa area mineraria una fonderia, per ridurre i costi di trasformazione e trasporto.

Quando sembra in dirittura d’arrivo un accordo tra Società concessionaria e Governo italiano per il finanziamento dello sfruttamento, nel 1881 la situazione precipita a causa dell’occupazione della Tunisia da parte delle truppe francesi e della concomitante caduta del Governo Cairoli.

Anche i risultati della fusione delle scorie danno risultati inferiori alle attese, soprattutto per la la scarsa esperienza delle maestranze di fonditori.

La vicenda si chiude il 25 giugno 1887 con il decreto di fallimento del Credito Agricolo Sardo che aveva finanziato l’impresa e con l’arresto e la condanna a 10 anni di Pietro Ghiani Mameli.

Giorgio Asproni torna in Sardegna profondamente deluso da una vicenda in cui aveva molto creduto, il cui fallimento egli attribuisce al Governo.

Ancora molti anni dopo nel 1934, in una lettera a Mussolini confessa il suo dispiacere per il cattivo esito della vicenda:



Fig. 8 - Il picco di Djebel Ressas

«...quando il ministro Sella mi fece inviare dal governo di allora in Tunisia, dove ebbi la fortuna di scoprire tutta una fioritura di miniere che, purtroppo, per l'insipienza di un nostro uomo di Stato caddero con quella regione sotto il dominio della Francia. Con quanto accoramento del Sella non potrei dire! Demolito anch'io per la facile sconfitta onde la Francia ebbe ragione di noi che pur tante dolorose conseguenze recò all'Italia nostra, feci ritorno in Sardegna la nostra bella terra.»

La proprietà di Seddas Moddizzis

L’area dell’Iglesiente è interessata sin dall’antichità dalla ricerca e coltivazione del piombo, tanto che nella “Breve” di Villa di Chiesa di Sigerro (fig. 9) pubblicato nel 1327, vero e proprio Statuto della Città di Iglesias, gli estensori dedicarono l’ultimo dei 4 libri che lo compongono alle disposizioni [7] per le attività delle Compagnie di minatori (communi).

Nel censimento Ispra delle miniere sono ben 51 le concessioni attivate e operanti in età unitaria nell’area tra Iglesias e Gonnesa (fig. 10).

Tra queste vi è quella denominata “Seddas Moddizzis”, concessionata il 12 settembre 1877 agli eredi della società costituita da piccoli imprenditori e possidenti locali [8], che avevano iniziato le ricerche già dal 1868.

A Giorgio Asproni i nuovi concessionari affidano il compito di consulente tecnico per le operazioni di definizione della superficie concessionata, stabilita in 177 ettari per una tassa annua di 88.50 lire.

I lavori di estrazione però non partono per le titubanze dei soci, preoccupati dai costi ritenuti superiori ai relativi ricavi.

Il 7 novembre 1880 un’ispezione del Corpo delle Miniere dichiara lo stato di abbandono della miniera, che durerrà fino al 1885 quando lo stesso Asproni, tornato deluso dall’esperienza tunisina, decide di occuparsene di persona.

Da un punto di vista minerario l’area concessionata era mineralizzata in prevalenza da calamine zincifere, considerate all’epoca come parenti povere dei minerali di piombo.

Del resto, la riduzione dello zinco allo stato puro era una scoperta recente, almeno in campo europeo, risalendo al 1809 con la definizione del processo di Dony, che però non ottenne successo fino alla costituzione della Société Anonyme des Mines et Fonderies de Zinc de la Vieille Montaigne nel 1837.

Tuttavia, già nel 1976 il Ferraris, Direttore della miniera di Monteponi, aveva messo a punto un progetto di trattamento delle calamine zincifere per le quali aveva ottenuto l'estensione della concessione di coltivazione, aprendo nuove prospettive di sviluppo della produzione di zinco.

In questo contesto, Giorgio Asproni "fiuta l'affare" e convince i concessionari a cedergli la miniera in locazione per 5 anni estensibili a 11, pagando un canone per tonnellata di calamina calcinata, variabile in 8, 5 e 4 lire a seconda che sia in roccia, terra ricca e terra povera rispettivamente.

Ottenuta la gestione della miniera, Asproni si adopera da subito a renderla operativa e produttiva dotandola delle infrastrutture necessarie alla coltivazione, a partire dalla costruzione di una strada per il trasporto dei minerali con i carri fino all’imbarco di Funtanamare.

Facilitata dagli scavi "a cielo aperto", la produzione di calamina del quinquennio 1885÷1890 supera le 13,000 tonnellate con una manodopera di 245 unità.

Poiché alle mineralizzazioni di zinco erano spesso associate quelle di piombo, nel 1902 l’Asproni chiede l’estensione della concessione alla coltivazione dei relativi minerali, estensione concessa con RD del 24 dicembre 1908 con ampliamento della superficie a 180.48 ettari.

Intanto, tra il 1905 e il 1911, l'Asproni completa l'acquisto delle quote societarie dei vari concessionari diventando proprietario unico della miniera.

Superato indenne il periodo della 1a guerra mondiale grazie alle commesse belliche e alla scoperta di nuove aree mineralizzate a galena, la miniera subì la crisi post-bellica come tutto il comparto minerario sardo, passato da una manodopera prebellica di 13,000 unità alle 5,680 del del 1921 (-56%).

Per superare la crisi Asproni chiede un finanziamento nell’ambito della cosiddetta “Legge del Miliardo” con cui, nel 1924, il governo fascista si proponeva di rilanciare le attività economiche dell’isola.

Tuttavia, l’esiguità della somma concessa, 170,000 lire, insieme alle condizioni imposte, tra cui il reintegro del 15% dei minatori, finiscono per aggravare la situazione.

Dopo la promulgazione del RD 29 luglio 1927 n. 1443 (Norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere nel regno), l’Asproni chiede la conferma in perpetuo della concessione, che viene concessa con DM 22 novembre 1930.

L'esplosione della grande crisi del 1929, però, rischia di dare un colpo definitivo alle sorti della miniera, tanto che nel 1934 l’Asproni si rivolge con una lettera direttamente a Mussolini, perché interceda al fine della concessione della somma di un milione di lire per consentirne la riorganizzazione e l’ammodernamento, nell’ambito dei RRDDLL n. 692 del 30 maggio 1931 e n. 672 del 20 maggio 1932 che prevedevano sostegni economici alle miniere.

La lettera, che costituisce una sorta di testamento spirituale, termina con un retorico elogio al duce e al fascismo: «...Dalla vetta ormai trentennale di quest'ultimo baluardo, che conobbe e sentì nelle sue viscere le scosse prodigiose di centomila esplosioni a nome mio e dei trecento lavoratori ammirati dal fatale glorioso ascendere del Vostro Destino e di quelli della Nuova Italia Fascista, Vi invio il più riconoscente ed augurale saluto.»

Un triste epilogo per chi veniva dalla storia dei Sanna, Asproni zio, Castoldi, Cocco-Ortu, quest’ultimo uno dei pochi liberali che nel novembre 1922 votò no alla fiducia al Governo Mussolini, dimettendosi dall'incarico di Presidente del Gruppo liberale.

La richiesta viene, però, osteggiata dall'ingegner Luigi Gerbella [9], capo del Distretto minerario e Preside della Scuola mineraria di Iglesias, che, dopo un'ispezione alla miniera, scrive: «... l’organizzazione tecnica, i mezzi di abbattimento e di trasporto sono ancora quelli di trenta anni fa, il Comm. Asproni data la sua tarda età non scende più in miniera da anni e la direzione dei lavori è praticamente affidata ad un sorvegliante...», dopo aver riconusciuto che «...non v’ha dubbio che il Comm. Asproni sia da considerarsi un benemerito dell’industria mineraria sarda e della regione in genere...», tuttavia sconsiglia «... il Ministro a versargli un milione di lire data la mia convinzione che questa somma sarebbe male amministrata e ciò per effetto di incompetenza in questioni minerarie delle persone che consigliano e aiutano l’ing. Asproni nell’amministrazione della miniera... [ritenendo] necessario nell’interesse stesso dell’ing. Asproni [che ormai ha 93 anni, ndr] di chiudere la miniera...».



Fig. 9 - Breve di Villa di Chiesa

Fig. 10 - Siti concessionati nel territorio dei comuni di Iglesias e Gonnesa

Come previsto dallo stesso Gerbella,  dato il suo carattere irriducibile Giorgio Asproni si ribella al giudizio richiamando il suo impegno nella difesa dell'occupazione, ipotizzando un complotto verso la sua persona e richiamando i suoi meriti di fascista, per cui il Regime «... non potrà tollerare... che un cittadino benemerito e che diede alla sua Patria quasi un secolo di onesta attività abbia da essere ingiustamente dimenticato.»

Ѐ l'ultima battaglia del bellicoso Asproni, che muore due anni dopo, il 6 marzo 1936 a quasi 95 anni, senza lasciare testamento e proprio quando il settore minerario sardo andava riprendendosi.

Con DM del 10 agosto 1936 le sue proprietà passano alla moglie Giuseppina Mari e ai suoi 9 figli, ma la miniera rimane poco produttiva fino al 1950, quando con DM 14 febbraio la concessione è affidata alla Società Monteponi, che la ammoderna, in particolare per quanto riguarda il trattamento dei minerali, con la costruzione di una laveria a flottazione.


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[7] Ѐ uno dei primissimi codici minerari italiani, preceduto solo dallo Statuto di Massa Marittima, pubblicato nel 1310. Si osserva che anche gli estensori del Breve erano toscani, per la precisone i pisani che all’epoca governavano il Sud Ovest della Sardegna.

[8] Si tratta di: Nicolò Coloru, Antonio Piras, Biagio Croso, Giovanni Piras, Emanuele Cicilloni, Luigi Orrù, Giovanni Serpi e Nicolò Ferracciu.

[9] Nominato nel 1939, «…per l'alta fama di singolare perizia cui è pervenuto nel campo degli studi minerari…», Professore di Arte Mineraria della Facoltà di Ingegneria Mineraria dell’Università di Cagliari. Autore nel 1937 di un fortunato Manuale di Arte Mineraria, molto usato anche nel dopoguerra.

Il Villaggio Asproni e l'Associazione Mineraria Sarda

Generalmente le miniere, in Sardegna come altrove, sono ubicate in località isolate, lontano dai centri abitati.

Monteponi, posta in prossimità dell'abitato di Iglesias, è un caso raro e, peraltro, dovuto proprio alla presenza di mineralizzazioni di piombo argentifero che nel XIII secolo, sotto la dominazione pisana, hanno portato alla formazione della città di Villa di Chiesa (Iglesias), proprio per incentivare lo sfruttamento delle ricche risorse argentifere del territorio.

Inoltre, soprattutto nel primo periodo, la gran parte della manodopera utilizzata nello sfruttamento minerario in Sardegna proveniva dalle regioni continentali, italiane e no.

Era forte, quindi, l’esigenza di costruire degli alloggi per consentire agli addetti alla miniera di poter lavorare; esigenza che valeva certamente per le maestranze non locali, ma che via via si era imposta anche per i dipendenti locali che, altrimenti, si sarebbero dovuti sobbarcare lunghi cammini, perlopiù a piedi, alla mattina e alla sera.

Dapprima questi insediamenti riguardavano solo i dipendenti delle miniere, ma in qualche caso si sono estesi anche alle loro famiglie  [10] diventando i nuclei di partenza di vere e proprie cittadine, spesso ridimensionate o del tutto abbandonate al termine delle coltivazioni [11].

Anche Seddas Moddizzis si trovava in queste condizioni, seppure in misura ridotta rispetto ad altre realtà (a 2 km ca. da Gonnesa e più di 5 km ca. da Iglesias), e Asproni decise di costruire abitazioni stabili nella parte pianeggiante dell’altipiano posto in località S. Giorgio.

Il risultato fu la creazione di un vero e proprio villaggio, il Villaggio Asproni (fig. 11), oggi ristrutturato e aperto alle visite del pubblico.

Il villaggio ospitava:


Nel villaggio  si trovava anche un'infermeria gestita dal medico condotto di Gonnesa, il Dr. Giovanni Lorefice, e una scuola che garantiva ai figli dei minatori un'istruzione gratuita fino alla seconda elementare.

Come avveniva anche in altre realtà minerarie isolate, il Direttore era una specie di governatore che si interessava a tutti gli aspetti della vita sociale, dalla sanità alla scuola, passando per gli approvvigionamenti, che potevano essere soddisfatti in uno spaccio di proprietà della miniera [12].

Questa tendenza ad essere “signore e padrone” arrivava al punto di opporsi alle ispezioni in miniera del Corpo delle Miniere e di rifiutare di sottomettersi alle regole stabilite in materia di sicurezza delle coltivazioni, non trovando su queste posizioni il sostegno dell’Associazione Mineraria Sarda, che pure aveva contribuito a far nascere nel 1896 e di cui fu primo Presidente.

Facendo parte dell’élite intellettuale e imprenditoriale di Iglesias, Asproni venne coinvolto nel gruppo di tecnici minerari che, il 22 dicembre 1895, il Direttore di Montevecchio, Soliman Bertolio, chiamò per rilanciare il progetto di costituire l’Associazione Mineraria Sarda, di cui già si parlava ai tempi della visita di Quintino Sella in Sardegna.

Dopo due mesi di vivaci discussioni, il 23 febbraio 1896, presso i locali della scuola mineraria, l’Associazione (fig. 12) venne costituita allo scopo di «favorire lo studio geologico dei minerali dell’isola ed intraprendere la pubblicazione di un’opera illustrativa delle miniere sarde» [13].

Giorgio Asproni ne fu Presidente in due occasioni, nel 1896 e nel 1902, svolgendo un ruolo importante nell'influenzarne le dinamiche.

Da un lato svolse un ruolo positivo, soprattutto in campo logistico.

A lui si  deve la promozione:


Politicamente, invece, svolse un ruolo di conservazione dello status quo, spingendo l'Associazione ad opporsi alla nuova legislazione mineraria [14] che, tra fine XIX e inizio XX secolo, tendeva a garantire la sicurezza dei lavoratori, limitando il grande spazio concesso alla classe imprenditoriale durante il processo di industrializzazione dei primi decenni dell’unificazione.

La sua tendenza a una gestione patriarcale delle miniere e il suo carattere ruvido poco disponibile a rapportarsi con altri poteri ebbe conseguenze nei rapporti tra l’Associazione Mineraria e il Corpo delle Miniere, i cui ingegneri rifiutarono di iscriversi all’Associazione, anche per mantenere una posizione terza tra imprenditori e minatori.

Asproni stigmatizzò questo comportamento, ritenendo che «...tutti gli ingegneri minerari dovrebbero far parte [dell'Associazione]. Queste nuove vedute non sono in armonia alle tradizioni antiche, le quali non erano completamente da abbandonare»

Durante i quaranta anni di attività nell’Associazione, egli lasciò un’impronta profonda, essendo per tutti i soci un punto di riferimento nel corso degli eventi che hanno fatto la storia dell’industria mineraria sarda.

Dopo la sua scomparsa, «l’Associazione che sorse per suo volere colloca Giorgio Asproni nella schiera degli ingegneri eletti in cui Sella, Marchese, Lambert, Ferraris hanno lasciato nobile impronta e tradizione».


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[10] Vedi il caso particolare dell’Argentiera.

[11] Il caso più eclatante è quello di Carbonia: voluta dal fascismo per ragioni propagandistiche e oggi in una crisi che pare irreversibile.

[12] In questo caso, però, non si può parlare di un vero e proprio truck system perché nel villaggio era presente anche un altro spaccio a gestione privata.



Fig. 11 - Foto del Villaggio Asproni

Fig. 12 - Membri dell’Associazione Mineraria Sarda: Asproni è il terzo da destra dei seduti

Fig. 13 - La palazzina liberty, sede sociale dell’Associazione Mineraria Sarda

Fig. 14 - Sede dell'Istituto Tecnico Minerario "Giorgio Asproni"

[13] Resoconto della riunione dell’A. M. S. del 23 febbraio 1896.

[14] Legge n. 184 del 30 marzo 1893 sulla polizia delle miniere; Legge n. 80 del 17 marzo 1898 (GU 75/1898) sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro; Legge n. 242 del 19 luglio 1902 (GU 130/1902), successivamente modificata con Legge n. 416 del 7 luglio 1907 (GU 163/1907) e a questa riunita con Regio Decreto n. 818 del 12 novembre 1907 (GU 12/1908), che unifica in testo unico la legislazione in tema di lavoro delle donne e dei fanciulli.

Bibliografia