Barite e Fluorite in Provincia di Trento

Geologia e giacimentologia

In fig.1 è mostrata la distribuzione territoriale, articolata a livello comunale, dei 16 siti di barite (13) e fluorite (3).

Fig. 1 - Distribuzione a livello comunale dei siti di barite e fluorite in Provincia di Trento

  • Miniere di barite

Presenti in particolare nei comuni di Storo-Condino, a SO della provincia trentina, le miniere di barite sono impostate su un giacimento filoniano, con direzione circa N-S, potenza di 20-30 m e giacitura da sub-verticale a leggermente immergente verso O, a barite dominante con quarzo, carbonati e tracce di pirite e calcopirite.

Il filone fa parte della serie vulcanico-sedimentaria della Formazione del Collio, collegata al vulcanesimo tardo-ercinico (Permiano inferiore, 290÷280 Ma), in particolare il Membro di Val Dorizzo, costituito da successioni vulcanoclastiche ed epiclastiche eterogenee, rappresentate da arenarie e siltiti con intercalazioni di piroclastiti con passaggio, verso l’alto, a conglomerati poligenici.

La barite che veniva prodotta, pari a circa il 20% del totale nazionale, era di alto pregio industriale, particolarmente pura (fino al 95-97% di barite) nel “Banco della Croce” nella miniera “Pice”.

  • Miniere di fluorite

Posta poco a monte di Cavalese, lungo la Val Gambis che sale verso il Passo Lavazzè, sui versanti meridionali e occidentali del Monte Prestavel, l'omonima miniera, la più importante di fluorite trentina, non solo dal punto di vista industriale ma soprattutto per il disastro del 19 luglio 1985, fu coltivata già nel XVI secolo a galena argentifera.

In tempi moderni e su scala industriale per l’estrazione fluorite, l’attività mineraria ebbe inizio nel 1935 in seguito al DM di concessione del 6 marzo per anni 50 a favore della Società Atesina Esplorazioni Minerarie (GU 118/1935).

La mineralizzazione, di genesi idrotermale a temperature variabili da meso a epitermale, è articolata in due corpi filoniani, che immergono di 65-70° verso ESE ed E, diretti N20÷25°E e N-S rispettivamente.

Tali filoni, incassati in ignimbriti riolitiche e attraversati da intercalazioni porfiritiche di età ladinica (238÷228 Ma), si sviluppano longitudinalmente per 2,000 m per un dislivello di oltre 350 m.

Alle prime deposizioni quarzoso-fluoritiche sono seguite deposizioni metallifere a calcopirite, tetraedrite, galena, blenda e altri minerali in tracce, secondo uno schema ciclico ripetutosi in più generazioni.

Per quanto riguarda i rapporti di giacitura e quantitativi, la mineralizzazione presenta:

  • una netta prevalenza della fluorite, in bande parallele e, talvolta, in forma brecciata cementata da quarzo microlitico, frequentemente e intensamente fratturata;

  • presenza costante di quarzo, in sottili vene parallele e, come detto, sotto forma di cemento microlitico della fluorite brecciata;

  • presenza discontinua di calcite, sotto forma di grosse vene parallele, spesso fratturate, più raramente in forma di venuzze sottili o di breccia con fluorite cementata da quarzo microlitico;

  • presenza di solfuri misti, prevalentemente galena con blenda associata, in quantità subordinata, e rare tracce di calcopirite.


Negli anni ’60 la coltivazione in miniera avveniva con il metodo del gradino rovescio con ripiena eseguita con materiale sterile proveniente da cave esterne o lavori interni di preparazione e ricerca.

Le gallerie di carreggio erano realizzate con una sezione adatta a ospitare un binario decauville (Fig. 18).

La miniera era dotata di un importante impianto di trattamento articolato in tre sezioni (frantumazione, macinazione e flottazione) e di un doppio bacino di decantazione delle torbide con sterile in uscita dalla flottazione, che fu all’origine del già citato disastro del 19 luglio 1985.


Evoluzione temporale dell'attività mineraria

In fig. 2 è rappresentata l'evoluzione temporale del numero di concessioni attive di barite e fluorite in Provincia di Trento.

L'istogramma mostra un andamento sostanzialmente gaussiano con un massimo di 14 siti negli anni ’60 e una sostanziale tenuta fino al 1985, anno della tragedia della miniera di Prestavel, seguita da una rapida diminuzione dei siti ancora attivi fino alla chiusura dell'ultima concessione (Marigole-Pice) nel 2009 per scadenza dei termini e alla dichiarazione di estinzione del giacimento con DGP del 15 settembre 2011.

Fig. 2 - Evoluzione temporale del numero di concessioni vigenti di barite e fluorite in provincia di Trento


La scoperta del giacimento di barite di Marigole, la più longeva delle miniere di Darzo (1894÷2009), frazione del Comune di Storo, avvenne appunto nel 1894 per merito di Giacomo Corna Pellegrini ─ imprenditore di Pisogne nella bresciana Val Camonica dove gestiva delle miniere di ferro e recuperava la barite quale minerale secondario ─ convinto di aver individuato un importante giacimento di ferro, i cui minerali sono spesso associati alla barite, affiorante in grande quantità nell'area.

La conseguente attività estrattiva provocò un'importante trasformazione economica, sociale e ambientale che proiettò progressivamente la comunità locale e i paesi circostanti dai ritmi e riti della società rurale al sistema di vita e di lavoro della civiltà industriale, riscattando anni di povertà, fame ed emigrazione verso l’America della fabbrica chimica di Solvay (New York), delle fonderie di Alliance (Ohio), delle miniere di carbone di Cambria (Wyoming), per citare le destinazioni più comuni.

Per molti anni la barite estratta fu lavorata in un piccolo opificio a Vestone, in provincia di Brescia; solo nel 1936 i Corna Pellegrini riuscirono ad avere lo stabilimento di lavorazione della barite a Darzo, quando presero il posto del mulino “Marte” della famiglia Rinaldi, a ridosso del rio Carbonère.

I Corna Pellegrini operarono nell’area in solitudine per una decina d’anni, finché altri imprenditori furono richiamati da quella montagna.

Nel 1905 arrivò, in bicicletta narra la leggenda, un altro lombardo della Valsassina, Carlo Maffei, che ottenne la concessione di Val Cornera, un versante a sud di Marigole, la zona scavata da Corna Pellegrini.

Anch’egli ebbe nei primi tempi il mulino nel cuore della Valle Sabbia.,: a Nozza, ma già nel 1909 si spostò più vicino alla miniera, a Ponte Caffaro.

La prima pietra dello stabilimento di Darzo venne posta nel 1925, mentre l’inaugurazione è datata appena un anno dopo.

La miniera di Val Cornera, per anni una delle più importanti d’Europa per la barite, rimase attiva fino alla metà degli anni Sessanta.

Verso la metà degli anni Venti, un altro industriale lombardo, il lecchese Felice Cima, venne attratto dal fascino della barite e fondò la Sigma, insediandosi a Pice, nei pressi di Marigole, ma su territorio della comunità di Storo.

La chiusura dei battenti di questa azienda ha una data precisa, 31 gennaio del 1976, ma un anno dopo capannone e operai furono rilevati dalla Corna Pellegrini, diventata Mineraria Baritina.

Molti altri imprenditori, locali ed esterni, furono contagiati dalla febbre dell’oro bianco di Darzo, ma solo Corna Pellegrini, Maffei e Cima riuscirono mantenere per lungo tempo impianti economicamente consistenti.

Agli altri che diedero l’assalto alla montagna di Darzo il destino riservò esiti effimeri: grandi investimenti, piccoli ritorni e qualche fallimento [1].


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[1] Cronistoria amministrativa completa delle miniere di barite di Darzo

L'importanza della manodopera femminile


Parlare dell’impiego delle donne nell’industria della barite significa inoltrarsi in un argomento quasi da epoca pre-industriale, lontanissimo dalla cultura di oggi, influenzata dalle conquiste sindacali e sociali degli anni Settanta e Ottanta, dallo Statuto dei Lavoratori, dalla coscienza dei diritti civili.

Significa, anche, parlare di un fenomeno quasi esclusivamente darzese.

Se, infatti, i minatori arrivavano anche da fuori paese, per le ragazze, senza possibilità di patente e di mezzi propri, era diverso: venivano assunte solo quelle del paese, con grande felicità delle loro famiglie, che avrebbero potuto contare di un salario che, per quanto modesto, era pur sempre un sostegno alle casse familiari.

Decine di ragazze si incamminavano ogni mattina all’alba verso la fabbrica, dove erano impiegate nella cernita, ossia nella scelta e classificazione della barite: prima super, prima, seconda e terza, in base alla purezza della pietra estratta dalla montagna (fig. 3).

Non era un lavoro facile, perché le ragazze stavano tutto il giorno con le mani nell’acqua, estate e inverno, poichè il minerale, prima di essere cernito, veniva lavato in acqua corrente, scelto, asciugato, frantumato e macinato.

Soprattutto d’inverno, con la temperatura che scendeva sotto zero, diventava una sofferenza anche per ragazze abituate a faticare fin da piccole nella stalla e nei campi.

Si parlava non per caso di ragazze, poiché era convenzionalmente accettato da tutti, in una società in cui la gratitudine per il “signor padrone” per aver portato il lavoro era d’obbligo, che quando una ragazza stava per maritarsi lasciasse il posto: le gravidanze, con relative assenze, avrebbero creato non pochi problemi all’azienda e impedito un normale svolgimento delle attività.


L'impatto geomorfologico dell'attività mineraria


Cosa rimane oggi a Darzo dopo la secolare stagione delle miniere di barite?

La "montagna bucata”, il bosco che si è rimangiato gli imbocchi, l’erba che nasconde i binari della “decauville”.

Ma non tutte le miniere hanno subito lo stesso destino.

L’ingresso di Val Cornera è stato sbarrato facendo brillare l’esplosivo, per evitare che qualcuno entrasse e rischiasse di essere colpito da massi.

Le viscere di quel pezzo di montagna sono tormentate a causa della modalità di lavorazione “a camere e pilastri”, con gallerie e “cameroni” che venivano scavati lasciando solo dei grossi pilastri di minerale a sorreggere la struttura.

Ma negli ultimi tempi, in particolare quando il minerale cominciò a scarseggiare, anche i pilastri vennero attaccati, riducendone lo spessore, alla ricerca degli ultimi scampoli di materia prima, causando di conseguenza crolli.

Ad un certo punto, quando la miniera giunta ad esaurimento venne abbandonata, perfino il dosso soprastante, “Dos dal Macabèl”, è sprofondato con le gallerie.

Diversa la modalità di scavo a Marigole (fig. 4), dove negli anni ‘70 l’ingegner Piero Corna Pellegrini applicò la “ripiena cementata”, un metodo di coltivazione che consiste nel ripienare con calcestruzzo i volumi scavati, che, oltre ad evitare crolli e subsidenze, consente teoricamente di portare via tutto il minerale esistente


Fig. 3 - Cernitrici al lavoro



Fig. 4 - Vista verso sud dal Dòss de Marigole, con sullo sfondo il Lago d’Idro

Geologia e giacimentologia


Posta poco a monte di Cavalese, lungo la Val Gambis che sale verso il Passo Lavazzè, sui versanti meridionali e occidentali del Monte Prestavel, fu coltivata già nel XVI secolo a galena argentifera.

In tempi moderni e su scala industriale per l’estrazione fluorite, l’attività mineraria ebbe inizio nel 1935 in seguito al DM di concessione del 6 marzo per anni 50 a favore della Società Atesina Esplorazioni Minerarie (GU 118/1935).

La mineralizzazione, di genesi idrotermale a temperature variabili da meso a epitermale, è articolata in due corpi filoniani, che immergono di 65-70° verso ESE ed E, diretti N20÷25°E e N-S rispettivamente.

Tali filoni, incassati in ignimbriti riolitiche e attraversati da intercalazioni porfiritiche di età ladinica (238÷228 Ma), si sviluppano longitudinalmente per 2,000 m per un dislivello di oltre 350 m.

Alle prime deposizioni quarzoso-fluoritiche sono seguite deposizioni metallifere a calcopirite, tetraedrite, galena, blenda e altri minerali in tracce, secondo uno schema ciclico ripetutosi in più generazioni.

Per quanto riguarda i rapporti di giacitura e quantitativi, la mineralizzazione presenta:

  • una netta prevalenza della fluorite, in bande parallele e, talvolta, in forma brecciata cementata da quarzo microlitico, frequentemente e intensamente fratturata;

  • presenza costante di quarzo, in sottili vene parallele e, come detto, sotto forma di cemento microlitico della fluorite brecciata;

  • presenza discontinua di calcite, sotto forma di grosse vene parallele, spesso fratturate, più raramente in forma di venuzze sottili o di breccia con fluorite cementata da quarzo microlitico;

  • presenza di solfuri misti, prevalentemente galena con blenda associata, in quantità subordinata, e rare tracce di calcopirite.


Negli anni ’60 la coltivazione in miniera avveniva con il metodo del gradino rovescio con ripiena eseguita con materiale sterile proveniente da cave esterne o da lavori interni di preparazione e ricerca.

Le gallerie di carreggio erano realizzate con una sezione adatta a ospitare un binario decauville (fig. 5).

La miniera era dotata di un importante impianto di trattamento articolato in tre sezioni (frantumazione, macinazione e flottazione) e di un doppio bacino di decantazione delle torbide con sterile in uscita dalla flottazione.

Tale sistema, che fu all’origine della catastrofe del 19 luglio 1985, verrà approfondito nella pagina dedicata.


Fig. 5 - Minatore al lavoro in una galleria della miniera di Prestavel

Cenni storici


La prima indicazione scritta circa l’attività mineraria sul monte Prestavel risale al verbale di una riunione svoltasi nel 1528 a Predazzo sul tema delle miniere, che erano di competenza del Principe Vescovo di Trento, in cui si legge: «… vi sono delle miniere su un certo monte nel territorio di Varena, verso la Val Scura per ascendere all’Alpe di Pampeago; il signor Francesco Cazzano ed il signor Frate Alemanno vi fecero scavare delle miniere d’argento , mentre la fusione del minerale avveniva alla vicina Chiusa, con risultati soddisfacenti e con notevole guadagno».

Tuttavia, come già accennato, lo sfruttamento industriale della miniera iniziò solo nel 1935 quando venne rilasciata alla “Società Atesina per l’esplorazione mineraria” una concessione per 50 anni per lo sfruttamento di fluorite e minerali associati (DM del marzo 1935 in GU 118 del 20/05/1935).

Fino alla fine degli anni ‘50 del secolo scorso venivano estratte circa 30 tonnellate al giorno di materiale grezzo e la lavorazione avveniva nella valle del rio Gambis, in località Miniera, a monte del bivio fra la strada per il passo di Lavazzè e la strada per Stava, dove il materiale grezzo veniva trasportato con una teleferica.

In miniera e nell’impianto di arricchimento lavoravano poche decine fra minatori, operai e tecnici, quasi tutti residenti a Varena.

La fluorite veniva separata dalle rocce incassanti mediante un sistema gravimetrico che richiedeva l’uso di modeste quantità di acqua e permetteva di ottenere un prodotto puro al 75-85% che veniva utilizzato come fluidificante delle scorie fuse nell’industria siderurgica.

Il minerale arricchito veniva trasportato con autocarri fino a Cavalese, dove era caricato sui vagoni della Ferrovia Elettrica della Val di Fiemme [1], mente gli scarti della lavorazione venivano facilmente smaltiti sotto forma di ghiaia.

Dal 1962 ─ con la costruzione dell’impianto di frantumazione, macinazione e flottazione ─ la produzione raggiunse le 150 tonnellate al giorno di media, con potenzialità fino a 200 ton/giorno, e l’arricchimento della fluorite passò al 97-98%.

Poiché, rispetto al sistema gravimetrico, un impianto di flottazione necessitava di molta acqua (10 m3/ton ca.) e di un luogo nelle vicinanze dove innalzare la discarica per lo stoccaggio e la decantazione del fango residuato della lavorazione, si decise di spostare la lavorazione dalla valle del Rio Gambis in Val di Stava.

Vennero, quindi, scavate nuove gallerie di accesso alla miniera, furono costruite una teleferica per il materiale e una seggiovia per i minatori, furono acquistati i prati di Pozzole, sulle pendici del monte Prestavel a monte di Stava, per realizzarvi il bacino di decantazione e venne costruito un acquedotto per portare l’acqua dal rio Stava all’impianto di flottazione con una portata di 65 litri al secondo, che si riduceva nei periodi invernali durante i quali altra acqua veniva pompata direttamente dal rio Stava mediante una conduttura posta poco a monte dei Masi di Stava.

In quegli anni lavoravano in miniera 120 addetti, tra minatori, operai e tecnici, alcuni dei quali altamente specializzati provenienti dalla Toscana e dall’Agordino, per i quali furono costruiti nuovi alloggi a Tesero.

Sul finire degli anni ‘60, tuttavia, la produzione diminuì bruscamente, ma già nel 1970 la scoperta di nuovi filoni consentì di riprendere l’attività a ritmi ancor più sostenuti.

Dal 1974 al 1980 gli impianti di Prestavel furono gestiti dalla società Fluormine, il cui controllo passò dalla Montedison all’Eni .

Nel 1980 la Fluormine rinunciò alla concessione (DGP n. 4587 del 16 maggio 1980 in BUR TAA 6/1982) che venne affidata alla Prealpi Mineraria SpA (DGP n. 4588 del 16 maggio 1980 in BUR TAA 6/1982) che utilizzò gli impianti di Prestavel per lavorare anche la roccia estratta dalle miniere di Torgola in provincia di Brescia, di Corvara-Rabenstein e di Vallarsa Brantental in provincia di Bolzano.

Tra il 1978 (passaggio della Fluormine in SAMIM) e il 1982 (trasferimento alla Prealpi Mineraria) l’attività mineraria e dei relativi impianti fu interrotta, riprendendo solo nel 1983 fino alla tragedia del 19 luglio 1985, che sancì la definitiva fine della concessione per “non ulteriore coltivabilità del giacimento minerario di fluorite e minerali associati di Prestavel” (DGP n. 7660 del 24 luglio 1987, BUR TAA 46/1987).


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[1] Ferrovia a scartamento ridotto, costruita dal genio militare austriaco e attiva dal 1917 al 1963, che congiungeva la ferrovia del Brennero alla val di Fiemme.