Miniera di San Vittore

Geologia e giacimentologia


Il giacimento è situato sul versante meridionale del monte S. Vittore, sul lato sinistro della Valle di Lanzo, quasi allo sbocco in pianura.

L'amianto si trova entro le serpentiniti del Massiccio Utrabasico di Lanzo, interessato dal metamorfismo eoalpino (130÷90 Ma), e si presenta in spalmature che seguono le fratture della roccia in tutte le direzioni [1], senza mai essere contenuto nelle serpentiniti massicce.

In questa zona la serpentinite ha una foliazione prevalente con direzione NW-SE e inclinazione variabile da 30° a 60° ed è in contatto tettonico con gli gneiss minuti, i micascisti e i cloritoscisti della Zona Sesia-Lanzo (fig. 1).

Nelle serpentiniti si osservano due sistemi di faglie principali sub-verticali, di cui il primo con orientazione NW-SE e il secondo quasi ortogonale al primo.


Il contenuto in fibra di amianto della roccia è circa il 15%, di cui è utilizzabile solo un terzo circa (tenore utile 5%).

Circa la genesi del minerale, le ipotesi sono controverse ma si possono ricondurre essenzialmente a tre:

  • idratazione delle rocce serpentinose ad opera delle acque superficiali;

  • circolazione di soluzioni idrotermali entro zone di frattura, scistosità e/o laminazione, formatesi a causa di movimenti orogenetici, di diaclasi e litoclasi dovute a contrazione e dilatazione per raffreddamento e serpentinizzazione, con metasomatosi delle rocce primarie (crisotilo di genesi secondaria);

  • autometamorfismo in presenza di grandi quantità di vapor d’acqua e altri gas magmatici tamponati dagli gneiss del tetto (crisotilo di genesi primaria).


Il minerale che si ottiene è un amianto di tipo crisotilo a fibra corta (1-2 cm), con colorazione dal giallino al verde; le sue fibre presentano buone proprietà meccaniche, grande resistenza alle alte temperature, bassa conducibilità termica e notevole resistenza agli agenti chimici.

Come minerali associati di interesse minerario sono presenti la magnetite (2-3%) e minerali del nichelio, in quantità limitata ma ancora potenzialmente d'interesse minerario (vedi racconto Nichel, all'interno della raccolta Il sistema periodico di Primo Levi, fig. 2)

Fig. 1 – Contatto delle serpentiniti del Massiccio Ultrabasico di Lanzo (grigio-verdi) con le rocce dell’unità Sesia-Lanzo (bruno chiaro)

Fig. 2 – Copertina di una vecchia edizione scolastica de "Il Sistema periodico" (1975)

Cenni storici

Di seguito sono sintetizzati i principali eventi che hanno caratterizzato la storia di questo sito:

  • dopo tre anni di ricerche, fu il commendatore Callisto Cornut a scoprire nel 1907 sulle pendici del monte San Vittore, al confine tra i comuni di Balangero e Corio, il più importante giacimento di amianto d’Italia e uno dei più importanti d’Europa;

  • gli studi realizzati dal Prof. Paolo Vinassa de Regny della facoltà di geologia dell’Università di Parma evidenziarono l’ottima qualità e la grande quantità di fibre d’amianto (crisotilo) conglobate nella roccia di serpentino del monte San Vittore, nonché la relativa facilità di estrazione, dovuta alla morfologia del giacimento, e la comodità di trasporto del materiale estratto, a motivo della vicinanza al mare e al confine francese, tutti elementi che avrebbero potuto porre il crisotilo di Balangero in favorevole concorrenza con l’amianto russo e quello canadese, prevalentemente usati all’epoca nell’applicazione industriale di manufatti in fibro-cemento;

  • nel 1918 si costituì, quindi, la “Società Anonima Cava San Vittore” (di seguito San Vittore), con capitale di 1,750,000 lire, amministratore delegato Gino Lavelli de Capitani e direttore tecnico l’ing. Raimondo Vittorio De Maison.

La seconda metà del 1918 trascorse nella realizzazione dei lavori preparatori all’apertura della miniera (fabbricati, strade di accesso), mentre dal punto di vista commerciale continuarono i contatti con la Società Eternit, individuata come il maggiore potenziale cliente, per la definizione di un contratto di vendita del crisotilo estratto sulla base dei prezzi canadesi;

  • nonostante le ripetute assicurazioni fornite al Consiglio di Amministrazione dal direttore tecnico De Maison circa l’imminente ultimazione dei lavori preparatori, anche l’intero 1919 trascorse nelle operazioni di montaggio dei macchinari fatti arrivare dai Canada e nell’installazione dei forni "Grossley", tra ritardi dovuti ai frequenti scioperi di varie categorie (operai, cementisti, ferrovieri) e imprevisti vari, con un conseguente aumento notevole dei costi preventivati;

  • poichè a fine 1920 i lavori preparatori tardavano ancora a concludersi, nella seduta del 5 dicembre 1920 il Consiglio di Amministrazione si dichiarò disponibile ad assumere dei provvedimenti drastici, a fronte di una situazione finanziaria diventata ormai insostenibile a causa di tale mancato avvio della produzione;

  • l'ing. Ferraris, al tempo Amministratore delegato della Monteponi, fu nominato perito super partes e constatò grave carenze tecniche e organizzative nell'operato del De Maison, che fu sostituito dall'Ing. Eva, coadiuvato del Prof. Vinassa;

  • nel 1921 iniziò la produzione effettiva ma, nonostante la possibilità di accordi commercialmente proficui, le vendite non riuscivano a decollare a causa di un problema specifico legato alla presenza di ossido di ferro che ingialliva le fibre, rendendo il prodotto meno competitivo di quello canadese. Per superare il problema, si pensò di modificare il sistema di coltivazione e di fare ricerche per individuare eventuali filoni con mineralizzazioni migliori;

  • nel 1926 fu installato un impianto della ditta newyorkese Kennedy in grado di lavorare 24 ore/giorno e produrre una quantità di fibre che nel 1928 raggiunse le 4,800 tonnellate;

  • nonostante ulteriori migliorie tecnico-organizzative, la produzione andò in crisi dopo il 1930;

  • un prima ripresa si ebbe nel 1933, con la vendita di 1,620 tonnellate di fibra, di cui 600 all'Eternit di Casale;

  • la politica autarchica del regime fascista e le sanzioni internazionali in seguito alla guerra imperialista in Etiopia favorirono la San Vittore a cui fu intestata la concessione per 99 anni con DM 11 marzo 1936 (GU 90/1936);

  • nel 1940 la San Vittore fu acquistata dalla Finsider, gruppo siderurgico facente capo all'I.R.I.;

  • nel novembre 1942, con lo scopo di recuperare i significativi tenori di nichel presente negli scarti di lavorazione (vedi racconto di Primo Levi), fu costituita la Società Anonima Nichelio Italiana (S.A.N.I.) che realizzò un impianto di trattamento a Balangero, che rimase in funzione solo fino al 1948;

  • durante il periodo bellico l'azienda venne posta sotto il controllo dell’Incaricato per l’amianto, il quale impartiva precise disposizioni sulla produzione, vendita ed esportazione in Germania dell’amianto;

  • con la fine della guerra e dei vantaggi della politica autarchica, la San Vittore andò definitivamente in crisi e nel 1950 l'I.R.I. cedette il pacchetto azionario ai gruppi “Manifatture Colombo” ed “Eternit” che l'anno dopo costituirono la società Amiantifera di Balangero S.p.A., guidata dall'industriale bergamasco Rinaldo Colombo, che la presiedette per oltre 30 anni;

  • con DM 8 luglio 1952 la concessione fu trasferita e intestata all'Amiantifera, mentre due anni dopo la San Vittore fu messa in liquidazione;

  • il 1954 fu anche l'anno di proteste sindacali, descritte ampiamente da Italo Calvino, allora redattore dell'Unità, in un articolo riportato integralmente nel pdf scaricabile;

  • gli anni successivi videro la riorganizzazione sia finanziaria che tecnica della Società, che modificò anche il sistema di coltivazione, passando nel 1958 del vecchio sistema a imbuto (glory hole, fig. 3) alla configurazione che sarà mantenuta fino alla fine dell’attività, quella di una grande cava a semi anfiteatro, a gradoni sovrapposti alti 14 metri (fig. 4);

  • nella politica di ottimizzazione della produzione, condotta dalla direzione, rientrò anche lo sfruttamento del materiale povero, cioè delle polveri d’amianto, per le quali si approfittò dell’aumentata richiesta da parte del mercato per smaltirne una grande quantità, utilizzata per lo più come “filler” nei conglomerati bituminosi e impiegata dalle industrie italiane di “Floor-Tiles”;

  • la produzione crebbe e nel 1961 la quantità totale di roccia lavorata ammontava a 1,300,000 tonnellate;

  • gli anni '60 furono quelli dell'automazione, in particolare per l’insaccatura e l’imballo, sia per contrastare la concorrenza dei costi dell'amianto canadese che per ridurre i rischi ambientali: così nel 1966 venne inaugurato l’impianto automatizzato destinato a produrre 25,000 tonnellate all’anno di fibre di tutti i tipi, mentre alla fine del 1967 entrò in funzione il frantoio mobile, in grado, spostandosi su tutto il fronte di abbattimento, di effettuare sul posto la prima frantumazione della roccia;

  • nel 1970 venne installato l’impianto di insilamento di tutte le fibre prodotte, con il risultato di ridurre drasticamente la polverosità ambientale. Anche il problema della pulitura delle macchine, fino ad allora effettuato mediante soffi di aria compressa, venne risolto con un impianto centralizzato di aspirazione con filtro, collegato a una rete di tubazioni che si diramavano verso le diverse macchine.

  • tutto ciò portò a un deciso miglioramento dell’azienda, sia dal punto di vista ambientale che economico, con il raggiungimento del massimo della produzione annuale di amianto, pari a 160,000 tonnellate nel 1976, per il 60% destinato all'esportazione;

  • morto il comm. Colombo nel 1982, l'anno successivo la Società venne acquistata dai fratelli Puccini di Roma e da allora ebbe inizio un declino irreversibile, culminato nel 1990 con la dichiarazione di fallimento cui corrispose, con DM del 26 Aprile, la dichiarazione di decadenza dalla concessione;

  • la stessa concessione, con Decreto Distrettuale del 18 novembre 1990 fu accordata alla società svizzera Mineral & Intertrade Limited, per 10 anni, ma già nel 1994, con DM 1° giugno, la stessa società fu dichiarata decaduta dalla concessione, ratificando la rinuncia che il Distretto minerario di Torino aveva già accolto con Decreto del 3 giugno 1991.

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[1] «L’amianto ha composizione di serpentino fibre brevi, resistenti, che intridono, in modo irregolare, la massa rocciosa seguendone le minute spaccature e dalla quale non possono essere separate che meccanicamente» (Emanuele Grill: Sui giacimenti d’amianto delle Alpi Piemontesi,1921)

Fig. 3 - Cava di San Vittore: Coltivazione a “glory hole” (1950)

Fig. 4 - Cava di San Vittore: Semi anfiteatro a gradoni