Miniere e lotta partigiana

in Toscana

Resistenza partigiana in Toscana

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In Toscana più che altrove, proprio nei pochi ma drammatici mesi dell'occupazione nazista, del neofascismo della Repubblica sociale italiana (RSI), della Resistenza antifascista e del passaggio del fronte, emerse e mise radice una classe dirigente profondamente rinnovata.

In regione il collaborazionismo della RSI ebbe un volto peculiare, con la sua miscela di tratti tutti accentuati: fossero essi la ripresa del vecchio squadrismo o l'accentuato tentativo di “conciliazione” da parte dei neofascisti nei confronti di quella grande parte della società toscana che evidentemente, sia per antico antifascismo sia per antifascismo di guerra, non concedeva alcuna legittimità alla RSI.

Con l'avanzare della campagna d’Italia e la ritirata delle forze tedesche, la Toscana era divenuta terra di prima linea e la rilevanza strategica del controllo dei passi appenninici e delle sue coste era ben chiara ai responsabili militari sia nazisti che angloamericani.

Di conseguenza, lo spazio per ogni iniziativa potenzialmente autonoma della RSI venne presto annullato, la Wehrmacht assunse il controllo diretto della regione e gli organi repubblichini si convertirono soprattutto ad attivi e sanguinari corresponsabili della lotta all'antifascismo e alla resistenza partigiana, come insostituibili soggetti della deportazione politica e razziale, come subordinati comprimari nello sfruttamento nazista delle risorse economiche regionali e nel loro trasferimento verso il Reich.

In questo contesto, il movimento di Resistenza prese alimento da tale sempre più profonda divaricazione che spezzava ogni illusione di un qualsiasi ritorno pacifico al passato di una moderata e immobile Toscana mezzadrile. Nell'organizzazione e nella direzione di questo movimento di resistenza le forze organizzate dell'antifascismo ebbero un grande ruolo: soprattutto i comunisti, la cui rete si stava ristrutturando proprio allora, ma anche altre forze (azioniste, socialiste, liberalsocialiste, cattoliche, moderate) che, pur fra illusioni, contrasti e difficoltà, si riorganizzarono dopo il 25 luglio 1943.

Tale precocità e maturità della Resistenza si riflesse poi nella quasi immediata nascita, già pochi giorni dopo l’8 settembre, di primissime bande di patrioti sulle pendici di alcuni rilievi (Massetano, Casentino, Pistoiese, Apuane), che si andarono a rafforzare in autunno. Tuttavia, la reazione nazifascista provocò un certo riflusso e scompaginamento delle formazioni partigiane in corrispondenza al difficile inverno successivo.

L’accettazione da parte delle varie forze antifasciste della prospettiva della guerra più lunga, il dispiegarsi ormai chiaro della subordinazione dei repubblichini ai nazisti e delle nuove vessazioni del potere nazifascista in cerca di una sua stabilizzazione, il bando di leva per la RSI del febbraio 1944, con minaccia della fucilazione per i disertori, favorirono il ricostituirsi, il moltiplicarsi e il rafforzarsi dei gruppi di resistenti.

Particolarmente importante fu il rapporto tra Resistenza e contadini, che permise alle formazioni di crescere, con tutte le difficoltà legate all'afflusso alla macchia di giovani inesperti ma anche con tutta la forza che ciò dava alla Resistenza.

Come già sottolineato, le minacce e il nuovo bando di leva finirono per rafforzare il movimento di resistenza e il reclutamento partigiano. Parallelamente le sempre più frequenti azioni militari contro la RSI e i suoi rappresentanti contribuivano a rafforzare il prestigio del movimento.

Nel frattempo le forze nazifasciste avevano avviato un altro giro di vite nel sistema di repressione, con un'ulteriore depredazione e deportazione delle risorse, economiche e umane, della regione. Quello che dell'economia toscana poteva servire al mantenimento delle truppe occupanti e allo sforzo bellico della Germania continuò a essere portato verso il Nord.

Ma non si trattava solo di far piazza pulita di risorse e di lavoro: si voleva anche dare un colpo alla Resistenza e alle popolazioni che la sostenevano.

Con l’avvicinarsi del fronte e le truppe naziste in ritirata, la logica delle stragi e della guerra di sterminio tedesca si appuntò su paesi inermi abitati ormai da anziani, donne e bambini, con particolare intensità dove la Resistenza era più forte.

In questo quadro, il movimento dei minatori, già fortemente sindacalizzato dalla fine del XIX secolo, particolarmente pugnace come avevano dimostrato le agitazioni del biennio rosso (1919-1920), silenziato ma non sopito dalla reazione fascista, dette un forte contributo alla Resistenza, pagandone anche un importante prezzo di sangue, in particolare a Niccioleta (77 minatori uccisi) e Cavriglia (191 morti, in gran parte minatori e parenti), come descritto nei link che seguono:

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[1] Dizionario della Resistenza. Vol. 1: Storia e geografia della liberazione, Einaudi (2000)