Miniera di Cludinico

Ubicata, nelle vicinanze del villaggio di Cludinico, frazione del comune di Ovaro, nella valle del torrente Degano, è stata coltivata per un secolo, tra il 1857 e il 1953, per estrarre litantrace magro antracitoso da lenti con spessori da centimetrici a 1.50 metri poste alla base della litofacies “calcari scuri e marne” della formazione della Val Degano, ascrivibile al Triassico superiore (Carnico, 225÷215 Ma).

Le rocce incassanti testimoniano di un ambiente di formazione di tipo laguna sottile periodicamente emersa, con alternanza di deposizione di materiale organico vegetale, formatosi durante le fasi di emersione e successivamente carbonizzato, e di materiale detritico deltizio e sedimenti marini di bassa profondità durante i periodi di immersione.

A parte le testimonianze di fine XVIII secolo relative alle coltivazioni di carbone nella zona, le prime significative attività estrattive vengono fatte risalire all’inizio del XIX secolo con lo sfruttamento di una prima miniera denominata “Rio Malon”, situata lungo il pendio che scende a S verso l’omonimo rio, affluente di sinistra del torrente Degano. Una seconda miniera, denominata “Vareton” era posta in vicinanza del Rio Furioso, sul versante nord del paese di Cludinico, mentre una terza, la più importante, denominata “Creta d’Oro”, era posta sotto il paese, raggiungibile con un sentiero che scende verso il fondo valle.

Tra il 1853 e il 1865 la Società Veneta Montanistica, che operava anche nella miniera di Monte Avanza, riuscì a ottenere buoni risultati nella coltivazione della miniera Vareton con l’estrazione di 2,500 tonnellate.

Il successo ebbe, però, breve durata e già nel 1870 alla Veneta Montanistica subentrò la Ditta Ciani di Tolmezzo che arrivò a produrre fino a 30 tonnellate di carbone al giorno al prezzo concorrenziale di 32 £/ton, grazie anche a miglioramenti tecnologici nel settore del trasporto del minerale.

Nel 1876, tuttavia, la Veneta Montanistica portò a termine nuove ricerche che individuarono il nuovo bacino di “Creta d’Oro”, caratterizzato rispetto ai precedenti da minori spessori ma da maggiore regolarità, e nel 1881 la stessa Società riuscì ad ottenere una concessione che unificava le miniere “Vareton” e “Creta d’Oro”.

Vennero apportate numerose migliorie tecnologiche con la costruzione di una centrale termoelettrica e i relativi impianti di distribuzione, l’installazione di una pompa elettrica per l’eduzione delle acque e di un argano elettrico per il trasporto del minerale lungo la discenderia principale.

L’attività estrattiva, tuttavia, continuava a risentire della lontananza del giacimento dai principali centri di consumo e tra il 1885 e il 1889 le miniere rimasero sostanzialmente inattive.

Nel luglio 1902 la Società Mineraria di Venezia subentrò alla precedente concessionaria, dando nuovo impulso alla produzione ma già nel 1906 cedette la concessione alla Società Carbonifera Veneta che nel 1912 prese il nome di Società Veneziana di Beni Immobili.

La precaria situazione finanziaria della concessionaria e le difficoltà di coltivazione connesse alle continue infiltrazioni d’acqua, drenata nelle gallerie di base dal torrente Degano, portarono a una nuova sospensione dei lavori poco prima dello scoppio della Grande Guerra.

Furono proprio le esigenze belliche, però, a rilanciare la coltivazione delle miniere e la costruzione di una ferrovia a scartamento ridotto, la Villa Santina-Comeglians, che fu molto importante per la miniera di Cludinico anche nel periodo post-bellico.

Con la disfatta di Caporetto, l’area mineraria si trovò in territorio nemico e furono gli austriaci a coltivarla a cavallo tra il 1917 e il 1918.

Nel dopoguerra si hanno notizie di attività mineraria gestita dalla Società Cartiera Reali di Venezia dal 1923, ma nel 1928 venne proposta la revoca della concessione, a causa della mancata conferma ai sensi del nuovo RD 1443/1927.

Quando nel novembre 1935, in seguito all’occupazione italiana dell’Etiopia, l’Italia fu sottoposta alle sanzioni economiche della Società delle Nazioni e si affidò a una politica autarchica, l’Azienda Carboni Italiani (A.Ca.I.) fu incaricata di effettuare nuove ricerche nelle miniere di carbone italiane, che nel 1938 portarono alla ripresa dell’attività nell’area di “Creta d’Oro” di Cludinico.

Nel periodo bellico, dopo l’8 settembre 1943, la miniera, pur rimanendo la gestione dell’A.Ca.I., finì sotto il controllo tedesco producendo 3,000÷4,000 tonnellate mensili di carbone.

Tra l’1-2 maggio 1945 Ovaro fu vittima di una delle peggiori pagine della guerra in Carnia, quando, per rappresaglia in seguito a un attacco partigiano al locale presidio, che aveva provocato la morte anche di donne e bambini, le truppe cosacche [1] inquadrate nell’esercito nazista in ritirata uccisero 22 civili, tra cui alcuni minatori e il direttore della miniera Rinaldo Cioni [2].

In seguito agli eventi tragici di maggio, l’attività della miniera fu sospesa fino a giugno.

Nel dopoguerra la produzione proseguì in crescita dalle 19,000 tonnellate circa del 1945 alle 23,154 del 1948, per poi scendere a poco più di 10,000 tonnellate nel 1952, in seguito sia al crollo del prezzo del carbone sul mercato internazionale che alla crisi locale del settore edilizio che utilizzava i mattoni prodotti dalle fornaci alimentate dal carbone di Cludinico.

Nel 1953, infine, terminarono i 10 anni di concessione affidata all’A.Ca.I. con determinazione dell'ex commissario per il Ministero dell'industria, commercio e lavoro in data 8 ottobre 1943, confermata con DM del 24 dicembre 1946 [3] (GU 38/1947).

Tenendo conto delle prime coltivazioni nella zona risalenti ai primi anni del XIX secolo, la miniera di Cludinico rimase complessivamente in attività per circa un secolo e mezzo, realizzando una rete di gallerie lunga approssimativamente 150 km e producendo un totale di circa 550,00 tonnellate, articolate in 8,000 tonnellate di Rio Malon, 183,000 di Vareton e 359,000 di Creta d’Oro.


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[1] Durante l'invasione dell'Unione Sovietica, le forze armate tedesche e italiane incorporarono alcune decine di migliaia di volontari cosacchi nella Wehrmacht, nelle Waffen-SS e nel Regio Esercito. In cambio essi avrebbero goduto di ampie autonomie nei territori di provenienza, e provvisoriamente anche in altre parti d'Europa, qualora gli eventi bellici avessero reso "temporaneamente" impossibile il rientro sulle loro terre. Una di queste aree ("Kosakenland in Norditalien") promesse dai tedeschi fu individuata nella Carnia dove i cosacchi parteciparono alla repressione della Resistenza antinazista, replicando nei villaggi la loro organizzazione sociale, gli stili di vita e le cerimonie religiose. Il comune di Verzegnis divenne la sede del capo supremo delle forze cosacche, l'atamano Pëtr Nikolaevič Krasnov, mentre alcuni paesi vennero ribattezzati con i nomi delle città russe (Alesso fu ribattezzata in Novočerkassk, Trasaghis in Novorossijsk, Cavazzo in Krasnodar). Tolmezzo fu la sede del Consiglio cosacco.

[2] Partigiano e membro del Comitato di Liberazione Nazionale della Val di Gorto, l’ingegner Cioni era sempre riuscito ad assicurare il funzionamento della miniera e nello stesso tempo il sostegno alle forze partigiane, sia per i rifornimenti che per la possibilità di ricovero e lavoro nei mesi invernali, quando la sopravvivenza in montagna diventava impossibile.

[3] Si tratta dell’unico decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale ai sensi del RD 1443/1927 riguardante Cludinico. Neanche l’assegnazione ad A.Ca.I. del 1938 risulta ufficialmente.