Miniere e lotta partigiana

in Piemonte e Val d'Aosta


Tra l’autunno 1943 e l’estate 1944 il Dr. Alessandro Boni [1] (fig. 1) e l’ing. René Bruck [2] (fig. 2), ordinarono lo stoccaggio di 86 bidoni di “fango aurifero” [3] e di due lingotti di oro grezzo di 4 kg nella galleria cieca “Adit Acquavite” a Pestarena.

Il luogo fu sigillato con piastre di ferro e murato con cemento armato. Il lavoro fu eseguito in modo riservato dai capiservizio Stefano Bettoni e Giacomo Frezza, dai magazzinieri Enrico Giachetti ed Egidio Caffoni, dal manovale Giampiero Tagliamacco.

Quest’ultimo, un ex tenente degli alpini, era una figura ambigua che ricompare più volte nelle vicende resistenziali con i nomi di “Greco” in Valle Anzasca, di “Belli” sul Mottarone e di “Marcello” in Lomellina.

Alle 3 di notte del 23 luglio 1944, il Tagliamacco alla guida di una gruppo di partigiani, con l’aiuto coatto di 87 minatori, decise di trafugare l’oro per trasportarlo in una banca svizzera, in modo da metterlo in salvo dai tedeschi.

Racconta Marino Bettoni, 15 anni all’epoca e il più giovani tra i reclutati: «Il sonno si era rapidamente dissolto. Pochi parlavano. Si udivano solo gli ordini secchi di Tagliamacco coadiuvato da due suoi luogotenenti: Vadi, di Migiandone e Pizziali, un bergamasco... I bidoni metallici avevano un diametro di 28/30 centimetri; un’altezza di 50/55 cm; un peso oscillante fra i 33 e i 38 chilogrammi ed erano chiusi e nastrati. Normalmente i bidoni contenenti il “precipitato aurifero” venivano consegnati mensilmente alla “Società Generale Metalli Preziosi” di Milano. Il precipitare degli eventi aveva consigliato alla direzione mineraria (Ingegner René Bruck e dottor Alessandro Nino Boni) di sospendere gli invii e di fare murare l’oro, direttamente in miniera. Fu scelta la galleria “Adit” o meglio la prima traversa in direzione della “Speranza”. Era una galleria cieca, franata verso l’interno. Lì, a più riprese, furono depositati i bidoni metallici. Fra gli addetti alla realizzazione del bunker proteggi-oro c’erano mio padre Stefano, Enrico Giachetti, Luigi Caffoni, Giacomo Frezza, Francesco Vaiarini, Giuseppe Cuter e lo stesso Giampiero Tagliamacco. Una volta sistemati i bidoni, la galleria fu chiusa con putrelle di ferro, quindi murata e incementata. Giampiero Tagliamacco, che era giunto a Pestarena con l’esonero, era convinto che i tedeschi potessero venire e confiscare l’oro. I suoi timori li aveva manifestati anche al Comando della “Garibaldi” in Val Sesia. Egli non si fidava e voleva far portare l’oro al sicuro in Svizzera, depositarlo in una banca, come tesoro italiano da restituirsi a guerra finita. L’ideale era una cosa ma il trasporto un’altra. Ci siamo trovati incolonnati e carichi. Io nonostante la giovane età ero abituato a muovermi in montagna con dei carichi sulle spalle, ma molti “portatori” erano in chiara difficoltà...».

Dopo una salita piena di problemi e incidenti che causarono anche la perdita di alcuni bidoni, «... Giunti all’alpe Corte Vecchio, a tutti fu dato un panino con la bologna, il rancio che c’eravamo sudato. Il cammino riprese fino all’alpe Predenone. Qui alcuni bidoni furono sistemati vicino alle casere ed altri nascosti dentro ad un grande anfratto roccioso, poco distante dall’alpeggio. Noi siamo stati allontanati e abbiamo preso la strada di casa. Lassù a guardia dell’oro restarono due partigiani anzaschini: Bianchi di Bannio e Bonfadini di Calasca, presto raggiunti da Lince e da Gigi Ferrari di Domo. Nei giorni seguenti quel potenziale oro fece nascere dei forti dissapori fra gli stessi partigiani. Moscatelli dalla Val Sesia, aveva mandato a Pestarena il tenente Vacca, al secolo Alfredo Colombo, torinese, laureato in scienze commerciali. Al Vacca seguirono: Barbìs (Dino Vicario di Varallo Sesia) e Bartolomeo Chiodo. I “garibaldini” non si fidavano più di Tagliamacco. Ci furono marcati contrasti fra le diverse “anime” partigiane che portarono alla morte del tenente Vacca e al trasporto di sette bidoni d’oro da Predenone verso Baranca e quindi la Val Sesia. L’intervento personale di Tagliamacco bloccò quei bidoni a Piè di Baranca e li fece riportare indietro [4]...».

Alla caduta della Repubblica Partigiana dell’Ossola (ottobre 1944), «... Le milizie nazifasciste, comandate dal generale Enrico Vezzalini, avevano rioccupato la zona. I tedeschi si ricordarono dell’oro di Pestarena ed inviarono le loro truppe per incendiare il paese. Il provvidenziale e disperato intervento del direttore della Miniera, René Bruck coadiuvato dal parroco, don Giuseppe Soldani e da don Benedetto Galbiati, predicatore poliglotta, riuscì a bloccare la colonna tedesca alle gallerie di sasso poste difronte al Morghen. Fu un miracolo! Pestarena era salva. Nell’autunno i nazifascisti tornarono a Pestarena e si fecero assegnare dall’ingegner Bruck degli operai per riportare i bidoni dell’oro in paese... I bidoni furono depositati nel sala del cinema presso l’albergo operai e restarono lì incustoditi fintanto che non presero la via per il Comando SS di Monza».

Riguardo alla vicenda dei tedeschi in Pestarena, l’ing. Bruck ricorda: «Il 17 ottobre 1944, giorno memorabile per la popolazione di Pestarena. Io torno da Milano con in tasca un ordine firmato dal generale Leyers, comandante della RUK [5] a Milano e destinato al generale Wolf, supremo comandante delle operazioni anti-partigiani in Ossola. Sono riuscito ad ottenere l’ordine di liberazione per cinquemila uomini, operai delle industrie belliche. Anche per Pestarena sono riuscito a salvare molti minatori che avrebbero potuto essere destinati alla deportazione. In cambio, il capitano tedesco mi ha chiesto degli operai per il trasporto a valle dei bidoni contenenti il fango aurifero. A trasporto avvenuto, prendo in consegna i bidoni per poi farli trasferire al Comando di Monza dove vengono presi in carico dalle SS. Il 15 dicembre 1944, il dottor Michelangelo Buzzoni, capo dei nostri laboratori, recupera a Monza 70 bidoni di fanghi auriferi e 10 di scorie e li deposita presso la sede della società Generale Metalli Preziosi a Milano, qui i bidoni rimangono fino alla fine della guerra».

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[1] Direttore delle Miniere Oro Piemonte, comprendente le miniere aurifere di Lavanchetto e Pestarena (Valle Anzasca) e Alfenza (Valle Antigorio)

[2] Direttore della miniera di Pestarena

[3] Il “fango” è una polvere di pirite aurifera pronta per il trattamento finale. Negli 86 bidoni erano stipati «2000 kg di fango con un contenuto in oro di circa 200 kg» (dalle memorie dell’Ing. Bruck).

[4] Anche in questo caso, durante il trasporto ci furono “incidenti” che causarono la perdita di alcuni bidoni.

[5] Ministero Tedesco degli armamenti e della guerra


Fig. 1 - Dr. Alessandro Boni (1902-1996)

Fig. 2 - Ing. Renè Bruck (1905-1985)

La Repubblica Partigiana di Cogne


Con lo scoppio della 2a guerra mondiale i reparti della miniera di Cogne vennero riorganizzati e l’azienda crebbe fino ai circa 10,000 addetti del 1944, ma già a partire dal 1942 cominciarono a farsi sentire pesantemente le vicende umane e industriali che caratterizzarono quel drammatico periodo.

Direttore della miniera già dal 1929, Franz Elter (fig. 3), profondamente antifascista e padre di due figli partigiani, uno dei quali, Giorgio, resterà ucciso presso Aosta e sarà medaglia d’argento della Resistenza, si adoperò, durante il periodo della Repubblica partigiana di Cogne, per la pacifica convivenza tra le bande partigiane ospiti e la popolazione ospitante.

A questo proposito nel suo memoriale dichiarò: «In qualità di Direttore della miniera della Cogne ho ritenuto mio dovere di resistere alle direttive collaborazioniste dall’8 settembre ’43 in poi. Ho agito dapprima con molta prudenza, perché un arresto improvviso della produzione mineraria avrebbe provocato probabilmente la graduale asportazione degli impianti e la deportazione della mano d’opera… Durante il periodo dell’occupazione di Cogne da parte delle truppe partigiane ho cercato di contribuire con tutte le mie forze perché queste fossero fornite di viveri dai magazzini della miniera, di esplosivi, di indumenti, eccetera. Fu anche iniziata con successo la fabbricazione di bombe ad alto potenziale e di fucili mitragliatori. Detti inoltre la mia collaborazione tecnica e partecipai ad atti di sabotaggio della ferrovia in fondo valle. Le interruzioni frequenti di ponti e della linea ferroviaria riuscirono opportune e solo una minima parte della produzione siderurgica di Aosta poté essere esportata mentre 40,000 tonnellate di acciaio rimasero sui piazzali di Aosta… Due dei miei figli hanno combattuto con l’esercito partigiano. Uno di essi cadde in combattimento il 6 settembre 1944 per la causa dell’umanità e della libertà della patria».

Dopo il 2 novembre 1944, giorno della caduta della Repubblica di Cogne, riparò in Svizzera dove fu internato nei campi profughi, prima di rientrare in Italia, partecipare alla Liberazione di Aosta il 28 aprile 1945 e assumere il ruolo di commissario straordinario nel consiglio di amministrazione, che mantenne fino al 1953 quando fu sostituito da Giuseppe Anselmetti.

Fig. 3 - Ing. Franz Elter (1893-1959)