Perticara-Marazzana

Giacimentologia


I giacimenti solfiferi del bacino del Montefeltro, rappresentato produttivamente dal complesso minerario di Perticara, comprendente oltre alla miniera omonima, quelle di Marazzana a sud e di Monte Pincio a est, sono strettamente legati ai vicini giacimenti della Romagna, di cui dal 2009 fanno parte anche amministrativamente.

Delimitato da tre faglie (fig. 1), la prima a nord con direzione E-O, la seconda a sud con direzione SW-NE che converge a E verso la precedente e la terza a ovest con direzione NNE-SSO, il giacimento di Perticara presenta una stratigrafia (fig. 2) caratterizzata dal basso verso l’alto da:

  • marne di letto o ghioli rigati, seguite da uno strato di calcare selcifero molto duro (cagnino) di 1.20-2.00 m e da uno di gesso e/o calcare di 1.80 m;

  • una marna intermedia di 1.50-2.00 m di spessore, seguita dallo strato “maestro” mineralizzato, di spessore variabile da 14 m, ai margini, a 22 m al centro del giacimento.

Questo strato ne ha determinato l’eccezionale importanza sia per le dimensioni che per la ricchezza del minerale, con tenori fino al 38-40%;

  • marne di tetto di potenza pari a 2.00 m, particolarmente friabili al contatto con lo strato mineralizzato, tanto da costituire un pericolo durante la coltivazione;

  • una successione di undici strati di gesso (seghe) di potenza media variabile da 1.50 a 2.00 m, intercalati da strati marnosi per una potenza complessiva di 100-120 m.


Una particolarità del giacimento di Perticara era l’abbondanza di bitume, specialmente in corrispondenza delle faglie, associato a calcare, gesso e allo stesso zolfo. Talora era tanto abbondante che si pensò di utilizzarlo, cosa resa però impossibile dalla forte concentrazione di zolfo.

Durante l’attività di coltivazione del giacimento i lavori in sotterraneo si estesero per 3,500 m in direzione E-W e 1,200 m in direzione N-S, interessando un’area di ca. 450 ha, per una lunghezza complessiva delle infrastrutture scavate (pozzi, gallerie, discenderie…) di almeno 50 km e una profondità di circa 400 m articolata su otto livelli (da 0 a 7), unificando di fatto le miniere, anche se le concessioni rimasero distinte (fig. 3).

Fig. 1 - Miniera di Perticara: pianta schematica e sezioni (Museo storico Minerario di Perticara)

Fig. 2 - Sezione verticale del giacimento di Perticara (Belvederi, 2016)

Fig. 3 - Grafo del sistema di gallerie sotterranee nel complesso minerario di Perticara (Belvederi, 2016)

Cenni storici


A partire dal 1490 sono molti i documenti che testimoniano, direttamente o indirettamente, la coltivazione di zolfo a Perticaja nel Comitato di Talamello.

Nel 1603 Papa Clemente VIII accordò ai suoi nipoti, signori anche di Perticara, di fabbricare la polvere sulfurea e di venderla liberamente senza la licenza degli appaltatori della Camera Apostolica.

Nel 1755 venne costituita una società a cui partecipava anche una famiglia locale,

quella dei Masi, che aprì nuovi pozzi nell'area.

Nel 1788 erano sicuramente in attività sei bocche d’estrazione a Perticara, in cui lavoravano una sessantina di operai, e 2 a S. Agata Feltria, una delle quali era la miniera di Maranzana.

A cavallo tra XVIII e XIX secolo, le guerre napoleoniche alimentando il consumo di polvere da sparo determinarono inizialmente un incremento della produzione di zolfo.

Tuttavia, gli effetti della guerra sulle raffinerie e fabbriche olandesi di acido solforico, che usavano lo zolfo marchigiano-romagnolo, provocarono l’interruzione delle vendite, l’accumulo dell’invenduto nei magazzini e la chiusura delle miniere.

Della situazione approfittò il conte Giovanni Cisterni di Rimini che dapprima acquisì l’invenduto e poi, tra il 1816 e il 1819, le miniere di Perticara e Maranzana, sfruttando le difficoltà economiche dei Masi.

Nel frattempo tra il 1807 e il 1810, a causa del blocco navale napoleonico, lo zolfo siciliano venne escluso dal mercato determinando conseguentemente la crescita dell’importanza dello zolfo marchigiano-romagnolo, alimentata anche dalla capacità gestionale e imprenditoriale del Cisterni che migliorò notevolmente la produttività e l’efficienza dell’attività mineraria.

Nel 1838 il Cisterni cedette le sue miniere ai francesi Augustin Picard, di Avignone, e Charles Poithier, residente a Firenze, che però fallirono nel 1841, non riuscendo più a reggere la pressione al ribasso sui prezzi dovuta alla straripante produzione di zolfo siciliano.

Nel 1844, il propagarsi dell’oidio, terribile parassita che stava distruggendo i vigneti europei, rilanciò la produzione dello zolfo per la sua funzione antiparassitaria.

La “Nuova Società delle Miniere Sulfuree di Romagna”, costituitasi quello stesso anno per iniziativa di Paolino Masi che dirigeva i lavori in sotterraneo e a cui partecipavano alcune delle personalità più in vista dell’economia bolognese, approfittò della congiuntura favorevole per riprendere l’attività mineraria.

La strada scelta per reggere la concorrenza dello zolfo siciliano fu ancora quella di puntare all’efficienza produttiva, per ottenere la quale la società dovette affrontare vari tipi di problemi:

  • la meccanizzazione del lavoro in miniera, con l’introduzione di argani mossi da macchine a vapore per la movimentazione di minerale e manodopera dai pozzi, di pompe per l’eduzione delle acque, di mezzi meccanici per il trasporto del minerale su binario;

  • l'uso dell'esplosivo per l'abbattimento del minerale, che migliorava la produttività ma diminuiva la sicurezza a causa degli incendi che si potevano sviluppare, come quello del 3 agosto 1854 a Perticara che causò la morte di 13 operai e chiusura del sotterraneo per un mese;

  • l'ammodernamento dei sistemi di fusione dello zolfo, passando dalle olle di terracotta a quelle di ghisa, poi ai calcaroni, studiati da Paolino Masi in un viaggio in Sicilia.


Tuttavia, essere passati in un decennio (1845÷1855) da 1,180 a 6,350 tonnellate di zolfo non bastò a garantire la sopravvivenza della Società, a fronte dei grandi investimenti sostenuti senza un'adeguata copertura finanziaria.

Quando, il 9 marzo 1853, il Conte Cisterni morì, il genero Angelo Legnani propose al Gerente della Società di ricostituirla su diverse basi e un capitale più solido.

Nacque così, a Bologna il 14 febbraio 1855, la “Società delle Miniere Zolfuree di Romagna” per la gestione delle miniere di Perticara, Marazzana e Formignano, con un capitale di 220,000 scudi per 1,100 azioni, sottoscritte da tutte le famiglie più importanti della borghesia e dell’aristocrazia bolognese.

Lo scoppio della guerra di Crimea nel secondo semestre del 1855 dette nuovo slancio alla produzione di zolfo che crebbe fino alla quota record di 7,025 tonnellate nel 1860, valore peraltro ridimensionato negli anni successivi e non più raggiunto fino al 1871 (fig. 4 e tab. 1).

In particolare, la forte riduzione di produzione del biennio 1862 (4,330 e 2,894 tonnellate) fu dovuto, oltre che all’impoverimento delle lenti mineralizzate, a una frana di vaste proporzioni che interessò i sotterranei di Perticara nel 1861 [1] e allo scarso rendimento dei calcaroni per le avverse condizioni atmosferiche del 1862.

Nei successivi decenni (1870-1890) la produzione di zolfo greggio nel complesso minerario di Perticara oscillò tra un minimo di 4,339 tonnellate (1876) a un massimo di 7,112 (1881), mentre la manodopera si mantenne sempre su valori elevati vicini alle 900 unità, con un massimo di 1,107 nel 1878 e un deciso calo sotto le 600 unità dal 1889, in corrispondenza anche alla crisi della miniera di Marazzana in cui fu sospesa l’attività nel 1892, rimanendo aperti i soli impianti di trattamento alimentati con il minerale estratto a Perticara.

Nel 1893 il crollo del prezzo dello zolfo sul mercato internazionale colpì duramente le miniere marchigiano-romagnole, già in fase critica a causa dell’impoverimento delle mineralizzazioni coltivate.

Ciò portò al fallimento della Società delle Miniere Zulfuree di Romagna, dichiarato dal tribunale di Bologna il 2 agosto 1895, con conseguenze drammatiche sull’occupazione, scesa sotto le 400 unità, e la produzione, intorno alle 2,000 tonnellate.

Dopo alcuni anni in cui le miniere furono mantenute aperte e gestite dagli stessi operai, tramite la “Cooperativa di Consumo e di Lavoro”, nel 1899 il controllo passò alla Società Luigi Trezza-Romagna, che acquisì tutte le miniere di zolfo marchigiane e romagnole, eccetto S. Lorenzo in Zolfinelli controllata dalla Miniere Solfuree Albani.

Cinque anni dopo, tuttavia, la Trezza acquisì anche l’Albani, formando la Società Trezza Albani Romagna, con 8 milioni di capitale versato, che prese il controllo di tutte le miniere di zolfo dell’Italia centrale.

Nel 1906 venne emanato il Regio Decreto del 28 gennaio il quale estese agli zolfi del continente il regime della tassa unica di una lira a tonnellata di zolfo greggio, che in Sicilia era vigente già dal 1896, alleggerendo la pressione tributaria sugli zolfi continentali.

Questa misura e l’accordo del 1908 tra il Consorzio obbligatorio degli zolfi siciliani e l’americana Union Sulphur Co. per la suddivisione del mercato internazionale e la fissazione di un prezzo minimo dello zolfo, fissato intorno alle 95-100 lire/ton, garantirono un quadro di stabilità entro il quale le produzioni di zolfo italiano continentale trovarono lo spazio per svilupparsi.

Nel decennio 1911-1920 la produzione di zolfo marchigiano raggiunse le 20,548 tonnellate medie annue di cui 7,779 (37.86%) a Perticara che rappresentavano il 6.55% della produzione nazionale.



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[1] In una relazione del 16 marzo 1863 a Quintino Sella, l’ingegner Felice Giordano, capo del Reale Corpo delle Miniere, così descrive la situazione: «...La vasta escavazione praticata in quella ubertosa zona del banco, mal sorretta da una roccia labilissima al contatto dell’aria, diede luogo nel 1861 alla terribile frana, la quale insieme a tanti lavori sepolse grande parte delle speranze fondate su questa miniera. Ora le ruine furono circoscritte, e con solerti e prudenti lavori si raggiunsero li più lontani cantieri, ancora intatti, facendoli comunicare con il pozzo d’estrazione...purtroppo le parti della miniera, dove oggidì si aggirano i nuovi lavori di ricerca e di scavo, non presentano la ricchezza di quelle franate... Malgrado però questa nube che copre oggidì la sorte della miniera in discorso, riesce di qualche sollievo il fatto che la sua lavorazione... accenni oggidì ad un sensibile miglioramento...».

Fig. 4 - Grafico di manodopera e produzione di zolfo greggio nel complesso minerario di Perticara

Tab. 1 - Manodopera e produzione di zolfo greggio nel complesso minerario di Perticara

Nel 1917 la Trezza-Albani vendette tutto il pacchetto minerario alla Montecatini Società Generale per l'Industria Mineraria e Agricola.

Fu una transazione molto favorevole al compratore, se si considera che che il valore del minerale già estratto e quello dei conti bancari delle miniere acquistate superavano il prezzo pagato per l’acquisto.

Per la Montecatini si trattò di un ulteriore passo sulla via del compimento della strategia di Donegani [2] di occupare sempre più spazio nelle imprese minerarie in Italia, dove già controllava il 98% della produzione di rame e il 79% di quella delle piriti, concorrenti dello zolfo per la produzione dell’acido solforico, base dell’industria chimica.

Come per Cabernardi-Percozzone, l'acquisizione da parte della Montecatini significò per Perticara la riorganizzazione dei servizi e nuove ricerche per valutare la reale entità del giacimento.

Furono approfonditi e rivestiti in muratura 4 pozzi Vittoria (profondità 280 m), Perticara (352 m), Parisio (255 m) e Mezzena (465 m) , introdotta l'elettrificazione degli argani, rafforzata la ventilazione, ampliate le officine meccaniche e la centrale elettrica, realizzati nuovi impianti di trattamento, modificato il sistema di coltivazione con un maggiore uso della ripiena, sostituita la polvere nera con la dinamite, costruita la teleferica Perticara-Mercatino Saraceno (oggi Novafeltria).

Dal 1917 al 1925 la produzione di zolfo greggio passò da 7,201 a 25,378 tonnellate (+252%), con un aumento della manodopera che arrivò 1,041 unità.

L’aumento della produzione continuò sempre più impetuosamente fino al massimo di 48,720 tonnellate del 1932 con una manodopera di 1,456 unità.

Pur se negli anni successivi la produzione diminuì, anche a causa del grosso incendio del 23 ottobre del 1934 che provocò la morte di 4 minatori e la chiusura della miniera fino al 4 marzo 1935, come nel caso di Cabernardi anche il complesso minerario di Perticara riuscì sostanzialmente a limitare le perdite associate alla crisi del ’29 con una minore produzione nel 1935 di 34,387 tonnellate (-29.42% rispetto al 1932), ritornata su valori superiori a 40,000 tonnellate già nel 1936, mantenuti fino al 1940 con un massimo di 49,581 nel 1938 e un’occupazione massima di 1,634 unità nel 1941.

Durante la guerra la produzione di mantenne sopra le 30,000 tonnellate fino al 1943, per poi crollare alle 7,562 tonnellate del 1945 con una manodopera ridotta a 657 unità, anche a causa della distruzione per cause belliche degli impianti esterni avvenuta il 23 settembre 1944.

Terminato il conflitto, da giugno 1945 cominciarono i lavori per la ricostruzione degli edifici per il magazzino e l’officina, della cabina di trasformazione, delle sale compressori e macchine dei pozzi Vittoria e Parisio. Tutti i pozzi vennero dotati di nuove macchine per l’estrazione e la movimentazione del personale e aspiratori per la ventilazione.

Le lavorazioni ripresero a pieno regime nel gennaio 1946, anno in cui la produzione tornò a superare le 20,000 tonnellate di zolfo greggio e la manodopera i 1,000 addetti, proseguendo il trend di aumento con continuità fino al 1950 quando si raggiunse il massimo relativo di 30,091 tonnellate nel 1950, mentre il massimo di manodopera fu di 1,444 unità nel 1947.

Mentre a Cabernardi scoppiava la crisi del 1952, a Perticara analoghe vicende vennero spostate al 1955, quando furono inviate le prime 155 lettere di licenziamento.

La Montecatini aveva ormai deciso lo smantellamento del comparto solfifero marchigiano-romagnolo e, nonostante l’opposizione dei sindacati e degli enti locali, perseguì il suo obiettivo senza tentennamenti, pur se dilazionato nei tempi.

L’occupazione scese sotto le 1,000 unità nel 1959, essendo stati sospesi l’anno precedente 447 minatori, ridotti a 350 per la vasta mobilitazione dei lavoratori e delle comunità locali, i più mandati in pensione anticipata o collocati in altre miniere e industrie della stessa società.

Seguiranno altri licenziamenti e trasferimenti, tanto che nel 1960 il numero degli occupati si ridusse a 475, continuando a diminuire fino alla chiusura di aprile 1964, mentre l’accettazione della rinuncia avvenne con DM del 30 agosto 1966, che riguardava sia la concessione di Perticara che quella di Marazzana


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[2] Guido Donegani, amministratore della Montecatini.


L'incendio del 23 ottobre 1934


Si è già detto del pericolo rappresentato dagli incendi nelle miniere di zolfo, in particolare in quella di Perticara, dove le gallerie erano scavate direttamente nella mineralizzazione, causando gravi conseguenze sia al personale che alla coltivazione, impedendo anche il rapido arrivo delle squadre di soccorso.

Nella tabella seguente sono sintetizzati i maggiori incendi verificatesi nel complesso minerario di Perticara.

Tra questi, quello del 23 ottobre 1934, pur più contenuto nel numero delle vittime, si rivelò il più devastante dal punto di vista della porzione di giacimento compromessa e dell’interruzione dell’attività estrattiva.

L’incendio, sviluppatosi al 1° livello est, presso il Pozzo Perticara, si estese fino a una distanza di 120 metri. Ogni tentativo di avvicinarsi al fronte, dopo il primo recupero dei minatori coinvolti, si rivelò inutile e la miniera fu chiusa. Successivamente si decise di entrare dal Pozzo Perticara utilizzando un flusso d’aria governabile per abbattere la temperatura; dopo 47 giorni si riuscì a domare l’incendio e la miniera venne riaperta il 4 marzo 1935.

Impatto delle discariche minerarie sulle acque del torrente Fanantello


La definizione degli impatti della miniera di Perticara sarebbe stata di grande importanza ambientale durante il periodo di attività, in quanto gli impianti di fusione liberavano grandi quantità di anidride solforosa, che reagendo con l’acqua producevano acido solforico con un conseguente forte impatto sugli organismi viventi, in particolare sulla vegetazione esposta.

Ad attività estrattiva chiusa da vari decenni, il materiale di scarto presenta composizioni relativamente poco problematiche, sebbene contenga grandi quantità di metalli alcalino-terrosi, i quali contribuiscono non poco alle concentrazioni disciolte totali (TDS) delle acque che drenano i cumuli di scarto.

Tuttavia, in relazione all’estensione assai elevata delle gallerie della miniera, stimabile in più di 100 km, è importante valutare, tramite un monitoraggio delle acque sotterranee, le implicazioni che possono derivare dalla dispersione nell’ambiente esterno di tali acque.

Un altro aspetto interessante, e già accennato, della miniera di Perticara riguarda la grande quantità di idrocarburi contenuti nelle marne bituminose a letto e a tetto dei calcari solfiferi, che ancora spillano dalle pareti delle gallerie raccogliendosi in piccole pozze e che potrebbero inquinare le acque superficiali in caso di contatto con le acque di miniera, con conseguente aumento delle concentrazioni di IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) di cui è nota la cancerogenicità.

Due campagne di monitoraggio eseguite nel 2009 (Peruzzi, Tesi 2009) e 2015 (Peruzzi et alii, 2015) hanno portato ai risultati sintetizzati in tab. 7.

Le analisi testimoniano di acque con elevato contenuto degli elementi costituenti le rocce incassanti (calcio, magnesio e solfati).

Per quanto riguarda la Concentrazione di Soglia di Contaminazione (CSC), si osservano superamenti di Ni (DF1 ) e Fe2+ (DF1, DF2) nei campioni del 2009 e di Mn (Fanante, Dis. Ovest, Marazzana) nel 2015.

La concentrazione del Mn nell’area è ben conosciuta, dato che a inizio XX secolo la Breda aveva installato a Novafeltria un impianto di estrazione di Mn dalle marne calcare raccolte in zone calanchive.

Si osserva, infine, una significativa presenza di Sb in Marazzana 2015, vicina al limite della CSC.

Ne risulta che sarebbe interessante dal punto di vista ambientale approfondire lo studio sul contenuto di Mn, Ni e Sb nelle acque interne alla miniera, aumentando il numero delle analisi e confrontando situazioni piezometriche diverse, anche alla luce del fatto che le acque in ambiente anossico, in maggioranza nella miniera di Perticara, tendono ad accumulare metalli in forma ridotta con una mobilità maggiore rispetto ai rispettivi elementi ossidati.

L’antimonio (Sb) merita di essere tenuto in considerazione in virtù della sua similitudine tossicologica con l’arsenico.

Il manganese (Mn), pur presente negli organismi viventi, può avere effetti nocivi per la salute umana sia in caso di esposizione acuta che, come a Perticara, in caso di esposizione cronica a piccole quantità.

Alla luce del superamento di CSC del Nichel (Ni) si ritiene importante un approfondimento analitico relativo alla valutazione di un’eventuale dispersione di questo elemento nell’ambiente esterno.