Grandi storie minerarie  

Le analisi del database ISPRA, in particolare per quanto riguarda i concessionari e la politica minerari italiana, sono piuttosto impietose per quanto riguarda la storia industriale del comparto minerario  e le sue prospettive future.

Tuttavia, pur in un quadro mediocre, nel panorama minerario italiano si stagliano alcune figure che hanno fortemente contribuito allo sviluppo dell’attività mineraria italiana.

Sono personaggi diversi:

Riuscirà nel suo intento aprendo quella che diventerà una delle più importanti realtà europee nella produzione di piombo e zinco.

Pur rimanendo sempre incompreso nella sua isola, chiusa ai progetti imprenditoriali, riuscirà a dare vita ad una delle poche famiglie imprenditoriali sarde, la famiglia Sanna-Castoldi.

Il suo erede e successore, il genero Alberto Castoldi, porterà alla definitiva consacrazione la famiglia, facendo della Montevecchio una delle più importanti miniere europee di fine XIX secolo ;

Lasceranno il segno nelle tecnologie e tecniche di arte mineraria: il primo iniziando la grande opera per l’eduzione delle acque da Monteponi; il secondo riorganizzando la gestione della miniera di Montevecchio, facendone quella grande miniera che sarà guidata sulla stessa falsariga dai suoi successori: il già citato Alberto Castoldi, e Soliman Bertolio, anch’esso genero del Sanna e autore di un apprezzato manuale Hoepli sulla “Coltivazione delle miniere”;


Pur nella loro diversità, tutti questi sono uniti dal fatto di essere singole persone, o gruppi familiari, che hanno perseguito con successo un singolo obiettivo imprenditoriale e/o tecnico-gestionale. Anche quando il loro lavoro ha portato alla creazione di un sistema oligopolistico o addirittura a diventare una multinazionale, come nel caso dei cementieri, si è trattato del risultato di un grande lavoro settoriale che puntava al successo della propria impresa, ma senza una visione sistemica e strategica.

Una visione che ha certamente coltivato Guido Donegani, vera anima della Montecatini, l’unica vera espressione italiana di industria mineraria, come denunciava la sua denominazione sociale completa: “Montecatini, Società Genérale per l’Industria Mineraria”.

Le stesse successive modifiche della denominazione originale, “Montecatini, Società Genérale per l’Industria Mineraria e Agricola” nel 1920 e “Montecatini, Società Genérale per l’Industria Mineraria e Chimica” nel 1938, ne sottolineano l’ampliarsi degli obiettivi e della strategia.

A proposito di visione strategica, un precoce tentativo di programmazione statale della politica mineraria aveva perseguito Carlo Emanuele III, duca di Savoia, che nel XVIII secolo rivoluzionerà completamente la gestione delle miniere sul territorio del regno sabaudo, mettendole direttamente sotto il controllo delle Regie Finanze, dandole una chiara impronta di tipo militare, affidando la Sovraintendenza al cavaliere Spirito Benedetto Nicolis di Robilant, giovane capitano di artiglieria nominato Ispettore Generale delle Miniere, e costituendo una compagnia di artiglieri-minatori.

L’esperienza durerà un ventennio, dal 1752 al 1771, e si concentrerà in particolare sulle miniere aurifere di Alagna, in Valsesia.

La mancata produttività delle miniere, causata anche da fattori esterni come la disastrosa alluvione del 14 ottobre 1755, ne provocherà il fallimento e la gestione verrà riconsegnata ai privati, seppure sotto il controllo statale.

Nel Granducato di Toscana le miniere di ferro elbane hanno sempre costituito un settore strategico, controllato dallo Stato attraverso una gestione mista pubblico-privata, l’Amministrazione Cointeressata delle Reali Miniere del Ferro dell’Isola d’Elba e delle Fonderie di Follonica, che venne confermata con poche modifiche al passaggio al Regno d’Italia.

La concessione delle miniere veniva assegnata cumulativamente in appalto nel rispetto di un Capitolato per l’affitto delle Regie Miniere dell’isola d’Elba e delle Fonderie di Ferro in Follonica, redatto dal Ministero delle Finanze, Direzione generale del Demanio.

La storia recente delle miniere elbane ha, quindi, un valore di politica nazionale delle materie prime e non può essere svincolata da quella della siderurgia italiana e dai suoi errori che si riverberano anche nell’attualità delle vicende dell’ILVA di Taranto.

Le miniere di zolfo siciliane hanno dominato il mercato solfifero mondiale per tutto il XIX secolo, ma, come sottolineato anche nell’analisi dei dati di censimento, il suo limite è sempre consistito nella dispersione dei concessionari e gabellanti, favorita dal regime fondiario in vigore nel Regno delle Due Sicilie.

Non è, quindi, possibile individuare una storia singolare, più significativa è la storia del Consorzio obbligatorio dell’industria solfifera siciliana, istituito nel 1906 dal governo per combattere la crisi del comparto solfifero a causa dell’entrata sul mercato mondiale dello zolfo americano, più conveniente grazie ai costi ridotti del metodo di coltivazione Frasch non praticabile in Sicilia.

Oggetto di ben tre approfonditi articoli di Luigi Einaudi sul Corriere della Sera (1906-1907), da lui definito «uno sperimento così audace di collettivismo di stato» con accezione non pregiudizialmente negativa, il Consorzio prevedeva una durata di 12 anni ma fu prorogato per due volte, chiudendo nel 1932 anche a causa della grave crisi economica del 1929.

Infine, gli ultimi due capitoli sono dedicati a due personaggi estranei alla storia mineraria italiana considerata in senso stretto, ma importantissimi sia per la loro statura intrinseca sia per le ricadute che la loro attività ha avuto sulla storia mineraria italiana:

Già in un’altra sua opera del 1530, Bermannus sive de re metallica, pur riconoscendo il ruolo del lavoro e della fortuna nell’attività mineraria sottolineava anche l’importanza dell’arte mineraria «… che a me pare non essere in ogni caso qui del tutto assente…».

Fu autore, nel 1872 della Relazione sulle Condizioni dell’industria mineraria nell’isola di Sardegna, che può essere considerata come punto di partenza per una strategia mineraria in Italia.

La relazione deriva da un viaggio ispettivo svolto in Sardegna nel maggio 1869 accompagnato da Eugenio Marchese, che nel 1993 pubblicò un libro di memorie su quel viaggio dal titolo Quintino Sella in Sardegna.