Quintino Sella

ingegnere minerario

Laureato a Torino in ingegneria idraulica con successiva specializzazione in campo minerario presso l’Ecole des Mines di Parigi; con un ruolo importante nell’elaborazione della legge mineraria del Regno di Sardegna del 20 novembre 1859 che istituisce il “Servizio relativo alle miniere, cave ed usine”, alla cui direzione viene chiamato Felice Giordano suo amico e sodale sin dal periodo universitario; forte sostenitore della realizzazione della Carta geologica d’Italia alla scala 1:100,000, da lui progettata sin dal 1862 con la relazione "Sul modo di fare la Carta Geologica d'Italia"; membro della “Commissione parlamentare di inchiesta sopra le condizioni morali, economiche e finanziarie della Sardegna”, nel cui ambito ha redatto la Relazione finale “sulle condizioni dell’industria mineraria nell’isola di Sardegna”, che può essere considerata come punto di partenza per una strategia mineraria in Italia; ispiratore della fondazione della Scuola mineraria per la formazione di tecnici di miniera e di operai specializzati di Iglesias, Quintino Sella (fig. 1) può essere considerato, tra le altre cose della sua densissima vita[1], come “padre fondatore” e “nume tutelare” della politica mineraria italiana.

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[1] Tra le altre cose Quintino Sella fu l’”iconico” Ministro delle Finanze dei primi governi del Regno d’Italia, in più mandati tra il 1862 e il 1873; il fondatore del Club Alpino Italiano nel 1863; il Presidente dell’Accademia dei Lincei dal 1874 alla morte avvenuta nel 1884 a soli 57 anni.

Fig. 1 - Quintino Sella (1827-1884)

L'istruzione e l'attività politica

Nato il 7 luglio 1827 a Sella di Mosso, in provincia di Biella, da Bartolomeo Maurizio e Rosa Sella [2] in una ricca famiglia di mercanti-imprenditori del settore tessile, esponenti del notabilato locale e proprietari terrieri, era l’ottavo di ben venti figli, di cui solo dieci sopravvissuti: quattro maschi, dei quali era il minore, e sei femmine.

Educato ai valori del dovere e dell’austerità, viene avviato agli studi classici nel civico Collegio di San Francesco a Biella, da cui ne uscirà diplomato in filosofia e arti liberali nel 1843 all’età di sedici anni.

L’intenzione del padre era di farne un ingegnere idraulico, in modo da diventare il responsabile del settore meccanico e della forza motrice necessaria all’azienda di famiglia, ragione per cui viene iscritto alla facoltà di Ingegneria dell’Università di Torino dove otterrà la laurea quattro anni dopo, il 3 agosto 1847.

Durante il periodo universitario conosce il torinese Felice Giordano (fig. 2), due anni e mezzo più grande e anch’esso laureato in ingegneria idraulica, che diventerà suo amico e sodale per tutta la vita [3], soprattutto in campo minerario e alpinistico.

Dopo la laurea i due amici sono inviati dal Ministro dell’Interno sabaudo Luigi des Ambrois a Parigi, con una borsa di studio per specializzarsi alla celebre Ecole des Mines e poter essere successivamente inseriti nel Servizio minerario degli Stati sardi.

Durante i tre anni di perfezionamento, che concluderà nel 1851, Quintino fa l'apprendistato visitando le officine dell'Auvergne, le miniere di Pontgibaud in Francia, la regione mineraria dello Harz in Sassonia, le miniere del Galles e della Cornovaglia. Tutte queste esperienze

avranno un ruolo fondamentale nella sua formazione mineraria.

Si appassiona soprattutto alla mineralogia e petrografia, come confessa in una lettera alla madre, mandata dalla città sassone Clausthal nel dicembre 1851: “Una passione sola mi cagiona talvolta qualche conforto ed è quella delle pietre. Ho qua occasione di studiare delle bellissime pietre, e ciò mi fa passare qualche ora felice. Non avrei mai creduto che lo studio della natura fosse così allettevole”.

Tornato in Italia con un grande bagaglio di saperi teorici e pratici e la conoscenza di tutte le principali lingue straniere (inglese, francese, tedesco, spagnolo), si sente portato soprattutto a coltivare una forte vocazione di studioso e a formarsi una famiglia con la cugina Clotilde Rey, da cui avrà sette figli, mentre l’azienda familiare ,dopo la morte del padre Maurizio nel 1844, rimane in gestione al solo fratello Giuseppe, coadiuvato nei momenti di necessità da Quintino [4].

Nel periodo tra il 1852 e il 1859 sarà:

 

Il 14 aprile 1860, su sollecitazione di Cavour, entra in politica con l’elezione nel collegio di Collegno resosi vacante: vi rimarrà fino alla morte, per 9 legislature consecutive (VII÷XV), svolgendo da subito incarichi di governo estremamente importanti.

Diventa Ministro delle Finanze in tre successive occasioni: 3 marzo 1862÷8 dicembre 1862 con Presidente Urbano Rattazzi; 27 settembre 1864÷13 dicembre 1865 con Presidente Alfonso La Marmora; 14 dicembre 1869÷10 luglio 1873 con Presidente Giovanni Lanza.

In questo ruolo, diventerà il Ministro delle Finanze per antonomasia: nel bene, perché risanerà il bilancio statale; nel male, perché lo farà soprattutto con la tassa sul macinato, a costo dei sacrifici della popolazione più povera, soprattutto del Sud.

A sua parziale giustificazione occorre dire che la situazione in cui trovò nel 1869 il bilancio dello Stato era disperante: i costi delle guerre d’Indipendenza e l’unificazione italiana, più rapida di quanto lo stesso Cavour si aspettasse, avevano dissanguato le casse statali; le uscite erano il doppio delle entrate, i costi per gli interessi assommavano al 36% di quello che oggi si chiamerebbe il PIL; la tassazione era soprattutto di tipo indiretto, mentre quella diretta era del tipo che oggi si direbbe “flat tax”, gravando (sic!) sui redditi per una sola aliquota pari al 13%.

Si sarebbe potuto operare aumentando l’aliquota di tassazione diretta, si sarebbero potute ridurre le spese, in particolare quelle militari, ma per il Sella la tassa sul macinato era la misura più sicura e rapida per ottenere il risultato voluto.

D’altronde tutti dovevano pur mangiare, pane e polenta per lo più, e allora bastava mandare i carabinieri a montare in ogni mulino un contatore che misurava i giri delle pale e calcolare i consumi su cui imporre la tassa, maggiore sul grano (2 lire per quintale) che per il mais (1 lira) e, quindi, a gravare di più sulla popolazione meridionale, consumatrice di grano, che su quella settentrionale che “andava a polenta” (fig. 3).

Il pareggio di bilancio sarà raggiunto nel 1876, quando il Sella non era più al governo ma la tassa del macinato sempre in vigore, a prezzo dell’impoverimento delle masse contadine, dell’aumento dell’emigrazione, della chiusura dei piccoli mulini a favore di quelli più grandi, maggiormente in grado di gestire la questione sia tecnicamente che amministrativamente, riuscendo ad assorbire nella grande quantità di prodotto parte degli effetti sui prezzi della tassa.

L’operato del Sella, tuttavia, non deve essere giudicato solo su quella sua misura così vituperata, né appiattito sulla politica della classe dirigente dell’epoca, in particolare di quella Destra storica di cui pure fece parte, più per nascita che per scelta.

Era convinto che fosse compito dello Stato, attraverso la leva della politica fiscale, realizzare le infrastrutture civili indispensabili alla crescita economica, con particolare attenzione al volano degli investimenti produttivi nei lavori pubblici e nell’istruzione e della circolazione di capitali per finanziare le imprese industriali.

Fig. 2 - Felice Giordano (1825-1892)

Fig. 3 - Tassa sul macinato Art. 1

Tornando nello specifico del suo ruolo da ministro, nei primi due mandati riesce a completare l’unificazione degli uffici finanziari, riorganizza la contabilità dello Stato, traccia le linee dell’ordinamento tributario, introduce nel 1865 la nuova imposta sui fabbricati ed è costretto, per mitigare l’ulteriore indebitamento, a ricorrere a provvedimenti straordinari come l’alienazione dei beni demaniali ed ecclesiastici e la cessione ai privati della costruzione e gestione di ferrovie, strade, canali e porti.

Quando, però, assume l’incarico per la terza volta, nonostante la conferma e l’inasprimento della tassa sul macinato si rende conto che il risanamento finanziario avrebbe dovuto passare anche attraverso la riduzione draconiana della spesa pubblica improduttiva, a cominciare da quella militare, data l’ormai cessata minaccia austriaca, alienandosi così le già deboli simpatie della corona e dei vertici militari, che nel giugno del 1873 riuscirono a ottenere le dimissioni sue e dell’intero esecutivo.

Non tornerà più al governo, ma dal 1° marzo 1874 diventerà Presidente dell’Accademia dei Lincei, di cui era diventato socio dal 25 gennaio 1872.

Manterrà la carica per dieci anni, fino alla morte, proseguendo in questa funzione la sua azione politica a favore di Roma Capitale, per cui aveva già operato nel settembre del 1870 in modo da forzare la mano al re a favore della presa della città, facilitata dal crollo del Secondo Impero francese dopo la dura sconfitta nella battaglia di Sedan.

«Aveva l’obiettivo di dare alla città, finalmente italiana, una nuova missione universale quale capitale delle scienze della natura e dell’uomo, all’altezza della grandezza antica e contrappeso del giovane Regno alla presenza millenaria della Chiesa. Fu uno dei pochi politici a porsi il problema dello sviluppo urbano della città e del rapporto finanziario tra lo Stato e la capitale. Ma soprattutto operò per affiancare al mito antichissimo nel mondo occidentale, di Roma capitale politica e religiosa, una nuova funzione di centro irradiatore della scienza e baluardo dello Stato laico. Favorì il rinnovamento didattico e scientifico della facoltà di scienze; sostenne la creazione di una biblioteca nazionale centrale; si impegnò per la creazione di un archivio centrale del Regno, per gli scavi archeologici, i musei e le esposizioni. Soprattutto rinnovò e presiedette l’Accademia dei Lincei quale punto di riferimento per gli scambi di conoscenze con la comunità scientifica mondiale». (Dizionario Biografico Treccani)


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[2] I genitori del Sella erano cugini

[3] I due anche se a distanza rimasero sempre in contatto mediante un fittissimo epistolario durato 37 anni, dal 1847 alla morte di Quintino nel 1884.

[4] Degli altri due fratelli maschi, il maggiore Gaudenzio era morto e Francesco fuoriuscirà presto dalla gestione dell’azienda di famiglia.

[5] In questo ambito, nel 1855 inventerà la cernitrice elettromagnetica che permette la separazione della magnetite dalla pirite cuprifera.

La passione per l'alpinismo e la fondazione del Club Alpino Italiano (CAI)

Quintino Sella non fu solo politico, scienziato, ingegnere minerario, di cui saranno approfonditi nel seguito alcuni interventi, ma anche, se non soprattutto, un alpinista.

Da buon mineralogista e petrografo, Sella era particolarmente attratto dalle montagne, dove trovava materiale per i suoi studi cristallografici sul campo.

Torino, inoltre, era diventata già dal 1561 il centro politico e amministrativo dello Stato Sabaudo, al cui interno si trovavano per le più alte cime delle Alpi Occidentali e d’Europa, ed aveva rafforzato sempre di più la sua vocazione di centro gravitazionale di quel settore dell’arco alpino che segnerà la nascita dell’alpinismo nella sua originaria connotazione scientifico-esplorativa di matrice cittadina e intellettuale.

I valligiani locali, infatti, rimanevano lontani dalle cime per due ragioni: da un lato, non erano interessati ai terreni improduttivi posti oltre le praterie sommitali, dall’altro nutrivano per le grandi vette un rispetto sacrale da non profanare con la presenza umana.

Sul piano pratico, sarà la salita al Monte Bianco, compiuta l’8 agosto 1786 grazie alla determinazione del medico Michel-Gabriel Paccard e sotto la guida del montanaro di Chamonix Jacques Balmat, a rappresentare il punto d’inizio dell’alpinismo.

L’euforia per quella prima conquista aveva scatenato l’entusiasmo di molti aspiranti scalatori, soprattutto inglesi, che concentreranno il loro interesse in quel settore alpino, comprendente Monte Bianco, Monte Rosa, Cervino e altre cime svizzere.

Su queste basi, nel 1857 a Londra viene fondato il primo Club Alpino, a cui aderiscono sia scienziati della terra sia personalità più interessate agli aspetti fisici e sportivi dell’alpinismo.

Naturalmente questa eccitazione si estende presto anche al Piemonte e, in particolare, a Quintino Sella che in una lettera a Bartolomeo Gastaldi [6] del 15 agosto 1863 si chiede: «A Londra si è fatto un Club Alpino, cioè di persone che spendono qualche settimana dell’anno nel salire le Alpi, le nostre Alpi! […]. Anche a Vienna si è fatto un Alpenverein. […] Ora non si potrebbe fare alcunché anche da noi? Io crederei di sì.» [7]

Il Monviso (fig. 4) non supera i 4,000 metri, si ferma a 3,841 m, ma è una bella montagna che si staglia ben visibile [8] all’orizzonte, sormontato da una piramide che alla vista di un non scalatore sembra totalmente inaccessibile.

Posto più a Sud dei rilievi più alti, nella sezione delle Alpi Cozie, è ubicato del tutto in territorio italiano (fig. 5)in provincia di Cuneo e gode di un’altra proprietà che lo rende “iconico”: è la sede delle sorgenti del Po, il fiume più lungo d’Italia, che l’attraversa trasversalmente per sfociare in Adriatico dopo un percorso di 652 km.

La prima ascensione ufficiale [9] alla vetta, realizzata dagli inglesi William Matthews e Frederick Jacomb coadiuvati dai fratelli Jean-Baptiste e Michel Croz, guide alpine di Chamonix, è datata 30 agosto 1861.

L’anno successivo, il 4 luglio, la vetta viene raggiunta da una nuova cordata condotta da un altro alpinista britannico Francis Fox Tuckett, con le guide Peter Perm, Michel Croz e Bartolomeo Peyrotte di Val Pellice, primo italiano a conquistare la vetta del Monviso.

Le due imprese creano malumore e desiderio di rivincita tra i piemontesi che si chiedono: «Perché il Monviso non l'abbiamo scalato prima noi? Perché la più bella montagna della nostra cerchia alpina non è stata scalata da qualche piemontese? Abitandoci ai piedi tutto l'anno, avremmo potuto farlo a piacimento, prima che calassero a soffiarcela sotto il naso gli inglesi dell'Alpine Club...Perché la montagna che dà origine al Po, l'ombelico geografico dell’alta Italia, è stata scoperta così tardi? Eppure è sempre stata lì, ben piantata in mezzo alla barriera delle Alpi, sul nostro confine occidentale con la Francia, sotto gli occhi di Torino e di mezzo Piemonte! ... Ciechi siamo stati! Una distrazione simile si spiega solo con la cecità, rafforzata dal pregiudizio di crederla una vetta inaccessibile. Dovevano arrivare gli stranieri ad aprirci gli occhi, a dimostrarci che non era poi così difficile! ... Oltretutto gli inglesi si sono serviti di guide del Monte Bianco, savoiardi di Chamonix che fino a tre anni fa erano nostri compatrioti, finché Cavour ha regalato la Savoia a Napoleone III. Sia la comitiva Mathews, sia quella di Tuckett sono state condotte in vetta da Michel Croz, una guida della compagnia di Chamonix fondata quarant'anni fa sotto il regno di Carlo Felice. Croz è un montanaro nato e cresciuto come suddito del Regno di Sardegna...» [10]

Quintino Sella, alpinista patriottico e competitivo, non può, quindi, accettare che alpinisti inglesi in assenza di montagne a casa loro vengano a spadroneggiare in quelle italiane.

Decide, quindi, di organizzare una cordata tutta italiana per la riconquista del Monviso, composta oltre a lui dai conti cuneesi Paolo e Giacinto Ballada di Saint-Robert e dal barone e deputato calabrese Giovanni Barracco, accompagnati dalle tre guide alpine locali Raimondo Gertoux, Giuseppe Bouduin e Giovan Battista Abbà, mentre Bartolomeo Peyrotte, ancora traumatizzato dalla salita dell’anno precedete, rifiuta di aggregarsi alla cordata e sarebbe stato l’unico a conoscere la via per la vetta! Useranno gli appunti del Matthews, la cartografia realizzata nel 1833 dal capitano Felice Muletti durante un’ascensione insieme al topografo Domenico Ansaldi, fermatasi alla base dell’ultimo tratto giudicato insormontabile, e il foglio 57 (Monviso) della cartografia ufficiale dello Stato Maggiore che, però, si rivelerà poco affidabile.

Lo stesso Sella nella già citata lettera del 15 agosto al Gastaldi, non per caso intitolata “Salita sul Monviso”, dopo aver espresso il suo entusiasmo venato di rimpianto: «Carissimo amico, siamo riesciti, ed una comitiva italiana è finalmente salita sul Monviso! Questa meravigliosa montagna... il padre del maggior fiume d’Italia: la sola cima alpina e importante di cui pare che i Romani ci mandassero memoria, il “pinifer Vesulus”! Qual è l’italiano... il quale non desideri soggiogare questa splendida montagna, la cui vetta è per intero nostra? Ma era riservata alla costanza e all’ardire di un inglese la gloria di salirlo per primo...», così racconta l’impresa: «La mattina del 12 agosto eravamo tutti in piedi ai primi albori, e tosto ci avviammo coi nostri bastoni alpini a punta di ferro in compagnia delle tre guide, alle quali avevamo affidati barometri, martelli, cannocchiali, un’ascia per tagliare il ghiaccio, una lunga corda, qualche leggiero soprabito ed i viveri per una modesta colazione. Né scordammo il volume dei “Peaks, passes and glacíers” in cui si trova la relazione della salita del Matthews che fu la nostra vera guida. Ricalcammo le nevi già attraversate per andare al passo delle Sagnette, e indi ci volgemmo contro il seno meridionale del Monviso... Ivi avemmo a camminare alcun poco per nevi... e giungemmo ad una piccola collinetta, che aveva i caratteri di una morena. Dietro a questa sta un ghiacciaio... di qualche chilometro, il quale mi pare essere permanente... pervenuti appiè di un’altra parete... trovato siffatta pendenza, che i nostri piedi non armati di “grappe” non ci potevano reggere sulla neve... Forza fu dunque ricorrere all’accetta ed aprire... molte centinaia di gradini. Lavoro che ci fece perdere un tempo grandissimo... Si ascendeva talora sopra grossi frammenti sciolti, i quali erano assai pericolosi per la poca loro fermezza. Quindi venivano parecchi lembi di neve così ghiacciata e rigida (il pendio eccedeva talora 34°) e che terminavano in così fatti precipizi, che per fermo quegli cui fosse mancato un piede si sarebbe trovato a partito disperato. Io volli allora che ci legassimo l'uno all'altro con una corda comune... Ma le guide non avevano mai vista in opera una simile precauzione, che del resto in montagne così povere di ghiaccio come queste, rarissime volte occorre, e quindi moveano obbiezioni. Parimenti a taluno di noi pareva che questo legarci gli uni agli altri non dovesse avere altro effetto, che quello di trarre tutti a precipizio quando taluno fosse sdrucciolato. Finalmente riuscii a vincere tutte le difficoltà e fu grande fortuna, perché nello scendere uno di questi ripidissimi lembi di neve, sdrucciolò un piede al signor Giacinto di S. Robert. Non appena che il piede gli mancò, che abbandonò il bastone, il quale partì come una freccia giù pel ghiacciaio e se non era per la corda con cui era legato al Gertoux, egli era perduto...». Sarà Raimondo Gertoux a individuare la giusta via di salita, con gli altri sei che ne seguono giudiziosamente le orme, e ad arrivare primo in vetta seguito dal Sella che così descrive il momento: «... Mi posi a correre su per la scogliera che stavamo scalando con maggiore agilità che se fossi in riposo da una settimana, e ben presto giunsi a calcare la vetta. Qualche istante dopo arrivava il signor Giacinto di S. Robert, e poi man mano tutti gli altri. In un attimo stanchezza, dubbi, paure, sofferenze, tutto fu scordato. Eravamo finalmente riesciti! La soddisfazione delle buone guide che ci accompagnavano non era minore della nostra. Siamo venuti da noi, dissero anzitutto, senza bisogno di stranieri... Ma l’orgoglio nostro fu rintuzzato da un uomo di pietra (così diconsi nelle Alpi quegli ammucchiamenti piramidali di pietre che soglionsi costruire sulle vette), prova materiale che eravamo stati preceduti».

Sulla scorta di questa ascensione, come preannunciato nella lettera al Gastaldi, Quintino Sella fonda il Club Alpino di Torino il 23 ottobre, che nel 1867 diventerà il Club Alpino Italiano (CAI). Primo presidente sarà il barone Ferdinando Perrone di San Martino, con vicepresidente Bartolomeo Gastaldi, che ne divenne poi secondo presidente dal 1864 al 1872.

Come si ricava dalla descrizione del Sella, questi non aveva ancora digerito lo smacco subito dagli inglesi sul Monviso. Rimaneva ancora una grande montagna inviolata, il Cervino, vetta alta 4,478 m, al confine tra Italia e Svizzera, dal profilo inconfondibile (fig. 6), e ad essa si rivolge il Sella in una corsa alla vetta che vedrà la cordata italiana confrontarsi ancora con gli inglesi.

Poiché gli impegni politici e famigliari lo bloccano a Biella, la sua “longa manus” nella sfida sarà l’amico e compagno di studi Felice Giordano, con la collaborazione del bersagliere e alpinista valdostano Jean-Antoine Carrel (fig. 7).

Quest’ultimo sollecita il Sella con una lettera da Valtournenche del 7 agosto 1864: «Signore, il 29 e 30 del mese ultimo scorso sono stato a esplorare il Monte Cervino, per vedere se i luoghi dove eravamo passati in questi ultimi anni per farne l’ascensione non avessero subito alcun cambiamento. Ho constatato di persona, tenendo anche conto del parere di quattro guide di Valtournenche venute con me, che la montagna non potrebbe trovarsi in condizioni migliori per tentarne l’ascensione.

Poiché voi mi avete attestato il vostro vivo desiderio per questa ascensione, mi permetto di dirvi che non bisognerebbe tardar oltre, per avere più speranza di un felice esito.

Quest’anno nessun signore ha ancora tentato l’ascensione. Ho sentito dire che il Sig. Whymper è venuto fino a Zermatt, ma è ripartito non trovandosi in buona salute» [10].

Il 26 agosto Felice Giordano, che ha incontrato casualmente Carrel sul Colle S. Theodule vicino al Cervino, scrive al Sella: «... lo rividi poscia per un giorno intero a Breuil dove io stava rifugiato per la continua pioggia. Sono bene al corrente della questione Cervino: il vincerlo è presso a poco una quistione di spesa. Il Whymper quest’anno era tornato per altro tentativo, ma prima che ricominciasse dovette tornare in Inghilterra avendo ricevuto l’avviso della morte di sua madre. Nel giorno ch’io mi fermai al Breuil vi giungeva un altro inglese (certo Barbeck o presso a poco) determinato all’ascensione. È un giovinotto che mi sembra un po’ lunatico: mi sembra però che non avesse mezzi sufficienti a riuscire. Occorrono scalini e ferri nella roccia per un 40 mt. circa d’altezza, e questo è lavoro da far fare prima. Il Carrel desidera vivamente che l’ascensione sia fatta da qualche compatriota, onde non incoraggia molto li forestieri» [11].

Nel giugno 1865 l’alpinista inglese Edward Whymper (fig. 8), che già aveva più volte dal 1862 tentato la salita al Cervino anche con l‘aiuto di Carrel, e la guida bernese Christian Almer raggiungono il villaggio di Turtmann, in vicinanza all’imbocco della valle di Zermatt, dove trovano ad attenderli il vallesano Franz Biener e il savoiardo Michel Croz, già guida nella prima ascensione al Monviso.

L’obiettivo di Whymper è naturalmente il Cervino e il giorno 19 giugno i quattro arrivano a Zermatt, da cui tenteranno l’ascensione per la via svizzera, più praticabile di quella italiana.

Dopo aver studiato il percorso di salita e ingaggiato il portatore Luc Meynet, già conosciuto durante i primi tentativi di salita nel 1862, il 21 giugno la cordata si avvia per la strada prescelta che però si rivelerà impraticabile a causa di una valanga di pietre che blocca la salita.

Anche a causa di precedenti impegni presi dal capo-guida Croz, il gruppo decide di soprassedere temporaneamente all’ascensione e di trasferirsi a Chamonix sul massiccio del Monte Bianco.

Dopo alcune ascensioni su vette ancora inviolate, il 27 giugno il Croz abbandona la cordata e Whymper decide di tornare verso Valtournenche con l’idea di riprovare la scalata al Cervino, ma i compagni di cordata rimasti non ne vogliono sapere, per cui Whymper resta solo e prova a cercare il bersagliere Carrel per organizzare una nuova cordata.

Carrel prima accetta poi rinuncia perché contattato da Felice Giordano con cui aveva un accordo già dall’anno precedente.

Whymper capisce che Carrel è impegnato con un’altra cordata che vuole tentare la prima ascesa seguendo la via italiana, ma non vuole arrendersi.

È rimasto solo, ma il caso viene in suo aiuto sotto forma di un giovane alpinista inglese Lord Francis Douglas che, con la guida di Peter Taugwalder padre, ha appena effettuato la traversata da Zinal a Zermatt conquistando la vetta del Gabelhorn (4,063 m).

Douglas è appena diciottenne ma è sportivo nato, alpinista e nuotatore, e ha la stessa voglia di conquistare il Cervino che, secondo Taugwalder, è fattibile per la via svizzera.

Detto fatto, viene organizzata una cordata ─ composta da Whymper, Douglas, la giovane guida Peter Taugwalder figlio e un portatore locale ─ che si avvia verso Zermatt dove a questi si aggrega Taugwalder padre.

A Zermatt è appena arrivata un’altra cordata proveniente dal Monte Bianco, capeggiata dal Reverendo Charles Hudson, tra i più forti alpinisti inglesi, con il giovane e inesperto Douglas Robert Hadow e la guida Michel Croz (fig. 9).

Poiché entrambe le cordate hanno lo stesso obiettivo da raggiungere per la stessa via, decidono di unirsi: con il senno di poi non si rivelerà una buona idea.

È il 13 luglio 1865.

Quello che contemporaneamente avviene sul versante italiano del Cervino viene descritto ampiamente da Felice Giordano nelle lettere a Quintino Sella.

L’11 luglio dall’albergo di Breuil scrive: «...Io era a Val Tournenche sabato 8 a mezzodì. Vi trovai Carrel reduce da una esplorazione che volea fare al Cervino ma che mancò causa il cattivo tempo. Whymper era giunto 2 o 3 giorni prima; ed al solito voleva andar su, ed aveva impegnato Carrel, il quale non avendo ancora le mie lettere avea accettato, condizionatamente però a pochi giorni. Per fortuna il tempo divenne cattivo, Whymper non poté fare il suo nuovo tentativo, e Carrel si disimpegnò, venendo con me insieme a 5 altri uomini scelti che sono i migliori guide della Valle. Si organizzò subito la spedizione preparatoria composta dei 6 uomini suindicati, con Carrel a capo. Per non dar nell'occhio [12] portammo le corde, ed altri oggetti in un casolare che è assai rimoto sotto al Cervino, e quello sarà il basso quartiere generale.... Il tempo, il nostro Dio terribile, e da cui dipenderà tutto, fu sinora variabilissimo e piuttosto cattivo: ieri mattina ancora nevicava al Cervino, ma ieri sera si rasserenò. Nella notte partirono li 6 uomini con le tende, ecc., e spero che a quest'ora saranno già assai in alto. Il tempo però si volge nuovamente alle nebbie ed il Cervino ne è ora coperto; ma spero siano passeggiere... Sono qui in mezzo alle difficoltà, cioè al tempo, alla spesa orribile (bisogna pagare gli uomini 20 lire caduno al giorno di lavoro e mantenerli), ed al Whymper. lo ho ben cercato di tener tutto nascosto ma quest'individuo la cui vita sembra dipenda dal Cervino è qui insospettito che sta spiando il tutto. Io gli presi tutti gli uomini capaci; contuttociò è tanto acceso per questo monte che può andar su con altri o fare qualche scena. Esso è qui nello stesso albergo, ma io cerco di non parlargli. Insomma, io farò il possibile perché la cosa riesca bene, e lo spero purché Eolo ci favorisca. ... Non ti scrivo altro in attesa di poter fra poco mandarti un buon segnale...».

Il 14 luglio Giordano scrive: «Con un espresso ti mando un dispaccio a S. Vincent, distante di qui 7 ore di cammino; intanto per sicurezza ti mando anche la presente.

Oggi alle 2 pomeridiane con un buon cannocchiale vidi Carrel e soci sulla estrema vetta del Cervino [13]; con me lo videro molti altri, dunque il successo pare certo, e ciò malgrado vi sia stato ieri l'altro un giorno di pessimo tempo che coprì la montagna di neve. Parti dunque subito se puoi, od altrimenti telegrafami a S. Vincent. Whymper era andato a tentare dall’altra parte, ma credo invano... Se tu non vieni, o non telegrafi entro domani, io ascenderò per piantare là la nostra bandiera, per la prima; è una cosa molto essenziale. Farò tuttavia il possibile per aspettarti onde possa venire tu stesso».

Il giorno dopo, 15 luglio, la beffarda smentita: «Ieri fu una cattiva giornata e Whymper finì per spuntarla contro l'infelice Carrel. Whymper, dunque, come ti diceva messo alla disperazione e visto Carrel salire al monte tentò un colpo dalla parte di Zermatt. Tutti qui ritenevano impossibile assolutamente la salita da quella parte e Carrel pel primo: quindi eran tranquilli. Il giorno 11 Carrel saliva al monte e vi si attendava ad una certa altezza. La notte dall’11 al 12 e tutto il 12 tempo orribile e neve sul monte: il 13 tempo discreto e ieri 14 bello. Nel 13 si fece poco lavoro e ieri Carrel poteva essere alla cima e vi stava sotto forse 150 o 200 mt.; quando all'improvviso verso le 2 pomeridiane vide Whymper con 6 altri già alla cima... Il povero Carrel quando si vide preceduto non ebbe più il coraggio di seguitare, e torno giù con armi e bagagli...

Come vedi malgrado tutti abbian fatto il loro dovere, questa è una piccola battaglia perduta: ed io ne sono oltremodo dolente.

Credo però che vi sia ancora una revincita; cioè che alcuno monti subito dalla parte nostra, ciò che dimostrerebbe tuttavia la possibilità dell'ascensione da questa parte, e Carrel crede sempre alla possibilità di salire... credo che per non tornare col danno e le beffe bisognerebbe almeno fare quanto dissi sopra, cioè far piantare lassù la nostra bandiera. Cercai di organizzare tale nuova spedizione, ma sinora ad eccezione di Carrel stesso ed un altro, non trovai persone di cuore su cui contare. Se ne troverebbero forse alcuni altri strapagandoli; ma io non credo poi conveniente di immergersi in una tale spesa; e poi se manca loro il cuore non si è nemmeno certi del risultato.

Ieri la Valle Tournenche era già mezza in festa credendo che i nostri fossero saliti; ma oggi venne il disinganno. Il povero Carrel fa compassione; tanto più che una parte del ritardo proviene dalla sua idea che Whymper non avrebbe potuto salire da Nord ossia da Zermatt.

Io... imploro soltanto qualche tua protezione per la parte finanziaria che a me è troppo grave.

P.S. Malgrado tutto... tu potresti ancora fare l’ascensione per primo dal lato d’Italia se ne avessi il tempo; ma sinora Carrel non mi ha ancora potuto assicurare l’esito sino alla punta...».

Ma il Giordano non demorde e lo stesso giorno riesce a organizzare una nuova cordata [14] ─ con Carrel, il vicario di Cogne Abate Gorret, Jean-Baptiste Bich, Jean-Augustine Meynet e due portatori ─ che parte l’indomani mattina 16 luglio e raggiunge in giornata il campo base per l’ultimo attacco alla cima.

Lo stesso Gorret descrive quest’ultimo attacco: «Il mattino del 17... ci legammo... ed eccoci nuovamente in marcia. La giornata era bella. Il primo tratto, la scalata della torre era difficile... Ci muovevamo solo uno alla volta, gli altri, fermi, passavano la corda attorno a qualche spuntone per prevenire incidenti... Dopo la scalata della Tour, si abbandona la cresta per tornare sul lato di Valtournenche per un brutto canale assai pericoloso... Alle 9 calcavamo la piramide della spalla... alle 10 avevamo superato il segnale Tyndall [15]... nessuno era andato più in là... Il passaggio del Col de l’epaule è difficilissimo... È in questo tratto che abbiamo speso tanto tempo e fatica. Alla fine, giungemmo ai piedi dell’ultima testa che strapiomba un po’... Un canale largo qualche metro che prima non potevamo vedere ci separava dalla cresta, da cui la via appariva facile e senza pericolo. Studiando bene la posizione vedevamo che sette o otto metri sotto di noi si poteva arrivare sulla cresta e raggiungere la meta.

- Caliamoci giù.

- Sì, ma attaccandoci dove? Non abbiamo tempo di fissare neppure un anello di ferro alla roccia... questo è l’ultimo ostacolo.

... io ero il più pesante e il più forte... si trattava di sacrificarmi e così ho fatto. Puntando i talloni sull’orlo dell’abisso, la schiena contro la roccia, stringendo le braccia al petto calo con la corda due compagni [16], uno dopo l’altro, il terzo vuole restare con me; ne sono contento...

Qualche minuto dopo, i miei due compagni erano fuori pericolo, su terreno facile, galoppavano; il sacrificio compiuto mi pesava; a cavalcioni sulla cresta li guardavo, li incoraggiavo e coi talloni spronavo il Cervino come per farlo andare avanti, per fargli sentire che era domato:

- Adesso ci sei, animale!...

...Ci vennero incontro [17], il nostro arrivo fu un trionfo. A mezzogiorno del 18 luglio rientravamo al Giomein. Solo allora venimmo a sapere della disgrazia capitata agli inglesi che ci avevano preceduto» [10].

L’ultima affermazione dell’Abate Gorret si riferisce al terribile incidente capitato alla cordata Whymper durante la discesa verso Zermatt, in cui persero la vita quattro membri del gruppo: gli alpinisti Charles Hudson, Francis Douglas, Douglas Robert Hadow e la guida Michel Croz.

Lo stesso Whymper, in una lettera al segretario del CAI Signor Giovanni Battista Rimini, descrive così la tragedia: «... al momento dell’accidente, tutti erano fermi, e quantunque non lo si possa asserire con certezza, e nemmeno lo possa Taugwalder, giacché una massa di roccia ci impediva in parte di vedere i due primi uomini della catena, io sono persuaso che Croz aveva giustamente collocato il piede di Hadow in buona posizione, per cui erasi rivolto a discendere egli stesso d’un passo o due, allorquando il signor Hadow sdrucciolò, e cadde sopra Croz dandogli un urtone da squilibrarlo.

Io intesi subito un’esclamazione pronunziata da Croz, quindi vidi lui e dietro di esso Hadow rapidamente scivolare; non un minuto secondo dopo il signor Hudson era balzato del suo posto, e lord Douglas trascinato a terra immediatamente dopo di lui. Tutto ciò non fu l’affare che di un istante, ed in allora udii una disperata esclamazione di Croz. Mi piantai fermo, quanto la mia posizione sul suolo lo permise; Taugwalder fece altrettanto; la corda era tesa fra di noi, talché come un sol uomo potemmo sostenere il crollo; tenemmo fermo, ma la corda si ruppe a metà distanza fra Taugwalder e lord Douglas. Si è detto che essa si ruppe in conseguenza della sua rapida confricazione contro la roccia; non è vero: essa si ruppe in aria per la strappata, e la parte retrostante non presentò, né mostra alcuna traccia di preventiva deteriorazione o lesione. Per due o tre istanti noi vedemmo i nostri sciagurati compagni sdrucciolare al basso alla rinversa e dimenar braccia e mani per aggrappare di che salvarsi; quindi, essi scomparvero dal nostro sguardo per rotolare giù di precipizio in precipizio per l'altezza di circa 4000 piedi sul ghiacciaio del Cervino. Io tralascio di oltre contristare V. S. coi particolari della nostra discesa; basti il dirle che durante più di due ore nel discendere, io temeva per certo che ogni momento fosse il mio ultimo; i due Taugwalder interamente sfiniti e scorati piangevano come ragazzi e tremavano in modo tale da minacciarmi ancora della sorte degli altri. Noi guardammo in ogni direzione, durante la discesa, per trovare qualche traccia dei nostri compagni, ma non ne rinvenimmo, fuorché due delle loro asce da ghiaccio conficcate nella neve. In questo modo perdemmo molto tempo...

Fig. 4 - Il Monviso

Fig. 5 - Mappa del Monviso (estratto mappa n° 6 dell'IGC)

Fig. 6 - Il Cervino

Fig. 7 - Jean-Antoine Carrel (1829-1890)

Fig. 8 - Edward Whymper (1840-1911)

Fig. 9 - Michel Croz (1830-1865)

Fig. 10 - Monumento a Quintino Sella in via Cernaia (Roma)

Questo, o signore, è la fine della miseranda istoria: un solo piede messo in fallo, un solo sdrucciolo, fu la causa di tanta rovina... Pure io sono ben persuaso che se la corda fosse stata regolarmente tesa fra quelli che caddero, come lo era fra Taugwalder e me, tutta questa spaventevole tragedia avrebbe potuto essere evitata, né io avrei il dispiacere di doverle scrivere questa lettera...» [10].

Finisce così in tragedia la sfida del Cervino...

Undici anni dopo nel 1876, con la Sinistra storica al governo e gli impegni politici di conseguenza ridotti, Quintino Sella accetta la nomina alla Presidenza del Club Alpino Italiano.

A 49 anni è ancora relativamente giovane e in buona salute, così il nuovo incarico lo spinge a intensificare l’attività in montagna, dove è accompagnato dai figli Alessandro (19 anni) e Corradino (16 anni), che lo sollecitano a tentare la scalata del Cervino.

In un discorso ai soci del CAI di Napoli ricorda: «...Alle premure dei miei figli non seppi resistere, e partii. Partii dicendo:

- Via! Pian piano, lemme lemme, riuscirò come in momenti e in occasioni tanto più serie! E riuscii, miei giovani colleghi.» [10]

Il 13 agosto parte una cordata che oltre a Quintino comprende i figli Alessandro e Corradino e il nipote Carlo, guidati da Jean-Antoine Carrel, Jean-Joseph Maquignaz e dal giovane Ferdinand Imseng di Macugnaga.

Il 14 luglio il gruppo raggiunge la cima nell’entusiasmo di Quintino che in una lettera a un amico confesserà: «Che bella Montagna!... di una bellezza come quella del Cervino non te ne fai un’idea. Credevo di avere ormai una conoscenza discreta delle montagne, delle loro attrattive, della loro poesia. Ma salendo il Cervino dovevo confessare a me stesso che non ne sapevo nulla tanto grande è la differenza fra questa singolarissima massa e le altre montagne. Quindi sgridatemi quanto volete, se l’occasione mi si ripresenta io torno a salire il Cervino...» [10]

Due anni dopo il Sella coronerà la sua carriera alpinistica salendo il Re delle Alpi, il Monte Bianco.

Sarà il suo “canto del cigno”, già soffre di febbri ricorrenti che si riveleranno essere di tipo malarico e che lo porteranno alla morte il 14 marzo 1884, con amplissimo e unanime cordoglio.

Nel suo intervento durante la seduta della Camera dei Deputati del 15 marzo 1884 dedicata alla Commemorazione di Quintino Sella, l’onorevole Pasquale Stanislao Mancini, membro della Sinistra storica e teoricamente suo avversario politico, così lo illustrava:

«... In Quintino Sella noi possiamo onorare congiunti tre grandi uomini.

L'uomo di finanza, restauratore del credito e dell'ordine economico del suo paese, sì che i suoi successori hanno potuto felicemente, con non minore intelligenza ed ardire, compiere codesta grande opera.

L'uomo politico, che intuisce i destini della sua patria in un momento storico da non lasciarsi sfuggire, e tutto osa per compierli.

Finalmente l'uomo di scienza, il quale ha fede che l'avvenire dei popoli scaturirà principalmente da una grande coltura dell'intelletto, e perciò desidera che la diffusione e la severità di forti studi siano impulso e preparazione alla grandezza politica del suo paese...

... Ed il Governo crede di interpretare il voto del paese e del Parlamento, facendovi una proposta allo scopo di rendere permanente e duraturo il ricordo di questo tributo della pubblica riconoscenza.

Il mio collega ministro delle finanze a quest'uopo avrà l'onore di presentare alla Camera un disegno di legge per decretare la erezione di un marmoreo monumento, a spese dello Stato, alla memoria di Quintino Sella presso la sede dei Lincei, dove, escluso ogni dissenso politico, potremo unanimi onorarlo in quello che fu il teatro splendido e prediletto della sua attività, specialmente negli ultimi anni della sua vita... ».

Durante la discussione seguente, fu proposto un emendamento al disegno di legge in relazione all’ubicazione del monumento, che si chiedeva fosse localizzato vicino a Porta Pia, in via XX Settembre davanti al Ministero delle Finanze, per ricordare più che il ministro il grande sostenitore di Roma Capitale.

L’emendamento fu approvato e il monumento ubicato in via XX Settembre. Tuttavia, i lavori per il nuovo anello tramviario imposero, tra il 1926 e il 1927, lo spostamento del monumento sul lato di via Cernaia (fig. 10), in corrispondenza all’entrata posteriore del Ministero.

Nove anni dopo, nel 1893, Eugenio Marchese, che aveva accompagnato Sella nella sua visita alle miniere sarde nell’ambito della "Commissione parlamentare sulle condizioni dell’industria mineraria sarda", pubblicò un libro di ricordi di quel viaggio, Quintino Sella in Sardegna”, in cui così descrisse non solo lo scienziato e il politico, ma soprattutto l’uomo: «L’eminenza di Quintino Sella sta..., a mio avviso, nel suo carattere. Carattere il cui suggello è un altissimo senso della moralità... Retto e leale d'animo, come forte e quadrato della persona, si sarebbe potuto dire di lui, quello che Gesù disse di Nataniele, scorgendolo da lungi: “Ecco un vero israelita, nel quale non è inganno...”.

Il volere del Sella, conscio della potenza dell'ingegno, si prefiggeva sempre di andare a fondo di ogni soggetto che gli capitasse di dover trattare. Attratto dalle belle leggi geometriche della cristallografia, diventò un profondo cristallografo. Spinto dall'amore della montagna a fare l’ascensione del Monviso, fondò il Club Alpino. Trovata utilità nel servirsi... del regolo a calcolo, ne pubblicò la teoria e ne rese popolare l’uso in Italia. Convinto della opportunità di una Scuola di applicazione per gli ingegneri, ottenne la Scuola del Valentino con un’organizzazione di studi che divenne generale in Italia. E accenno, abbreviando, l'istituzione delle Casse postali di risparmio, la Scuola professionale di Biella, la Scuola mineraria d’Iglesias; senza toccar della sua opera finanziaria e politica, che è di dominio di tutta Italia, come lo sarà della Storia.

Nulla, per l’ingegno e la volontà, era a Quintino Sella impossibile...» 

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[6] Bartolomeo Gastaldi, geologo, archeologo e paleontologo, studioso della geologia alpina, cofondatore e secondo presidente del CAI.

[7] Pietro Crivellaro, (a cura di): Quintino Sella. Una salita al Monviso. Lettera a Bartolomeo Gastaldi (1863) - Verbania, Tararà, 1998, pagg. 44-45.

[8] Il nome Monviso deriva dal latino Mons Vesulus e significa Monte visibile e isolato (da Michelangelo Bruno, Monte Viso, Alpi Cozie Meridionali, Guida dei Monti d'Italia, Milano, Club Alpino Italiano e Touring Club Italiano, 1987).

[9] Per lo studioso francese Olivier Joseph la data andrebbe retrodatata al 1751 nel corso delle operazioni topografiche di rilevamento dei territori del Delfinato organizzati dallo Stato Maggiore francese, in cui la vetta del Monviso sarebbe stata utilizzata come punto base nelle triangolazioni (Olivier Joseph: Les ascensions oubliées des officiers géographes dans les Alpes du Sud, in Club Alpino Francese della Valle Moriana)

[10] Pietro Crivellaro: La battaglia del Cervino, Laterza (2016)

[11] Lettere di Felice Giordano a Quintino Sella. Parte seconda (7.8.1859-3.5.1875), a cura di Giorgio Vittorio Dal Piaz e Roberto Scoth, Rivista di storia dell’Università di Torino (2022)

[12] Ma, come detto, Whymper se ne accorgerà.

[13] Ma ciò che vide Giordano era la cordata di Carrel ma quella di Whymper.

[14] Una spedizione di vendetta nazionale, secondo la definizione dell’Abate Gorret.

[15] John Tyndall, alpinista e scienziato, conquistatore del Weisshorn (4,505 m), nel 1862 era riuscito ad arrivare a 250 metri dalla vetta, rimanendo poi bloccato.

[16] Sono Carrel e Bich.

[17] Per primo il Giordano

Quintino Sella e la politica mineraria

La Commissione parlamentare sulle condizioni dell’industria mineraria sarda

Il 22 giugno 1868, durante la X legislatura del Regno d’Italia, viene costituita la Commissione d'inchiesta parlamentare sopra le condizioni morali, economiche e finanziarie della Sardegna con Presidente Agostino Depretis, Segretario Mauro Macchi e componenti Quintino Sella, Filippo Cordova, Nicolò Ferracciu, Federico Giovanni Pescetto, Cesare Valerio, Giovanni Battista Tenani e Paolo Mantegazza.

Una parte importante dei lavori della Commissione è dedicata alle Condizioni dell’industria mineraria nell’isola di Sardegna, di cui è indicato come relatore l’onorevole e ingegnere minerario Quintino Sella. 


Il viaggio in Sardegna

Nel febbraio del 1869 i membri della Commissione fanno un viaggio di ispezione in Sardegna, per esaminare da vicino le reali condizioni dell’isola e intervistare direttamente gli amministratori locali, gli imprenditori, gli allevatori e gli agricoltori.

Naturalmente, una parte importante del viaggio è dedicata alla visita alle miniere, settore di cui è responsabile Quintino Sella, non solo eminente politico ma, nello specifico, soprattutto ingegnere minerario e già docente universitario della materia. Purtroppo, un improvviso lutto familiare lo costringerà presto a rientrare a Biella.

Tornerà il 4 maggio per completare quel viaggio ispettivo, che durerà fino al 27 maggio e in cui avrà come guida Eugenio Marchese.

Nato a Genova nel 1837 ma sardo di adozione e per scelta, ingegnere minerario con lo stesso curriculum di studi e di specializzazione del Sella, di cui era stato studente e diventato amico, Marchese era già stato Ingegnere Capo del Corpo delle Miniere di Iglesias, per poi diventare Direttore della miniera di Montevecchio dal 1862 al 1866, anno in cui fu sostituito dall’Ing. Giorgio Asproni.

Il viaggio si svolge attraverso un percorso dettagliato [18] di diciotto giorni, preparato dal Marchese su richiesta del Sella, che prevedeva le seguenti tappe (fig. 11): Cagliari, Iglesias, Fluminimaggiore, Montevecchio, Oristano, Sassari, Nurra, Gallura, Limbara, Ozieri, Correboi, Gennargentu, Lanusei, Tertenia, Sarrabus, passo dei Sette Fratelli, Cagliari.

Marchese conosceva bene la geografia difficile della Sardegna... «segnata da una orografia tormentata e dalla carenza di un razionale sistema di comunicazione... Questa geografia domina il racconto di Marchese quasi quanto le notazioni sulla situazione delle diverse miniere.

Ci sono quattro specie di geografie, nel racconto.

Intanto c’è quella geografia primaria, passione dell’ingegnere minerario, che è la geologia...

Poi c’è la geografia del paesaggio attraverso il quale passano i due viaggiatori, inerpicandosi spesso per strade [molto] difficili... una geografia affascinante, con un romantico senso dell’orrido, soprattutto sulle montagne dell’Iglesiente...

... La terza geografia è quella delle città, vista quasi di volo: i viaggiatori arrivano stanchi e sporchi, desiderosi solo d’un letto e d’un bagno, prima di riprendere il viaggio alle quattro del mattino dopo, quando l’inesorabile Sella scrolla il suo compagno ancora addormentato.

... La quarta geografia è quella propria del paesaggio minerario... in questo libretto... la parte più importante e più affascinante... “affascinante” … per due motivi.

Il primo è l’atmosfera totalmente primitiva, di lavoro duro e di sfruttamento feroce, che sembra governare il mondo delle miniere... In una miniera dell’Iglesiente Marchese chiede al direttore dove sono andati a finire i dodici minatori austriaci che aveva portato con sé qualche anno prima: la risposta è secca: “Undici li ha ammazzati la malaria, l’ultimo è saltato in aria con un barile di polvere...”.

Il secondo motivo... è il mondo variegato dei “cercatori”, degli impresari, degli ingegneri minerari. Quasi tutti stranieri i dirigenti [e] le società... uomini con una biografia incredibilmente avventurosa... alla ricerca d’un Eldorado barbarico... spesso bizzarri... persino un attivissimo prete Piscedda...» [19].

Tornato a Firenze, allora capitale d’Italia, il Sella si metterà subito a scrivere la sua relazione (vedi paragrafo seguente). Il ritardo nella presentazione sarà dovuto agli impegni ministeriali (nel dicembre 1869 sarà nominato per la terza volta Ministro delle Finanze) e, forse, alla speranza che il Presidente della Commissione Depretis si decidesse a depositare la sua relazione, cosa che non avverrà mai.

La Relazione sullo stato dell’industria mineraria sarda

Nella seduta del 3 maggio 1871 alla Camera dei Deputati l’onorevole Quintino Sella, all’epoca già Ministro delle Finanze, presenta un’articolata Relazione sullo Stato dell’Industria mineraria Sarda (fig. 12), frutto del viaggio di studio della Commissione effettuato due anni prima e descritto nel paragrafo precedente.

In premessa si sottolinea come «L’importanza dell'industria mineraria della Sardegna era nota a tutti noi prima che ci recassimo nell’isola onde compiere l’alta missione che il Parlamento ci affidò. Eppure, quando esaminata attentamente e fino in fondo taluna delle precipue miniere, ebbimo a toccare con mano quanto grande fosse il presente e quanto lusinghiero si presentasse l’avvenire, fummo unanimi nel dichiarare la nostra aspettazione vinta dai fatti...

La recente e radicale trasformazione dei paesi e delle città esistenti nelle regioni metallifere, ci dimostrava come le miniere avessero largamente contribuito al risorgimento da qualche lustro notevolissimo della Sardegna...

... Per altra parte non sfuggì alla vostra sagacia quanto serie siano le difficoltà contro le quali l’industria mineraria deve lottare nell’isola. Vi parve quindi dovere della Commissione il chiamare l’attenzione del Parlamento e del paese sulle miniere della Sardegna...

... Gli studi da me altra volta fatti intorno alle scienze minerarie mi valsero l’incarico di vostro relatore in questa parte del nostro compito. Incarico difficile ma onorevole anzi seducente...

... Pel buon governo delle miniere è necessario che chi le dirige abbia personalmente vedute e studiate molte altre miniere. Egli è solo coll’attento studio di masse metallifere, delle quali il lavoro umano abbia messo in chiaro la giacitura nelle viscere della terra, che si acquista la perizia indispensabile per presumere rettamente l’andamento di una massa metallifera che si imprende a coltivare. Egli è solo rendendosi conto dei modi con cui altri seppe risolvere le difficoltà gravissime quali talvolta s’incontrano nei lavori sotterranei, che si governa utilmente una miniera. Indi la necessità che gli ingegneri mineralogici veggano molte miniere...

... Non vi meraviglierete quindi se presso gli ingegneri delle miniere dell’isola, i quali mi accolsero come antico collega, io abbia trovato ogni aiuto per la presente relazione...»

La relazione è quindi articolata in tre parti:

 

Dopo rapido excursus sulla storia dell’attività mineraria in Sardegna, dai Fenici al periodo post-unitario, la relazione affronta lo stato attuale dell’industria mineraria a partire dai caratteri geologici e giacimentologici, articolati in funzione dei minerali coltivati e del loro rapporto con le formazioni incassanti, per arrivare a dare un quadro sintetico della situazione all’epoca dal punto di vista economico e produttivo (tab. 1).

Dall’esame della tabella risulta che la produzione è quasi completamente concentrata (96% del totale prodotto, 98% dei ricavi) in tre tipologie di minerali:

La miniera principale è Monteponi che copre il 37.4% della produzione, seguita da Montevecchio (23.4), Ingurtosu (9.4), S. Giovanni (7.5) e Masua (6.8), per un totale pari all’84.5%.

Le miniere principali sono quelle di Buggerru (Malfidano e Pranu Sartu) che coprono il 39.2% della produzione, seguite da Monteponi (24.5%) e S. Giovannino (18), per un totale pari all’81.7%.

La produzione è praticamente tutta concentrata nella miniera di S. Leone che produce il 99.5% del totale.

All’epoca del viaggio in Sardegna (1869) la coltivazione dell’associazione mineralogica Blenda e Galena, che avrebbe costituito il grosso della produzione successiva, era cominciata solo nel 1867 ed era ridotta a 88,637 quintali, pari allo 2% della produzione con una redditività media ancora bassa, pari a poco più di 9 lire/quintale, per la maggior parte (57%) concentrata nella miniera dell’Argentiera nella Nurra.

A premessa delle proposte per lo sviluppo dell’attività mineraria sarda, a partire dal quadro emerso dal viaggio di ispezione compiuto, il Sella affermava: «... per fermarci sovra le miniere essenziali, cioè di piombo e zinco, se puossi temere non senza fondamento che non seguiti lungamente nella profondità l’attuale ricchezza delle miniere di zinco [20], non si ha invece ragione di credere che l’importanza delle miniere di piombo abbia a venir meno. Anche il meno esperto di cosiffatte cose... non può non vedere che la causa, la quale introdusse il piombo nelle giaciture di Monteponi e di Montevecchio ha operato sopra una grande scala... ... Ogni presunzione che si può dedurre dai lavori attuali sulle miniere sarde ed ogni analogia colle giaciture metallifere meglio conosciute di altri paesi, ci conduce quindi a concludere che le miniere sarde danno le più fondate speranze d’importantissimo avvenire.»

Tuttavia, «... risulta ancora come gravi siano le difficoltà contro cui deve oggi lottare l’industria mineraria e come gravissime diventeranno ben presto, non appena si giunga a profondità per le quali non si abbia facilmente lo scolo naturale delle acque e si aggravi il costo dell’estrazione dei minerali...».

Individuati gli ostacoli principali allo sviluppo nel costo dei trasporti, nella mancanza di forza motrice economica, nell’insalubrità del clima e nella necessità di ricorrere a operai e capi-operai continentali, la relazione chiede di adottare i seguenti provvedimenti:

Si direbbe che gli addetti all’industria mineraria considerino le miniere ed i connessi stabilimenti come un’occupazione temporanea e pericolosa, da cui ritirare nel minor tempo possibile il maggior lucro che si possa, onde andarsene al più presto. I minatori continentali non conducono mai o quasi mai le loro mogli nell’isola, e quelli stessi dell’isola generalmente non portano le loro famiglie alle miniere...

... È sconfortante spettacolo lo scorgere più centinaia di operai raccolti attorno ad una miniera, ed il terreno circostante alle case o capanne ivi erette sterile e denudato.

Sono indicibili gli inconvenienti che nascono da questo stato di cose...

... giacché le masse metallifere si vanno esaurendo, ed è oltre ogni dire doloroso che di tanto lavoro, di tanta intelligenza che le miniere trassero seco, così poca parte, se ne rivolga a quella terra sotto cui stanno, e così poco rimarrebbe di acquisito definitivamente all’isola, una volta venute meno le miniere...»

Per quanto riguarda le relazioni fra gli isolani ed i minatori «... Non mancano certo in Sardegna, come in tutti i paesi... coloro nei quali il bene altrui eccita, non già feconda e nobile emulazione, ma sterile e bassa invidia, tutti costoro esagerano i lucri delle miniere, e, occorrendo, contrariano in quanto possono chi vi è applicato. Ma la grande maggioranza dei Sardi ha troppa intelligenza e troppo cuore per nutrire queste invidie.

Però anche gli uomini di ingegno più elevato e di animo ispirato a più nobili sentimenti sono addolorati, e fors’anco, senza che se ne avvedano, offesi, da questo fatto che di tanti minatori che le miniere chiamano dal continente nell’isola, così pochi vi si fissino, assumendo l’aspetto di recarsi ivi solo per togliere all’isola le ricchezze sotterranee che possiede, e di cui il pubblico ben spesso esagera il valore.



Fig. 11 - Indice del libro del Marchese con l'indicazione delle varie tappe del viaggio

Fig. 12- La Relazione del Sella nella ristampa a cura di Francesco Manconi (1999)

Tab. 1 - Produzione miniere sarde 1852÷1869 (Relazione Sella 1871)

Fig. 13- Monumento a Quintino Sella a Iglesias, nella principale piazza cittadina a lui dedicata

Indi si spiegano alcune deliberazioni [comunali, ndr] meno benigne verso l’industria mineraria...

... La Sardegna è bella ed interessantissima, ma difficilmente si decide a fissarvisi chi è da ragioni igieniche costretto ad abbandonarla per parecchi mesi di ogni anno. Sebbene non manchino nell’isola luoghi salubri, tuttavia si direbbe che i Sardi stessi una volta allontanati per qualche anno dall’isola non vi tornano così volentieri...

... La Commissione certo tratterà di codesta questione essenziale per la Sardegna, dell’insalubrità... le Maremme... ci hanno ammaestrato come una delle armi più efficaci contro l’insalubrità sia la coltivazione delle terre, e la frequenza della popolazione...

... Io credo che debba essere chiamata anzitutto la più seria attenzione dei direttori e dei proprietari delle miniere sopra la coltivazione delle terre circostanti alle medesime. Essi devono considerare quanto diverse sarebbero le condizioni delle miniere quando attorno ad esse vivesse una popolazione stabile...

... Si deve fare il possibile acciò ogni miniera diventi nucleo di un villaggio, e, ove occorra, un villaggio non solo, ma anche un novello comune...

... vi sono ancora in Sardegna latifondi enormi anche demaniali o comunali. Lo Stato procede, il più rapidamente che può, alla loro vendita. Sarebbe opportuno che i comuni vendessero pure o dividessero i loro... La disammortizzazione delle terre non può che re­care anche in Sardegna i frutti benefici che porta ovunque. Attorno alle miniere certo agevolerebbe l’opera colonizzatrice cui possono essere chiamate.

Avvi solo da fare qualche eccezione per le foreste di alto fusto, trattate fin qui in Sardegna dai privati con barbara inintelligenza. Il Salto Gessa, ove tante miniere si lavorano oggi, venne qualche anno addietro orbato dei magnifici suoi boschi da un privato che chiamerei l’Attila delle foreste sarde. Ed ora le miniere si fanno venire a grande spesa il legname occorrente dalla Corsica e dalla Svezia!»

... Non è lo stesso per le scuole dei capi minatori e capi fonditori... Per questi le scuole locali son evidentemente una necessità imprenscindile.

Detto ciò, e considerata l’importanza di educare in Sardegna un personale indigeno atto alla condotta dei lavori minerali e fonditori sotto la guida di valenti ingegneri, la utilità ed io dirò la necessità di una scuola mineraria per i capi minatori e fonditori è dimostrata. La località ove deve istituirsi non può essere contestata; la carta mineraria designa ad evidenza la città di Iglesias, come quella in cui una cosiffatta scuola è da crearsi.

Fra le migliaia di applicati alle miniere nei dintorni di Iglesias, molti non mancherebbero di mandarvi i loro figli e questi, mentre in parte della giornata o dell’anno, apprenderebbero nella scuola le nozioni teoriche necessarie per riescire esperti capi operai, potrebbero acquistare nelle adiacenti miniere e negli opifici la indispensabile perizia nei lavori. Si collegherebbero così, come in tante scuole della Germania, in modo felicissimo la teorica e la pratica ed i risultati della scuola non potrebbero che essere sicuri...

... In Sardegna è assai importante che i capi operai od almeno molti di essi, siano del paese onde poter nella cattiva stagione meglio resistere alle intemperie senza necessità di tornare sul continente [21], giacché per una lavorazione economica delle miniere, è pure indispensabile che il lavoro vi sia più continuo di ciò che è oggidì...

... Io confido che siffatta varrà anche a far prosperare meglio l’istruzione elementare nell’isola...

... Annesso alla scuola mineraria dovrebbe essere non solo per le esercitazioni degli scolari, ma anche per pubblico servizio, un laboratorio chimico. Per i contratti di minerali non solo, ma ancora per le opportune nozioni sul valore dei minerali che si trovano nelle esplorazioni, o si ritraggono dalle lavorazioni, è necessario fare almeno i saggi docimastici dei minerali stessi... in un centro così importante di miniere e di esplorazioni come Iglesias la necessità di un laboratorio ove un pubblico ufficiale faccia i saggi chimici occorrenti è troppo evidente perché occorrano ulteriori parole per dimostrarlo.

Colla scuola sorgerebbe da sé in Iglesias un museo mineralogico altamente istruttivo ed interessante, e si avrebbe così in Iglesias un centro scientifico i cui effetti sarebbero altamente benefici.

Io non dubito che il Governo troverà presso la città di Iglesias e la provincia di Cagliari tutto il concorso occorrente per la istituzione di questa scuola.» (fig. 13)


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[18] Il diario del viaggio è riportato nel libro “Quintino Sella in Sardegna”, scritto dallo stesso Marchese e pubblicato da Roux a Torino nel 1893, l’anno prima della sua morte a causa di febbre malariche contratte nella sua attività in Sardegna.

Del volume è stata realizzata una stampa anastatica nel 1994, nel centenario della morte del Marchese, dalla cui introduzione sono tratte, segnalate in corsivo, gran parte delle notizie riportate in questo paragrafo.

Dal 2016 un percorso analogo è riproposto, per la parte sud-ovest, dal trekking Cammino minerario di Santa Barbara.

[19] Manlio Bragaglia: Introduzione alla ristampa

[20] All’epoca lo zinco si estraeva soprattutto dalle calamine zincifere (smithsonite) incassate in terreni di alterazione e in genere superficiali. Il futuro dell’estrazione zinco sarà invece garantito dalla blenda associata alla galena, di cui all’epoca era appena cominciata l’estrazione.

[21] Per tornare alla questione dell’insalubrità, molti minatori e capi-minatori continentali tornavano a casa d’estate per evitare di prendersi la malaria.

A questo proposito, è probabile che lo stesso Sella abbia preso la malaria, che lo porterà alla morte quindici anni dopo, proprio durante il viaggio in Sardegna del maggio 1869.

L'intervento sulla cessione della miniera di Monteponi

A fine degli anni ’70 del XIX secolo la miniera di Monteponi si trovava ad affrontare il grave problema dell’eduzione delle acque, giacché le mineralizzazioni da coltivare, localizzate all’interno della formazione calcareo-dolomitica sede della principale falda acquifera dell’Iglesiente, si trovavano ormai al di sotto della superficie libera dell’acqua.

Poiché il lavoro previsto, che avrebbe giovato a tutte le miniere dell’area, era particolarmente gravoso sia dal punto di vista tecnico che economico e la concessione trentennale di Monteponi (1850-1880) era in scadenza, la direzione della miniera chiedeva:

 

Nella tornata del 21 marzo 1879 si svolge la discussione conclusiva sulla questione [22], in cui l’intervento dell’onorevole Quintino Sella è decisivo ai fini dell’approvazione del progetto di legge che prevedeva la cessione, in particolare per l’aspetto relativo alla dichiarazione di pubblica utilità.

Di seguito, viene riportata una breve sintesi della discussione [23].

Il disegno di legge presentato dalla Commissione e approvato dal Ministro delle Finanze Agostino Magliani prevedeva due soli articoli:

2.  La costruzione della galleria di scolo da Monteponi al mare sarà dichiarata opera di pubblica utilità a norma dell'articolo 83 della legge 20 novembre 1859, n° 3755, ed il nuovo proprietario della miniera, dovrà per essa, rinunciare agli indennizzi e compensi, che gli potessero toccare a termini dell'articolo 75 della legge predetta, in quanto però non saranno richieste maggiori o speciali opere nell'interesse di altre miniere.

Nel capitolato la galleria andrebbe definita per lunghezza, sezione e pendenza che devono essere le minime e tanto quanto basta a Monteponi.

Mentre per quanto riguarda l’articolo 1 non viene fatta alcuna obiezione formale, la discussione si concentra sull’articolo 2 [24] che dichiarava la costruzione della galleria di eduzione delle acque come opera di pubblica utilità.

Il deputato sassarese Francesco Salaris (fig. 14) interviene nella discussione in opposizione alla dichiarazione di pubblica utilità con le seguenti considerazioni: «... La Commissione però ha voluto introdurre un articolo 2, ed ecco le difficoltà; ecco sollevate le più gravi questioni. Questo articolo 2 esprime la necessità della costruzione di una galleria di scolo da Monteponi al mare; necessità, che non affermo, e non nego, perché vi sono delle ragioni per non negare, e per non affermare.

Veramente, a che impensierirsi per questa necessità? L'utilità e la necessità di quest'opera la vedrà l'acquisitore. Allo Stato conviene vendere. Ecco la questione per noi semplicissima. Ora se l'acquisitore troverà di sua convenienza questa galleria di scolo delle acque per poter ricavare una quantità maggiore di minerale, saprà provvedervi; a lui il costruire quelle gallerie che crederà...

E quindi io trovava ragionevolissimo il progetto del Ministero di limitarsi al solo articolo primo, senza entrare in tante questioni, delle quali accennai la prima. E non la è sola che solleva l'articolo 2, perocché ve ne sono delie altre e abbastanza gravi. Per questo articolo l'opera sarà dichiarata di pubblica utilità. Ora, francamente domando a me stesso: ma perché questa dichiarazione di pubblica utilità?...

... Davvero non capisco la dichiarazione di pubblica utilità; perché a tutto provvede la legge sulle miniere e si presenta affatto superfluo questo articolo...

... Con quest'articolo 2 si solleva un'altra maggiore difficoltà... S'impone all'acquisitore la rinunzia per quest'opera alle indennità ed ai compensi...

... Credete voi di facilitare in questo modo il concorso degli acquisitori? No: voi li allontanate, imponendo loro una gravezza per la quale indietreggeranno, ed allora, temo, rimarrà uno ad acquistare la miniera di Monteponi, e l'avrà al prezzo che vorrà, perché lo Stato deve alienarla, e farebbe peggio ritenendola...

... Lasciamo dunque che il citato art. 75 regoli questa materia e sopprimiamo il 2° articolo di questo progetto di legge...

... Lo Stato alienando questa sua proprietà, ed alienandola nelle condizioni in cui la si trova, non deve coartare la libertà del proprietario; il quale potrà far l'opera o non farla; potrà farla in dieci od anche in vent'anni, a sua volontà...

... Lo Stato vende; il suo solo interesse è riscuoterne il prezzo maggiore che potrà. A chi importerà il maggiore od il minore sviluppo della miniera sarà l'acquisitore, il quale nel suo privato interesse farà di tutto per ottenere un più abbondevole prodotto...

... Non intendo adunque davvero l'articolo 2 e francamente ne proporrò alla Camera la soppressione...

... Io credo, anzi sono sicuro, che il pensiero della Commissione sia stato quello di fare il vantaggio dello Stato; ma s'ingannò grandemente escogitando quest'articolo...

... E se accadrà che non all'asta pubblica, ma a trattativa privata debba essere venduta la miniera di Monteponi, ricorderò con compiacenza di avere adempiuto oggi il mio dovere, e di aver preveduto questa ipotesi che deplorerò nel fatto.»

All’intervento di Salaris risponde il Relatore della Commissione, il deputato, anch’esso sassarese, Pasquale Umana:

«... Laddove si fosse trattato della vendita di una miniera costituita in circostanze comuni, pari a quelle di tutte le altre, senza dubbio quest'articolo 2 non sarebbe giustificabile; noi l'introducemmo appunto perché dallo studio delle condizioni speciali della miniera di Monteponi ci risultò come essa sia in condizioni affatto eccezionali...

... la Commissione domandò al Ministero tutte le carte che potessero riguardare la miniera di Monteponi; tanto nelle sue fasi passate, quanto nella presente. Il Ministero trasmise alla Commissione un grosso volume di documenti, dai quali risultava come esso con sollecitudine commendevolissima, da parecchi anni si occupasse di questo affare, e provvedesse già a stabilire le condizioni più opportune per procedere all’affitto od alla vendita non appena il contratto vigente fosse scaduto.

Risulta eziandio alla Commissione che... tutte le amministrazioni che in questo affare potevano aver competenza, con premura ed intelligenza rare avevano risposto alle domande dei Ministero.

Laonde alla vostra Commissione non mancò nessun elemento per potere giudicare con sufficiente cognizione di causa...

... la vostra Commissione esaminando i documenti, numerosi ed accurati che le furono trasmessi, potè convincersi come lo stato attuale della miniera di Monteponi sia il seguente: il minerale in Monteponi si estrasse dall'alto in basso, ora dalla cresta, ora dai fianchi del monte, finché si giunse a 70 metri sopra il livello del mare.

Fin qui le cose procedettero bene; ma arrivato il lavoro minerario al livello di 70 metri, la società trovò il più grave degli ostacoli, un lago sotterraneo che arrestava i lavori.

Si fecero sforzi giganteschi, si spesero milioni, ma non fu possibile deprimere il volume di quest'acqua con mezzi meccanici. E così, onorevole Salaris, resta giustificato non già l’ingiungere, bensì il ritenere come condizione indeclinabile che qualunque industriale acceda alla compra della miniera di Monteponi, debba eseguire una galleria di scolo...

... Nella medesima zona mineraria... trovasi altre concessioni e parecchie nuove giova sperare che vi sorgeranno...

... L'onorevole Salaris pertanto dice: se questi industriali prossimi a Monteponi ritraggono un vantaggio diretto dall’escavazione della galleria, con qual diritto, con qual criterio di equità vieterete al compratore di Monteponi di farsi compensare la quota delle spese corrispondente al benefizio che agli altri impartiva? Con qual diritto gli industriali delle miniere della stessa zona godranno gratuitamente di un profitto positivo?...

... Le miniere che si trovano in quella zona, gli altri lavori minerari che vi sì potranno intraprendere, non godranno mai vantaggio di sorta da questa galleria, finché gli scavi non saranno progrediti tanto da arrivare a 70 metri al disopra del livello del mare. Trascorreranno forse più di 30 anni prima che si raggiunga quel livello. Epperò le altre miniere non avranno compensi da dare, né quella di Monteponi indennità da chiedere per un tempo molto, ma molto lungo...

... Essendo così le cose, qualunque industriale acceda alla compra della miniera di Monteponi, non può fare assegnamento sopra questi futuri compensi.

La quantità del materiale che spera ritrarre dalla miniera calcolando da 70 metri circa, cominciando la galleria a 10 o 12 metri sul livello del mare, comprende 57 o 58 metri verticali. Dunque dal valore del minerale che ha speranza di estrarre, detrarrà prima la spesa di estrazione, nonché quella di costruzione della galleria.

Epperò, quando l'acquisitore farà la sua offerta si sarà messo al coperto di ogni e qualunque spesa per cotesta galleria.

Perciò non vi è ingiustizia...

... Vediamo ora se gli industriali della stessa zona mineraria ne ritrarranno realmente vantaggi... È fuor di dubbio... che si tratta di benefizi molto lontani e molto incerti...

... Per conseguenza è certo che dal non accettare il nostro articolo 2 non ne ridonderebbe vantaggio di sorta all'acquisitore di Monteponi, come non ne verrebbe profitto alla finanza. Nessun compratore offrirà mai una lira di più per compensi così lontani, così incerti.

Tutto si risolverebbe in un semenzaio di liti...

... Ricordate signori, che in Sardegna le miniere di piombo traversano una penosa crisi... Quindi se incoraggiassimo quest’industria non portando danno all’acquisitore di Monteponi, né tampoco alla finanza pubblica, che male vi sarebbe?

Nazioni europee... gallerie simili a questa, ma lunghe parecchi chilometri,... costrussero con ingenti spese dello Stato.

L’onorevole Sella, in siffatta materia sopra ogni altro competente, me ne descrisse parecchie simili in amichevoli colloqui...

... Creda, onorevole Salaris, la Commissione non cedé al solo suo parere, ma si attenne alla deliberazione del Consiglio delle miniere, e seguì l'avviso delle persone più competenti.

Ancora una volta prego che la Camera e l’onorevole Salaris facciano buon viso a questo articolo 2».

L’onorevole Salaris riprende, quindi, la parola e, sottolineando l’abilità del Relatore nello svicolare dalle questioni poste, rilancia una sorta di manifesto della libera impresa: «... Lasciamo che le cose scorrano per la via naturale; lasciamo che l'acqua scorra sempre al mare; perché vogliamo impedire questo corso? Perché vogliamo arrestare la corrente? Se litigi nasceranno, saranno anche definiti tra l'acquisitore di Monteponi ed i concessionari delle altre miniere. Che importa di ciò allo Stato? L'asta è aperta, è libera; chi acquista lo stabile penserà egli ai casi suoi...

Io non credo opportuna la preoccupazione delle liti... inquantoché gli altri concessionari sono lontanissimi da un lavoro a 70 metri di profondità. Per la qualcosa sono in condizione di risentir danni, o di avere vantaggi quando... io sarò in Paradiso. L’onorevole Sella ride; se lo desidera, io gli farò parte del paradiso, e vi andremo insieme, quantunque, a parte la modestia, riconosca di essere più meritevole di lui di andarvi; ma io consento di buon grado di andarvi insieme.»

A questo punto il Presidente fa l’errore di sollecitare gli oratori ad essere brevi in modo da arrivare presto alla votazione, così irrita il Solaris che, pur dichiarando di essere stato sempre breve, riprende il suo intervento sostanzialmente ribadendo gli argomenti già espressi che alla fine sintetizza così: «L'effetto di questo articolo, se verrà accettato dalla Camera, non sarà altro che questo: che la miniera di Monteponi andrà nelle mani di qualche astuto, e l'asta non sarà che una fantasmagoria; tutti ne saranno allontanati, e la miniera di Monteponi cadrà in mano di cui è destino che cada.»

Finalmente, prende la parola l’onorevole Quintino Sella: «Comincerò naturalmente per augurare all'onorevole Salaris tutto il paradiso, del quale egli si sente così degno; ma, se mi permette, glielo auguro il più tardi possibile... Veramente l'egregio relatore ha già così bene rappresentato lo stato delle cose relativamente alle miniere di Monteponi, che io non saprei aggiungere cosa alcuna a ciò che egli ha detto; ma tuttavia siami lecito di riassumere le ragioni che spiegano il mio voto sopra questa questione.

I monti dove sono aperte queste miniere, nei dintorni di Iglesias, si compongono di scisti e di calcari permeabili all'acqua; cosicché avviene in quelle località questo fenomeno; che si ha il terreno straordinariamente asciutto ed arido, e poi al basso dei monti si vedono sgorgare delle fontane che sono veri torrenti... quindi è accaduto che, fintantoché i lavori di quelle miniere furono al disopra delle valli che separano questi monti o colli, non ci fu punto acqua; perciò la questione dell'acqua, cioè la difficoltà contro cui deve lottare l'arte mineraria in ogni paese del mondo, era in Sardegna totalmente sconosciuta. Ma quando si giunse al livello delle valli, e la miniera di Monteponi fu la prima a farne l'esperienza, che cosa accadde, o signori? Che quella stessa permeabilità, la quale così facilmente libera la miniera dall'acqua, quando si era al disopra della valle, tanto più infelicemente cacciava la sullodata, come si sarebbe detto altra volta dentro la miniera quando i lavori scendevano al disotto del livello della valle...

... lo ricorderanno i colleghi superstiti della Commissione d'inchiesta: noi abbiamo voluto scendere tutti fino in fondo di quella miniera, e quando vi arrivammo, cominciammo a persuaderci della vera condizione delle cose, e dicemmo francamente che la società non sarebbe venuta a capo di liberarsi dalle acque senza fare una galleria di scolo. La società non era molto persuasa di ciò, e poi, come affittuaria a breve scadenza, non poteva intraprendere un lavoro di questa mole; il fatto sta che si cercò di supplire colle trombe idrauliche... e l'acqua non si potè vincere permanentemente.

La necessità della galleria di scolo è quindi evidente. È inutile disputare tanto, onorevole Salaris, se il concetto dell'articolo sia espresso in modo che obblighi o non obblighi; si tranquillizzi: sventuratamente la galleria è una necessità, ed egli, sardo, dovrebbe saperlo, poiché da parecchi anni quella miniera si è dovuta fermare davanti all'impotenza di alzare per mezzo di artifizi le acque per liberarne i lavori... si deve fare un galleria che liberi dalle acque l’altezza di 70 metri circa e che dovrebbe essere lunga 5 chilometri e che richiede un milione e mezzo di spesa... Ma si è presentata una seconda questione: quando questa galleria sia fatta per Monteponi, che cosa accadrà nei rapporti del proprietario di questa galleria coi proprietari delle altre miniere contigue già esistenti e con quelle che possono sorgere?...

Fig. 14 - Sommario della tornata 21 Marzo 1879  della Camera dei Deputati

Fig. 15 - Francesco Salaris (1826-1900)

.. Accadrà... questo: che quelle miniere contigue, che oggi sono libere dalle acque, per la semplice ragione della loro altezza al di sopra del fondo della valle, continueranno ad essere libere dalle acque, non già perché i lavori loro sieno al di sopra della valle stessa, ma perché saranno al di sopra del livello della galleria che sarà fatta per Monteponi... Quindi voi intendete la gravità delle questioni che sorgeranno tra il proprietario della galleria di Monteponi ed i proprietari delle miniere contigue.

Voi scendete sotto il livello della valle; avete acque? non ne avete... merito mio; mi dovete tanto per concorso delle spese della galleria.

È questa una disputa di tal natura che ha atterrito tutti coloro che hanno qualche abitudine, qualche conoscenza di miniere.

Se le condizioni fossero quelle di tanti consorzi, che furono fatti per costruire opere che liberassero dalle acque le miniere già esistenti, le difficoltà sarebbero minori...

... Ma qui la condizione delle cose è diversa... cerchiamo di prevenire e non soltanto reprimere sempre, almeno in fatto di miniere...

.... la questione delle miniere è una questione che va sempre guardata dal lato dell’avvenire; ed anzi dirò di più, di un avvenire lontano...

... Che cosa sono i nostri 50 metri, 150 metri? Che cos’è la profondità che v’è oggi nelle miniere di Sardegna? Un nulla [rispetto alle, ndr] miniere di 800, 900, 1000 metri di profondità... che continuano imperturbabilmente... verso l’inferno forse...

... Ora io dico, signori, dobbiamo noi prevedere che le miniere di Sardegna abbiano da scendere non solo al livello della valle, non solo al livello del mare, ma qualche centinaio di metri al disotto?... Una miniera come quella di Monteponi, che costituisce un grandioso fenomeno, volete supporre che cessi dopo 100 o 150 metri?...

... Ebbene, la questione si presenta in questo modo: per lo spazio pel quale le altre miniere dovranno calare i loro lavori tra il fondo della valle ed il livello del mare, per questi 60 o 70 metri vi sarà, se non ci si provvede in tempo, un periodo di dispute che io non so come si potranno definire...

... Ma poi, quando i lavori sian discesi al di sotto di questo livello, sarà forse la questione finita? No, sicuramente, signori! Imperocché, continuando i lavori della miniera, le acque bisognerà pure tirarle su. Ora, se queste altre miniere non fanno per conto proprio gallerie dell'importanza di quella che deve fare Monteponi, è evidente che vi sarà pure la questione dell'immissione di queste acque nella galleria di Monteponi; onde la questione rimarrebbe sempre aperta.

Ora, o signori, prima che voi facciate di questo proprietario della galleria di Monteponi una specie di tiranno che debba tormentare tutto il distretto minerario d'Iglesias, domandatevi, come io faccio: ne val la pena? Ecco, quindi, come io mi permetto di porre la questione... Si costituisce lì un proprietario della galleria, il quale ha sopra i proprietari delle miniere contigue, che vengono anche momentaneamente ad avere un beneficio per tale galleria, una ragione di diritto per domandare un compenso per la costruzione della galleria stessa. Ecco in che termini pongo la questione. Vale la pena?...

... Ora se noi fossimo in un paese, il quale avesse dovizia di miniere antiche, i cui lavori fossero profondi, la questione non sarebbe stata neppure sollevata, o signori. Si sarebbe senz'altro dichiarata opera di pubblica utilità la costruzione di questa galleria, non solo nel senso dell'applicazione della legge delle opere di pubblica utilità, ma nel senso che dovesse il Governo costruirla per liberare quel distretto minerario per quanto fosse possibile...

... Per esempio, in Ungheria il 5 settembre 1878 fu terminata uno Stollen, chè così chiamano là le gallerie di questa natura, per liberare dalle acque un distretto minerario per 16,538 metri. Liberò il distretto minerario di Semlij per l'altezza di 200 metri. Noi... staremo anche in proporzione. E sapete quando fu iniziato quel lavoro? Nel 1782 e, da gente previdente e costante, hanno continuato per quasi un secolo a picchiare bravamente un colpo dopo l'altro, finché hanno liberato quel distretto minerario dall'acqua per tutta quell'altezza... oggi le miniere sono interamente liberate dalle acqua, e la galleria fu fatta pressocché per intero a spese dello Stato...

... Ora... in una condizione come questa, in cui vi ha tutta una rete di miniere, tutto un distretto minerario, deve lo Stato intraprendere per pubblica utilità, a spese sue, o quasi interamente sue, una galleria di scolo, per liberare dalle acque tutta una regione?...

... mi sia lecito domandare: il futuro acquisitore della miniera di Monteponi quale maggiore prezzo darà per quella miniera, coll'obbligo inevitabile (mettete o non mettete l'articolo 2, fa lo stesso; la galleria si dovrà fare) di fare questa galleria, qual maggiore prezzo darà all'erario se lasciate la regola comune [art. 75, ndr], ovvero se introducete l'articolo proposto dalla Commissione ed accettato dal Governo? Questa è la questione. L'onorevole Salaris converrà con me che, se la differenza non è grande, anch'egli desidererà di liberare tutti questi presenti e futuri proprietari di miniere contigue a Monteponi dalle vessazioni, di cui certamente sarà maestro e donno il padrone della miniera di Monteponi per la proprietà della galleria riguardo a loro... se provate ad interrogar qualunque perito di questa miniera vi dirà che la differenza è inapprezzabile... Imperocché, signori, si tratta di compensi da aversi... quando?... qual è quella persona la quale comprando una proprietà, voglia sborsare un capitale di migliaia di lire per un diritto che forse non eserciterà né per trenta, né per venti, né, forse, per dieci anni? Questo non sarebbe finanziariamente serio. Non credo d'essere molto largo nelle cose della pubblica finanza, ma confesso che sono perfettamente tranquillo a questo riguardo, e che non credo d'imporre un danno sensibile alla pubblica finanza, ammettendo l'articolo della Commissione. Questa, e non altra, o signori, è la questione...

... Credo anzi che questo articolo valga a semplificare la questione, perché fa sì che l'acquirente non sia obbligato ad attaccar briga con tutto un distretto minerario; quindi mi pare che senza entrare in considerazioni tanto elevate sopra l'industria delle miniere, voi dobbiate votare l'articolo che la Commissione vi propone.

Ma vi è una considerazione... Questa considerazione si riferisce alle condizioni dell’industria del piombo... Ora, quella benedetta America, che pare destinata a sconvolgere la situazione economica di tutti paesi, sapete che fatto ci offre in questo momento? Una scoperta nelle montagne rocciose di uno dei suoi Stati, enorme, grandiosa di minerali argentiferi. Questi minerali argentiferi, molto ricchi d'argento, sono accompagnati da minerali di piombo...

... Per poter quindi avere l'argento, bisogna prima giungere al piombo argentifero; e quando si è ottenuto questo, si fa sopra di esso quella operazione che... viene chiamata la coppellazione, la quale ha per effetto di convertire il piombo metallico in litargirio e di separare l'argento metallico. Cosicché anche quando si volesse abbandonare il piombo, pure conviene, per avere l'argento metallico, produrre questo litargirio, che è ossido di piombo puro, che in tale stato si usa in tante industrie.

Quindi mentre i nostri poveri minatori devono durare tante fatiche per avere questo minerale piombifero, ecco che gli americani lo hanno quasi per nulla, perché basta mettere questo litargirio sul carbone per averne del piombo purissimo.

Cosicché l'America inonda il mercato di tutto il mondo di questo piombo, che viene venduto al prezzo insignificante... per modo che il prezzo del piombo dalle 53 lire e più al quintale calò in Europa a 33 e 34 lire con danno indicibile alle nostre miniere di piombo...

... La prospettiva e la situazione delle nostre miniere di piombo, e quelle delle altre d'Europa (poiché abbiamo dei compagni nella disgrazia) diventa difficile, difficilissima.

Ora, in questa condizione di cose, un po' di previdenza è così grande peccato? Io non credo che vi sia offesa per nessun principio giuridico: vi è certo un beneficio, vi ha certo la pubblica utilità. Non mi pare quindi che ci sia nessun grave peccato nel l'approvare quest'articolo 2.

Se dovessi riassumere il mio pensiero direi che mi pare che ci sia un po' di carità. Mi si dirà che nelle scienze giuridiche non entra la carità, ma pure credo che sia anche aforisma giuridico, l'antica sentenza: “quod tibi non nocet, et alteri prodest, concedendum est”» [4].

Dopo un breve intervento del Ministro delle Finanze che ribadisce il parere favorevole ai due articoli del progetto di legge, il Presidente mette in voto i due articoli separatamente.

L’articolo 1 viene approvato nella forma presentata.

Per l’articolo 2 lo stesso Presidente chiede di sostituire nell’ultimo capoverso l’espressione “andrebbe definita” con l’espressione “sarà determinata”.

Il Relatore approva la sostituzione e l’articolo 2 è approvato nella forma modificata proposta.


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[22] Nel corso della discussione parlamentare si fa riferimento a due articoli della Legge mineraria del Regno di Sardegna n. 3755 del 20 novembre 1859, qui di seguito esplicitati.

Art. 75: Ogni qual volta per effetto di vicinanza, o per qualunque altra siasi causa, i lavori di una miniera cagionassero danni ad altra miniera, o quando quegli stessi lavori producessero un effetto utile all’altra miniera, specialmente liberandola totalmente od in parte dall’acqua, si farà luogo ad indennizzazione o compenso da un concessionario all’altro.

Art. 83: Le opere, che, anche fuori dei limiti del terreno concesso, dovessero intraprendersi per la ventilazione e lo scolo delle acque delle miniere, sono annoverate fra quelle per cui si può far luogo alla dichiarazione di utilità pubblica, a termini delle leggi relative.

[23] Atti Parlamentari della Camera dei Deputati: Sessione del 1878-79, Tornata del 21 marzo 1879

[24] Originariamente il Governo aveva proposto alla Commissione un disegno di Legge con il solo art. 1, ma in Commissione fu deciso di aggiungere l’art. 2, scelta approvata dal Governo come dimostra la dichiarazione preliminare di approvazione del Ministro delle Finanze.

[25] Quello che non nuoce a te e conviene ad altri va concesso.

Bibliografia