Asfalto e bitume in Sicilia

La distribuzione dei siti a livello territoriale

In fig.1 è mostrata la distribuzione territoriale a livello comunale dei 32 siti di coltivazione di combustibili fossili & bitumi in Sicilia, di cui 30 di asfalto e/o scisti bituminosi, in grande prevalenza (23) in provincia di Ragusa.

Fig. 1 - Distribuzione territoriale a livello comunale dei siti di combustibili fossili e/o bitumi in Sicilia

Inquadramento geologico e giacimentologico

Le miniere di asfalto e scisti bituminosi sono localizzate nella parte sudorientale della Sicilia (fig. 1), in corrispondenza dell’Altipiano Ibleo, considerato parte della crosta continentale africana, che costituisce l’avampaese della Sicilia ed è segmentato a faglie aventi orientazione preferenziale NNE-SSO, NO-SE e E-O.

In particolare, le successioni carbonatiche sono interessate da importanti deformazioni plicative, con assi orientati principalmente NNE-SSO.

Dai dati dei pozzi petroliferi nell’area, la successione stratigrafica completa, dall’alto in basso, è costituita da:

  • Formazione Tellaro, costituita da una serie marnoso argillosa del Tortoniano (11÷7 Ma), con spessori di 200 m circa;

  • Formazione Ragusa, suddivisa, dall’alto verso il basso nei due membri:

    • Irminio, di età miocenica da inferiore a media (23÷11 Ma), diffusamente affiorante nell’area, la cui litologia è data da un’alternanza calcarenitico-marnosa, passante verso il basso a banchi di spessore metrico prevalentemente calcarenitici e calciruditici.

    • Leonardo, di età oligocenica superiore (34÷23 Ma), costituito da alternanze calcareo–marnose.

  • Formazione Alcamo, suddivisa, dall’alto verso il basso nei tre membri:

    • Amerillo, di età da Eocene a Cretacico superiore (90÷34 Ma), costituito da calcari duri a grana da fine a media, con livelli a noduli e lenti di selce.

    • Hybla, di età cretacica da media a inferiore (130÷90 Ma), costituito da argille di colore verde-grigiastro, con intercalazioni di calcare marnoso.

    • Busambra, di età da Cretacico inferiore a Giurassico superiore (160÷130 Ma), costituito da calcare bianco, compatto, con stiloliti.

  • Formazione Giardini, del Giurassico medio (175÷160 Ma), costituito da calcari argillosi.

  • Formazione Villagonia, del Giurassico inferiore (200÷175 Ma), costituita da calcari e calcari marnosi.

  • Formazione Streppenosa, di età dal Triassico superiore al Giurassico inferiore (228÷200 Ma), costituita da argille nerastre con calcari dolomitici.

  • Formazione Taormina, di età triassica da medio a superiore (250÷228 Ma), costituita da calcari dolomitici.


In particolare, i membri della formazione di Ragusa, osservabili in affioramento, costituiscono la sede della mineralizzazione ad asfalto e/o scisti bituminosi, spessa mediamente 10 m, con decisa prevalenza nell'intervallo inferiore, calcarenitico e calciruditico, del membro Irminio (fig. 2), separato da quello intermedio da un livello fosfatifero con spessore centimetrico.

L’impregnazione bituminosa, con tenori variabili tra 4 e 10%, è localizzata in corrispondenza della valle del fiume Irminio, tra i territori comunali di Ragusa e Scicli (fig. 3), anche se non si esclude la presenza della stessa impregnazione in aree limitrofe a maggiori profondità.

L’origine della mineralizzazione, correlata al grado di fratturazione della roccia e alla sua granulometria e permeabilità originaria, è ancora controversa anche se l’ipotesi più accreditata prevede la risalita, attraverso il sistema di faglie associate alla linea Scicli-Ragusa, di idrocarburi allo stato liquido dal giacimento petrolifero profondo, ospitato nelle dolomie triassiche della Formazione Taormina, sigillate a tetto dalle argilliti nerastre della Formazione Streppenosa e all’interno di un’anticlinale di probabile età cretacica inferiore.


In sintesi, e limitatamente ai terreni più superficiali, il modello di formazione del giacimento (fig. 4) prevede:

  1. deposizione delle successioni carbonatiche della Formazione Ragusa, con episodi di tettonica distensiva sinsedimentaria (da Oligocene superiore a Miocene medio, 34÷11 Ma);

  2. deformazione e raccorciamento delle successioni, determinati dalla fase tettonica compressiva regionale (Pliocene medio, 3÷4 Ma), con generazione di strutture subverticali idonee a ospitare i fluidi petroliferi risalenti dal basso;

  3. riattivazione della zona di debolezza costituita dalla Linea “Scicli-Ragusa” secondo meccanismi transtensivi di probabile età pleistocenica inferiore (2.0÷2.5 Ma), con successiva risalita di parte degli idrocarburi presenti nel giacimento profondo con conseguente impregnazione dei banchi calcarenitici e calciruditici presenti nel membro Irminio inferiore.

Fig. 2 - Stratificazione della Formazione Ragusa sede della mineralizzazione (Dipasquale, 2010)

Fig. 3 - Distribuzione delle miniere di asfalto in comune di Ragusa (Dipasquale, 2010)

Fig. 4 - Modello deformativo di formazione del giacimento (Dipasquale, 2010)

Cenni storici

L’11 gennaio 1693 alle 13.30 il più forte terremoto registrato nei cataloghi sismici italiani, con epicentro a circa 35 km a NE di Ragusa e magnitudo MM= 7.32 [1], sconvolse l’area sud-orientale della Sicilia facendo affiorare nelle contrade ragusane Sdirupato, Cortolillo e Naftia (nomen omen), rocce di calcare impregnato di bitume e nuovi strati di roccia asfaltica, in parte noti come cave di "pietra pece" ("a pici"), da cui era già stato estratto materiale asfaltico utilizzato nell’edilizia cittadina.

Fu, però, alla fine del XVIII secolo che l’altipiano ibleo rivelò il potenziale anche industriale del suo tesoro sotterraneo quando, nello studio “Memoire sur les iles ponces et catalogue raisonné des produits de l’Etna”, il geologo francese Deodat de Dolomieu parlò per la prima volta di una pietra calcarea tenera, impregnata d’idrocarburi.

Nel 1837 il Regno delle Due Sicilie fu colpito da un’epidemia di colera che nel ragusano fece da detonatore a sommosse antiborboniche, per sedare le quali furono inviati reparti di mercenari svizzeri.

Tra questi, il chimico Frank Doxlkofer si accorse dell’alto contenuto bituminoso dei calcari dell’area e l’anno successivo, insieme al generale Soneberg e al colonnello Mayer, chiese al governo borbonico la concessione mineraria di una delle cave ragusane. Ritenendo troppo esosa la richiesta di un canone pari al 10% degli utili, i tre rinunciarono al loro progetto vendendo il terreno di circa tre ettari appena acquistato.

Il decollo dello sfruttamento su vasta scala dei giacimenti si ebbe venti anni dopo, nel 1858, grazie alla parigina Compagnie Générale des Asphaltes de France, che acquistò diversi terreni minerari.

In breve tempo s’impiantarono nel territorio diverse altre società straniere, inizialmente soprattutto inglesi, quali la Val de Travers asphalte paving company limited, la United Limmer & Worwohle Rock Asphalte Co. Ltd., con sede a Londra, e la Henry & Alfred Benjamin Aveline company, con sede a Catania.

È un periodo di grande interesse per le miniere asfaltiche di tutta Europa, poiché in tutte le grandi città si iniziava a far uso della pavimentazione delle strade in asfalto compresso e il minerale estratto dalle miniere iblee, per la sua ottima qualità, era molto ricercato [2].

In breve tempo si attivò, quindi, una fiorente corrente di esportazione verso l’Europa, in particolare Francia, Germania e Inghilterra.

Si svilupparono nuovi lavori, in particolare crebbe il numero dei carrettieri ragusani impiegati per il trasporto delle pietre asfaltiche verso lo scalo di Marina di Ragusa, allora denominata Mazzarelli [3], distante circa 23 km dai giacimenti.

L’allora piccolissimo borgo di pescatori divenne rapidamente una cittadina, con diversi locali pubblici per i carrettieri, magazzini per ricoverare i cavalli, alloggi per i marinai e i compratori.

Da Mazzarelli si esportava l’asfalto per l’estero e per le altre regioni del Regno, nacque così la necessità di costruire un piccolo porto per facilitare l’approdo delle navi e le operazioni di carico del minerale asfaltico.

Negli ultimi anni del XIX secolo, costruita la rete ferroviaria Siracusa-Licata, le ditte che gestivano le miniere asfaltiche cominciarono a caricare sui vagoni la roccia estratta per trasportarla al porto di Siracusa, dove veniva imbarcata sulle navi dirette in ogni parte del mondo.

Naturalmente, questo significò il declino e la conseguente scomparsa delle centinaia di carrettieri che ogni giorno viaggiavano tra le miniere di Ragusa e l’imbarco di Mazzarelli.

La fine del traffico per Mazzarelli significò anche la chiusura dei magazzini e dei locali pubblici sorti precedentemente per i marinai e i carrettieri impegnati in questo lavoro; fu allora che la piccola località si trasformò in meta dei villeggianti ragusani, prendendo il nome di Marina di Ragusa.

Nel 1886, alle società straniere si aggiunse finalmente una società isolana, la Società Sicula per l’Esplotazione dell’Asfalto Naturale, con sede a Palermo, concessionaria di 6.5 ettari nella contrada Tabuna.

Tale azienda, che tra i suoi proprietari vantava la presenza del principe Landolina di Torrebruna, si mise presto nelle condizioni di competere, per livelli tecnologici, con le imprese inglesi del territorio, sia nei processi di fabbricazione della polvere asfaltica che in quelli di macinazione delle rocce bituminose.

Tanto che per poter ottimizzare i costi di trasporto costruì, nel 1897, proprio nei pressi della stazione ferroviaria un nuovo stabilimento in cui avviò anche la produzione di mastice d’asfalto, impiegando bitume proveniente da Trinidad in aggiunta al bitume ottenuto dall’asfalto ragusano.

Tra il 1880 e il 1900, la produzione delle industrie asfaltifere del Ragusano salì progressivamente dalle 4,000 alle 80,000 tonnellate annue, in gran parte esportata all’estero.

Agli inizi del Novecento si verificò un profondo mutamento relativamente alla provenienza degli investimenti esteri.

Nel 1903, la Compagnie Générale des Asphaltes de France cedette le sue miniere alla già citata società Val de Travers Asphalte Paving Co. Ltd ., una delle più antiche imprese inglesi di pavimentazione stradale, che possedeva giacimenti analoghi in Francia e Svizzera.

Inoltre, tra il 1904 ed il 1907, s’insediarono nel territorio due importanti società tedesche, la Fratelli Kopp di Berlino e la Weyss e Frytag di Neustadt, che avevano l'appalto della pavimentazione stradale dell'intera città di Berlino e, quindi, non vendevano il minerale estratto, ma lo utilizzavano per uso proprio.

Sempre in quegli anni, si costituì l’impresa catanese Coco Testa, sostenuta dai finanziamenti della filiale della Banca Commerciale, e nel 1910, altre due imprese siciliane, la Società Anonima per gli Asfalti Siciliani e la Ditta Miniere e Industrie Fratelli De Naro Papa.

Il proliferare delle imprese operanti nell’area portò a un forte aumento della produzione, mentre contemporaneamente si modificarono profondamente le percentuali di assorbimento dei vari mercati esteri: al declino delle importazioni di Francia e Inghilterra si contrappose l’aumento di quelle di Stati Uniti e Germania, in particolare di quest’ultima grazie alle imprese tedesche operanti nell’area.

Tuttavia, i tedeschi operarono nel territorio ibleo solo fino all’inizio della 1a Guerra Mondiale, quando le loro miniere furono requisite e affidate a società controllate dalla Banca Commerciale.

La produzione di roccia asfaltica, dopo aver raggiunto le 135,000 tonnellate nel 1912, si ridusse sensibilmente tra il 1913 ed il 1915, passando dalle 112,621 alle 25,670 tonnellate e, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, subì ulteriori drastiche riduzioni, cui conseguirono gravi contrazioni dell’occupazione, sfociate in agitazioni e scioperi che si conclusero con l’attribuzione di alcune miniere, nel territorio di Scicli, all’Opera Nazionale Combattenti.

Cessata la guerra, la produzione riprese rapidamente grazie all’ancora forte richiesta estera e a una crescita della domanda interna.

Al rilancio dell’attività contribuì la nuova Società A.B.C.D. (Asfalti Bitumi Catrami e Derivati), costituitasi a Roma a fine 1917, che incorporò la Società Sicula e assunse la gestione delle miniere ex tedesche.

Supportata finanziariamente dalla Banca Italiana di Sconto (BIS), l’A.B.C.D. passò da un capitale iniziale di 5 milioni ai 10 milioni del 1922, diventato 16.8 milioni nel 1927, ampliando notevolmente i suoi impianti.

Oltre che sul sostegno finanziario della BIS, l’A.B.C.D. poteva contare anche su quello dello Stato, teso a garantirsi la maggiore autosufficienza possibile in campo energetico.

L’azienda impiantò, quindi, un nuovo grosso stabilimento fornito di macchine di distillazione fabbricate dalla ditta Fratelli De Bartolomeis, su brevetto dell’ingegnere La Porta, amministratore delegato della stessa società, che permettevano di ricavare benzina e oli minerali dagli oli grezzi asfaltici (fig. 5).

Un’intensa attività di ricerca e sperimentazione avrebbe, poi, permesso d’innalzare gradualmente i livelli di produttività delle macchine di distillazione, attuando il progressivo recupero del calore erogato dalle ceneri, sino quasi ad annullarne la dispersione nel corso del processo produttivo .

Nei forni verticali alti 16 metri e raggruppati in batterie di 16 elementi si arrivarono a produrre discreti quantitativi di combustibili e oli lubrificanti purissimi ed omogenei, per ogni genere di macchinari.

In tal modo, oltre a ridurre la dipendenza dall’estero in un comparto considerato strategico, si risolveva il problema del mancato utilizzo della gran parte della roccia asfaltica, precedentemente scartata perché priva delle caratteristiche necessarie per i suoi tradizionali impieghi.

Nei forni verticali alti 16 metri e raggruppati in batterie di 16 elementi si arrivarono a produrre discreti quantitativi di combustibili e oli lubrificanti purissimi e omogenei, per ogni genere di macchinari.

In tal modo, oltre a ridurre la dipendenza dall’estero in un comparto considerato strategico, si risolveva il problema del mancato utilizzo della gran parte della roccia asfaltica, precedentemente scartata perché priva delle caratteristiche necessarie per i suoi tradizionali impieghi.

Fallita nel 1921 la BIS, le imprese da essa controllate, tra cui A.B.C.D., furono cedute in blocco al Consorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali (CSVI), ente pubblico, sostanzialmente antesignano dell’IRI, con cui per la prima volta lo Stato acquisiva direttamente partecipazioni di controllo in imprese industriali.

Da allora in poi, l’interesse del governo per l’attività svolta da A.B.C.D., che dal 1926 cambiò denominazione in Asfalti Bitumi Combustibili liquidi e Derivati, andò crescendo, soprattutto per quel che riguardava lo sfruttamento delle miniere situate in contrada Tabuna, dove erano impiegati 700 minatori circa, suddivisi in più cantieri su una superficie di 70 ettari, e in cui già nel 1927 si era in grado di produrre più di 10,000 tonnellate annue di olio grezzo.

Oltre alla produzione di idrocarburi, molto importante era anche la produzione dei derivati tradizionali della roccia asfaltica, utilizzati per la pavimentazione stradale, sempre più necessari dato il grande sviluppo dell’industria automobilistica.

In questo settore continuavano a svolgere un ruolo importante l’inglese United Limmer, che realizzò con l’asfalto ragusano le pavimentazioni stradali di grandi città estere (Londra, Berlino, Monaco, New York, Ottawa e Copenaghen) e di numerose città italiane (Cosenza, Reggio Calabria, Messina, Prato, Catania e Siracusa) e la ditta Val de Travers Asphalte Paving , che estraeva roccia asfaltica per esportarla a Londra, dove avvenivano le lavorazioni per la produzione di derivati.

Fino alla fine degli anni ’20 del XX secolo la produzione continuò a salire, alimentata anche da imprese minerarie minori, attratte da facili guadagni e dal sostegno del governo fascista a questo tipo di produzione (fig. 6).

Ma dal triennio 1928-1930 la tendenza si invertì fino al crollo produttivo avvenuto tra il 1932 e il 1933, per poi riprendere dal 1934 in virtù dei miglioramenti introdotti sia a livello gestionale [4] che tecnologico, che consentirono all’A.B.C.D. di passare dalle 50,000 tonnellate di olio grezzo del 1931 alle 200,000 del 1935.

Dopo l’occupazione italiana dell’Etiopia del 1936, con le conseguenti sanzioni inflitte dalla Società delle Nazioni e l’adozione da parte del governo fascista del regime di autarchia, tanto più spinto nel campo delle materie prime e, tra queste, principalmente nel settore energetico, la produzione continuò a salire anche grazie agli ulteriori finanziamenti che consentirono di aggiungere un nuovo impianto di distillazione a quello preesistente.

Per garantire un adeguato rifornimento al nuovo impianto di distillazione, già dal 1937 aumentò la quantità di roccia estratta per la distillazione (126,593 ton) a scapito di quella destinata alla produzione di asfalto per la pavimentazione stradale (72,411 ton), che, tuttavia, continuava a costituire una voce non trascurabile delle nostre esportazioni all’estero.

Alla fine degli anni ’30, scartata l’ipotesi di una possibile privatizzazione dell’A.B.C.D. ad opera della Foreign Oil Corporation per contrastare la penetrazione delle multinazionali petrolifere in Italia, A.B.C.D. non fu in grado di integrare nel suo ciclo produttivo la costruzione di un cementificio che utilizzasse i residui calcarei della distillazione, così come aveva previsto la proposta avanzata dalla Foreign Oil Corporation.

Durante la guerra, inoltre, la situazione del comparto si aggravò a causa del sequestro delle miniere e degli impianti di proprietà di società inglesi e della contrazione della produzione dei derivati della roccia asfaltica.

Nel dopoguerra, per la soluzione della profonda crisi del settore, l’attenzione del governo regionale si focalizzò sull’esigenza d’intervenire con misure atte riorganizzare il settore, agevolando il trasferimento a nuovi titolari delle vecchie concessioni intestate a società inglesi ­e attivando corsi di specializzazione per gli operai che avrebbero dovuto essere impiegati nella produzione del cemento, recuperando nel ciclo produttivo delle miniere l’organizzazione proposta più di dieci anni prima dalla Foreign Oil Corporation.

Nasceva così una nuova A.B.C.D., questa volta Asfalti Bitumi Cementi e Derivati, passata nel 1951 sotto il controllo dell’IRI (30%) e della società Calci e Cementi di Segni del gruppo Bombrini Parodi ­Delfino (BPD, 70%), holding che operava da diversi anni nel comparto minerario abruzzese, avvalendosi del brevetto sulla “verticalizzazione” della lavorazione della roccia asfaltica, che dal 19 gennaio 1950 le consentiva, prima in Italia, di accoppiare la produzione dell’asfalto con quella del cemento, costruendo, presso gli stabilimenti di Scafa (Pescara) della consociata SAMA (Società Abruzzese Miniere di Asfalto), un cementificio per utilizzare calcare esausto, residuo dei forni di estrazione del bitume.

Per assicurare materia prima in quantitativi congrui a garantirne l’efficienza, alla ricostituita A.B.C.D. furono dati in concessione i complessi minerari che prima facevano capo alle società inglesi Limmer - Val De Travers, mentre alla società Ancione, nata negli anni ‘30 a Palermo e trasferitasi a Ragusa nel 1944 per la produzione di mattonelle di asfalto per l’arredo urbano, furono dati in concessione i complessi minerari che prima facevano capo alla società inglese Aveline.


Finalmente, tra il febbraio del 1952 ed il marzo del 1953, furono portati a compimento i lavori di costruzione del primo cementificio (fig. 7), con una capacità di 1,500,000 quintali annui di leganti idraulici all’anno che sarebbe stata gradualmente portata a 4,000,000.

Grazie alla ristrutturazione e al rinnovamento degli apparati produttivi sia dell’A.B.C.D. che di Ancione, la produzione di manufatti raggiunse le 200,000 tonnellate annue con l’impiego di oltre 300 unità lavorative.

Nello stesso periodo, sfruttando la legge regionale 20 marzo 1950, n. 30 [5], il geologo John Elmer Thomas, che già aveva operato senza risultati apprezzabili a Ragusa alla fine degli anni ’20, riprese l’attività di ricerca concludendo un accordo con la Gulf Oil Corporation che, attraverso la sua filiazione Gulf Italia Company, completò la ricerca nel permesso Ragusa perforando il pozzo Ragusa 1, profondo quasi 2,000 metri, e accertando la presenza di idrocarburi liquidi e gassosi nei calcari dolomitici della Formazione Taormina.

Tra il 1954 e il 1958 furono scavati altri 11 pozzi e la produzione salì costantemente, come indicato dalla tabella che segue:

Anno Ton

1954 2,239

1955 142,195

1956 492,195

1957 1,107,072

1958 1,246,965

Agli inizi il petrolio pescato dalle pompe fu trasportato con autobotti e con ferrovia verso Augusta-Priolo Melilli, alla Raffineria SIciliana Oli Minerali, la RASIOM, di proprietà dell’allora giovane Angelo Moratti.

Successivamente fu costruito un oleodotto lungo 75 km, con tubi Dalmine di 14” di diametro, con una capacità di trasporto di 2 milioni di tonnellate annue.

L’oleodotto venne inaugurato il 13 febbraio 1957 per collegare le vasche di raccolta di Ragusa con i serbatoi di Priolo, della capacità di 45,000 tonnellate, e poi, in due tronchi successivi, uno verso la raffineria RASIOM e l’altro verso la penisola Magnisi, con il pontile a mare per l'attracco delle petroliere.

L’oleodotto, che comprendeva una stazione di pompaggio a inizio della condotta, una stazione intermedia e un impianto di riscaldamento per diminuire la viscosità del greggio nei periodi invernali, venne a costare 2.5 miliardi di lire dell’epoca.

La crescita della produzione petrolifera del campo ragusano pesò fortemente sulla politica industriale dell’A.B.C.D., non più interessata all’estrazione della roccia asfaltica, considerata una perdita di esercizio.

Dal 1958 i maggiori investimenti furono fatti confluire alla produzione di cemento idraulico, anche spostando su nuove mansioni gli 850 dipendenti della società, di cui 772 operai e 78 tra tecnici e impiegati.

Nel 1962, inoltre, fu presa la decisione di dare avvio alla costruzione di un nuovo impianto a ciclo integrato che, partendo dal cracking del greggio, avrebbe dovuto produrre 10,000÷12,000 tonnellate annue di polietilene, mentre i residui pesanti (bitumi) e leggeri (gas) avrebbero dovuto essere bruciati in una centrale termoelettrica, al fine di coprire le esigenze energetiche complessive di tutta la struttura produttiva della società, compresa, quindi, quella degli impianti attinenti alle produzioni di cemento, asfalto, bitumi e derivati vari.

L’impianto petrolchimico, costruito utilizzando brevetti e know-how di società tedesche, entrò in funzione nel 1964­-1965, trattando il greggio proveniente dal Campo Ragusa per ottenere un polietilene a bassa densità denominato Riblene®, nome che omaggia Ragusa Ibla, che fu un comune italiano dal 1866 al 1927 e attualmente è il quartiere più antico del centro storico di Ragusa.

Tuttavia, gli entusiasmi derivati dalla scoperta del campo petrolifero ragusano non vennero confermati dai fatti, poiché, come affermava il geografo Aldo Pecora nel 1962, «per la mancata completa verticalizzazione della lavorazione dei prodotti petroliferi sul posto, i nuovi posti di lavoro non ricevettero un forte impulso: le industrie dell’asfalto e dei bitumi assorbono circa un migliaio di lavoratori, ed un altro migliaio sono gli addetti del settore petrolifero. La situazione demografica e quindi le condizioni sociali della città sono nel complesso piuttosto critiche, perché il petrolio ha esaltato le speranze ed ha stimolato le correnti migratorie dall’esterno… E’ evidente, pertanto, che il fenomeno della disoccupazione sia rimasto piuttosto grave, reso anche più scottante dall’ancora forte natalità…».

Si scontarono, inoltre, una serie di errori politici e gestionali: la costituzione, da parte della Regione con LR n. 36 del 30 agosto 1960, dell’Azienda Asfalti SIciliani (AZASI) che inoculò nei vertici A.B.C.D. il sospetto che la Regione volesse ostacolare l’industria privata; l’errata localizzazione dell’impianto petrolchimico, sull’Altipiano Ibleo e troppo lontano dal mare; il dover ricorrere alla materia prima costituita dal greggio pesante ragusano a prezzo pieno, meno competitivo a confronto di altre materie prime utilizzabili nel processo di trasformazione in etilene, che per polimerizzazione si trasforma in polietilene.

Si arrivò così al 1967, quando le politiche riguardanti le produzioni nazionali di polietilene e di cemento portarono l’ENI a proporre l’acquisto di stabilimenti in Sicilia, tra cui quelli dell’A.B.C.D., il cui pacchetto azionario fu ceduto l’anno successivo all’ANIC, che prese possesso degli stabilimenti e di parte delle miniere ragusane, impegnandosi a garantire per un decennio gli stessi livelli occupazionali.

Le garanzie, tuttavia, non convinsero i lavoratori e l’estate del 1967 a Ragusa fu un periodo di scioperi e manifestazioni.

Quello che maggiormente preoccupava era che l’ENI avrebbe dovuto versare al gruppo privato BPD, che aveva già ricevuto forti finanziamenti da Cassa del Mezzogiorno, Regione e IRFIS (Istituto Regionale per il Finanziamento alle Industrie in Sicilia) in sede di acquisto, una somma intorno agli 810 miliardi di lire, senza alcuna garanzia di reinvestimento di almeno parte di questo capitale nell’area o, comunque, in Italia.

I lavoratori chiedevano, quindi, investimenti all’ENI sugli impianti ragusani e per la realizzazione di un porto mercantile a Pozzallo e garanzie che i capitali acquisiti da BPD sarebbero stati reinvestiti nel territorio di Ragusa.

Con queste richieste, il 28 luglio 1967, insieme agli operai, impiegati e sindacati dell’A.B.C.D., scesero in piazza anche le autorità istituzionali locali, compresi i rappresentanti della Camera di Commercio, senza, peraltro, modificare significativamente, il corso delle cose.

Il passaggio all’ENI significò concentrare gli interessi sulla produzione di polietilene e cemento, abbandonando progressivamente, nel giro di pochi anni, le attività di antica tradizione, quali quelle dell’escavazione della roccia asfaltica e della connessa produzione dei derivati (oli asfaltici, bitumi naturali ed emulsioni bituminose).

Mentre la capacità produttiva dei giacimenti petroliferi ragusani andò a diminuire, favorendo il passaggio da Gulf ad Agip, fino alla quasi totale inattività dei 22 pozzi estrattivi negli anni ’80, con D.A. n. 382 del 2 aprile 1985 le miniere dell’area Tabuna furono riunite in un’unica concessione, Tabuna-Colacem, che successivamente, essendo ormai il calcare da cemento il prodotto di interesse principale, passò all’Industria Siciliana Cementi (In.Si.Cem.) e, nell’aprile 2000, alla Colacem che acquisì In.Si.Cem. dalla Regione Sicilia nell’ambito della dismissione degli enti economici regionali (Legge Regionale n. 5 del 20 gennaio 1999).

Nel marzo 2019 la Colacem ha chiuso il cementificio di Pozzallo in cui confluiva il calcare estratto a Tabuna e scorporato dal gruppo la gestione della miniera [6], creando la Ragusa Cementi Srl.

Dell’estrazione della roccia asfaltica e della connessa produzione di derivati avrebbe continuato ad occuparsene soltanto la società Ancione che, pur non trascurando di innovare e potenziare a più riprese le sue strutture, continuò a mantenere uno stretto rapporto con il territorio ibleo e le sue peculiari tradizioni industriali, fino alla dichiarazione di fallimento del 2013, con conseguente chiusura delle tre miniere gestite (Tabuna Ancione, Cortolillo e Muraglione Sud).

Contemporaneamente, anche la capacità produttiva dei giacimenti petroliferi ragusani andò a diminuire, favorendo il passaggio da Gulf ad Agip, fino alla quasi totale inattività dei 22 pozzi estrattivi negli anni ’80.


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[1] Parametri sismici ricavati dal Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (461 a.C.-1997) e nell'area Mediterranea (760 a.C.-1500), Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). https://doi.org/10.6092/ingv.it-cfti5, https://emidius.mi.ingv.it/CPTI15-DBMI15/query_eq/

[2] La prima grande strada pavimentata con asfalto ragusano fu la Rue Bergère a Parigi, seguita da alcune strade di Londra e Amsterdam.

[3] Dall'arabo Marsa A'Rillah, cioè “piccolo approdo”.

[4] Nel 1934 A.B.C.D. viene acquisita dell’IRI, che si era costituita il 23 gennaio 1933, per poi venire convogliata nell’ANIC (Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili), fondata a Palermo nel 1936 per la produzione di carburanti sintetici.

[5] LR 30/1950 “Disciplina della ricerca e della coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi” che, uniformandosi a quanto fatto da altri paesi, era volta a valorizzare il sottosuolo stimolando l’attività di ricerca anche da parte dei privati.

[6] La concessione della miniera è stata prorogata fino al 2035 con D.D.G. n. 166 delI`8/04/2014.

Fig. 5 - Stabilimenti dell’A.B.C.D. per l’estrazione di oli minerali

Fig. 6 - Produzione delle miniere e delle cave di asfalto negli anni 1922­1939 (Cassar, 2008)

Fig. 7 - Cementificio A.B.C.D. nel 1961

L'evoluzione temporale dell'attività estrattiva

Nella fig. 8 è riportato l’andamento temporale del numero di concessioni attive di Combustibili fossili e/o Bitumi in Sicilia.

Le prime coltivazioni ufficialmente registrate risalgono al 1905 con un trend di crescita che parte dai 7 siti del 1920 arrivando al massimo di 23 siti nel 1940. Dopo la 2a guerra mondiale rimangono in attività solo le miniere ragusane, in leggera ma costante decrescita fino al 1985 (14 siti).

A quella data si registra l’accorpamento di tutte le miniere A.B.C.D. in attività, che diventano i cantieri dell’unica concessione Tabuna – Colacem, destinata più alla produzione di calcare da cemento che di roccia asfaltica e tuttora attiva, con scadenza 2035.

Le 3 concessioni ancora attive dopo il 1985 della Società Ancione (Tabuna Ancione, Cortolillo e Muraglione Sud) seguono il destino già descritto in Cenni Storici.

Fig. 8 - Evoluzione temporale del numero di concessioni vigenti di Combustibili fossili e/o Bitumi in Sicilia