Lignite xiloide in Umbria

La distribuzione dei siti a livello territoriale

In fig.1 è mostrata la distribuzione territoriale, articolata a livello comunale, dei 34 siti di minerali di lignite xiloide nella Regione Umbria, concentrati in particolare nella provincia di Perugia (26 siti).

Fig. 1 - Distribuzione territoriale a livello comunale dei siti di Lignite xiloide in Umbria

Paleogeografia e giacimentologia


I giacimenti lignitiferi dell’Umbria si sono formati in ambienti lacustri plio-pleistocenici (livello villafranchiano), tra cui il più importante è, senza dubbio, l’antico “bacino tiberino” che occupava una vasta porzione dell’attuale Italia centrale: in particolare la zona compresa tra Borgo San Sepolcro (Arezzo) a Nord e Terni a Sud, mentre a Ovest era delimitato dalle strutture corrispondenti agli attuali monti di Amelia-Narni e alla catena del Monte Peglia e a Est dai Monti Martani di Spoleto e di Assisi.

Nei pressi di Perugia il lago si divideva in due rami, separati dal promontorio della catena martana, uno Sud-occidentale fino a Terni, mentre l’altro, minore e orientale, corrispondeva alla conca folignate-spoletina.

Il lago occupava, quindi, un’ampia depressione intramontana lunga circa 120 km e larga 30 km, dai bordi estremamente frastagliati e irregolari, con delle strozzature, come quella fra Collesecco e Acquasparta (fig. 2).

Il basamento su cui poggiano i depositi lacustri contenenti gli orizzonti lignitiferi è costituito in massima parte da formazioni calcaree, calcaree-marnose e arenacee della serie “Umbro-Marchigiana” di età compresa tra Lias e Miocene, mentre i terreni fluvio-lacustri sono rappresentati, dal basso in alto, dai seguenti 4 complessi:

  • Sabbioso-conglomeratico inferiore, caratterizzato dalla prevalenza di termini sabbioso conglomeratici su quelli argillosi. In questo complesso la deposizione sembra essersi verificata a cicli irregolari di alternanze di argille, sabbie e conglomerati, a volte con intercalazioni di episodi di lignite xiloide.

L’associazione floristica ritrovata in questo complesso permette di datarlo alla fine del Terziario (Pliocene superiore, 3.5÷2.5 Ma).

Appartengono a questo complesso le ligniti di Morgnano, Torgiano, Spina, Deruta, Ilci, Todi, Collazzone.

  • Argilloso, caratterizzato dalla prevalenza dei termini argillosi e da un ciclo di sedimentazione relativamente omogeneo che ha dato luogo anche alla formazione di torbiere, in particolare nel 1° banco del giacimento di Bastardo.

Dal punto di vista paleontologico, il complesso è caratterizzato da una fauna abbondante, con organismi di certa origine marina (Hystrichosphaeridae) che però, date le piccole dimensioni (<100µ), possono provenire intatte dal disfacimento di formazioni pre-lacustri marine.

Le associazioni floristiche ritrovate consentono di datare il complesso al Quaternario inferiore, prevalentemente ai periodi interglaciali (pre-Mindel, ca. 1.5 Ma).

Appartengono a questo complesso le ligniti del 1° e 2° banco di Bastardo, di Pietrafitta, di Madonna della Stella e di S. Pietro, a S di Montefalco.

  • Sabbioso-argilloso, caratterizzato da termini argillosi e sabbiosi e, in misura minore, chimico-organogeni, con scarsi conglomerati.

Dal punto di vista paleontologico si osserva la presenza di una fauna di acqua dolce e bassa profondità, mentre la flora segnala un’evoluzione verso specie indicative di un clima fresco.

Anche questo complesso è attribuibile al Quaternario inferiore, probabilmente al periodo Gunz-Mindel (1.2÷0.7 Ma).

Appartengono a questo complesso i banchi da 3° a 6° del giacimento di Bastardo e la lignite di Bevagna.

  • Sabbioso-conglomeratico superiore, anch’esso caratterizzato dalla prevalenza di termini sabbioso conglomeratici su quelli argillosi, poggiante in discordanza su uno dei complessi precedentemente descritti, la qual cosa denota una fase erosiva precedente alla deposizione del complesso in questione.

L’ambiente di sedimentazione è di tipo fluvio-lacustre e nel complesso, caratterizzato da una scarsa presenza di fauna e flora fossile, non si segnalano episodi di lignite.


La lignite, a carattere legnoso o torboso-scistoso, è per lo più incassata nei livelli argillosi con una potenza dei banchi variabile da 1 a 10 m.

Come si osserva in fig. 2, i siti minerari sono posizionati ai margini degli antichi specchi lacustri, a causa del fatto che gli affioramenti lignitiferi si manifestavano prevalentemente presso il contatto con le rocce più antiche (argilla basale) che ne costituivano il fondo e le pareti.

Inoltre, gli ammassi di vegetali, trasportati nel lago Tiberino dalle forze erosive delle acque discendenti dai rilievi circostanti, potevano ripararsi principalmente nelle insenature, accumulandosi negli angoli più tranquilli della sponda, dove meglio potevano affondare, sedimentare, stratificare e, impregnati di acqua in un ambiente anaerobico, fermentare.


Fig. 2 - Bacini fluvio-lacustri umbri e giacimenti di lignite xiloide

(Atti del Convegno – Mostra Nazionale delle Ligniti, Perugia 1959)


Il bacino lignitifero di Gubbio si trova a NE del bacino tiberino (fig. 2) nella parte alta della valle del Chiascio, affluente di sinistra del Tevere, e ha forma ellittica con asse maggiore NW-SE di 24 km ca. e asse minore di 5 km ca.

I terreni su cui poggia il bacino sono rappresentati prevalentemente da alternanze di marne più o meno argillose e arenarie di età miocenica, mentre il bordo NE del bacino, tra Loreto e S. Marco, è costituito da formazioni mesozoiche calcaree.

Quasi ovunque nel bacino, interposto tra le formazioni lacustri e pre-lacustri è presente uno strato argilloso (argille verdi) di pochi metri di spessore.

La serie lacustre è articolata, dal basso in alto, in tre complessi:

  • Argilloso-lignitifero, caratterizzato dalla presenza prevalente di argille grigie, talvolta sabbiose e in cui si rinvengono le manifestazioni lignitifere, in particolare a SE del bacino.

Questo complesso ha spessori variabili tra 50 e 170 m e dall’esame dei dati floristici è riferibile ai periodi interglaciali del Quaternario inferiore (Gunz-Mindel, 1.2÷0.7 Ma).

  • Argilloso-sabbioso: rappresentato da sabbie più o meno argillose e argille sabbiose con spessori di 160 m ca., poggia sul complesso argilloso lignitifero al centro del bacino e sulle formazioni pre-lacustri ai bordi.

Le presenze fossili, floristiche e faunistiche, di ambiente di acqua dolce tipicamente lacustre, non consentono una datazione precisa.

  • Alluvionale, rinvenuto nella zona centro-settentrionale con presenza di materiale sabbioso, argilloso e ghiaioso alluvionale, proveniente dai calcari mesozoici dei monti eugubini.

Cenni storici

L’estrazione della lignite xiloide in Umbria ha rappresentato dall’Unità d’Italia al secondo dopoguerra uno dei settori industriali più importanti della regione, che mediamente contribuiva per il 30% circa alla produzione nazionale di combustibili fossili.

Pur nota da sempre per i numerosi affioramenti, si dovette però attendere la fine del XVIII perché la lignite fosse considerata come una potenziale fonte di energia necessaria alla rivoluzione industriale che si andava preparando.

Fu in quegli anni che l’economia di Spoleto sembrò conoscere nuovi impulsi con il passaggio dalla secolare Amministrazione pontificia alla Francia napoleonica e la scelta della città come capitale del vasto Dipartimento del Trasimeno.

Le inchieste ordinate dal governo francese allo scopo di conoscere la situazione sociale ed economica dei territori amministrati segnarono l’inizio dell’età moderna.

Sulla spinta di Pietro Fontana, spoletino di grande cultura e rigore morale, fu dedicata particolare cura, tra le altre cose, alla raccolta di segnalazioni di affioramenti di combustibili fossili che si ritenevano indispensabili come fattore di sviluppo economico.

Importanti affioramenti di lignite xiloide furono rinvenuti in vari punti a nord-ovest di Spoleto, tra la riva sinistra del torrente Marroggia e le falde dei Monti Martani, fin dalla prima metà del XIX secolo.

In particolare, nel letto del torrente Trepentino, presso Morgnano, le acque avevano posto a nudo la testata di un importante banco di legno minerale.

Tuttavia, gli abitanti del luogo, pur conoscendone le proprietà di combustibile, non gli dettero alcuna importanza essendo i loro fabbisogni più che soddisfatti dal legno che derivava dai ricchi boschi della zona.

Fu soltanto dopo il 1870 che si cominciò a parlare della possibile utilizzazione del banco lignitifero: un tale Federico Donati fece esaminare alcuni campioni della testa del banco e pensò di trarne profitto per usi industriali.

La dichiarazione di scoperta della miniera detta di Morgnano-S. Croce, in corrispondenza delle frazioni omonime, fu rilasciata dal Distretto minerario di Roma il 15 luglio 1881, cui seguì il RD di concessione l’anno seguente, il 5 ottobre 1882.

Si costituì immediatamente la Società carbonifera di Spoleto, diretta dal prof. Giovanni Moro di Cesena, mentre nuove ricerche furono intraprese sotto la guida di Arpago Ricci, professore di Fisica e Chimica nell’Istituto di Spoleto, nel territorio di Sant’Angelo in Mercole dove fu individuata altra lignite, considerata “la prosecuzione al sud di quella di S. Croce , e situata più verso le sponde meridionali di quel gran lago, in fondo al quale in migliaia di secoli deve essersi moltiplicata e poi seppellita cotanta vegetazione...” , la cui dichiarazione di scoperta fu rilasciata l’8 dicembre 1884, seguita dal RD di concessione il 4 aprile del 1886.

Sempre nel dicembre 1884 fu dichiarata scoperta anche la miniera di Uncinano-S. Silvestro, nello stesso bacino della miniera di Morgnano, concessionata con RD dell’8 maggio 1886.

Nello stesso anno 1884, il 10 marzo, nacque la Società degli Alti Forni Fonderie e Acciaierie di Terni (SAFFAT), destinata a un ruolo strategico nell’industria nazionale e in quella umbra in particolare.

La SAFFAT, prima industria siderurgica italiana, con un capitale di 3 milioni di lire, acquisì le miniere di lignite di Spoleto, da sfruttare come fornitrici di combustibile per i propri altiforni Martin-Siemens, utilizzati per produrre acciaio partendo dalla fusione della ghisa e dei rottami ferrosi, con gas di gassogeno proveniente dalla lignite.

Naturalmente, la nascita delle Acciaierie ternane costituì lo stimolo per la ricerca e la scoperta di nuovi giacimenti in un territorio che ne era ricco.

Tuttavia, fino alla prima guerra mondiale vennero esplorati e sfruttati solo pochi giacimenti a:

  • Morgnano, Uncinano e Sant’Angelo in Mercole, nei pressi di Spoleto;

  • Terni, in località Colle dell’Oro;

  • Buonacquisto (Arrone);

  • Cavallara, sui monti Martani;

  • Caiperino, vicino a Città di Castello;

  • Galvana, nei pressi di Gubbio, sui resti del lago Eugubino.


Durante gli anni del primo conflitto mondiale, con Decreto luogotenenziale (D. lgt.) del 7 gennaio 1917 fu istituito il Comitato per i Combustibili Nazionali, diventato con D. lgt. 5 agosto 1917 Commissariato Generale per i Combustibili Nazionali (CGCN), con il compito di snellire le pratiche per la ricerca e lo sfruttamento dei combustibili fossili.

Tra il marzo 1917 e la fine del 1919, il CGCN rilasciò 13 nuove concessioni:

  • Capitone, Fabbrucciano e Calamone a Narni

  • Pietrafitta e Trabbiano- Castiglion Fosco, a Piegaro

  • Ruscio a Monteleone di Spoleto

  • Dunnarobba-Farneta a Montecastrilli

  • Fontivecchie a Gualdo Cattaneo

  • Morcella-Compignano a Marsciano

  • Fabbri-Macciano a Giano dell’Umbria

  • Casigliano-Rosario-Configni ad Acquasparta

  • Buonacquisto ad Arrone

  • Colognola a Gubbio


Di queste proseguirono l’attività, ben oltre il termine della concessione del CGCN, solo Pietrafitta, Ruscio, Dunnarobba-Farneta e Buonacquisto.


Nei periodi bellici le miniere di lignite rientravano tra le attività di interesse strategico, ricadendo sotto l’influenza di altri organismi e apparati statali che gestivano l’economia di guerra, tra cui il Ministero Armi e Munizioni operante durante la prima guerra mondiale, con la conseguente militarizzazione dei minatori, dispensati dal servizio al fronte con “licenza mineraria”.

I concessionari erano piccoli imprenditori locali di origine agraria, spesso agli stessi proprietari dei terreni dove si svolgono le ricerche.

Tra la prima guerra mondiale e gli anni ‘20 del XX secolo si segnalò la presenza di Luigi dall’Orso, imprenditore di Foligno, esercente la miniera eugubina di Branca-Galvana, della Società Ligniti Italia Centrale, con sede in Roma, concessionaria della miniera di Collazzone, e della Banca Conti e C. di Firenze, concessionaria della miniera di Pietrafitta.

Terminata la prima guerra mondiale, l’industria dei combustibili fossili si orientò verso l’utilizzo della lignite in impianti di gassificazione e carbonizzazione, con recupero dei sottoprodotti al fine di aumentare la redditività degli impianti.

Pietrafitta e Bastardo (Gualdo Cattaneo), per esempio, accedettero alle sovvenzioni previste dal DDL 454/1919 per la costruzione di centrali termoelettriche alimentate a lignite: la prima entrò in funzione nel 1925, la seconda nel 1932.

Negli anni ’30 diventò preponderante la SAFFAT che, già proprietaria delle miniere spoletine fin dal 1886, acquisì in Umbria le miniere di Branca-Galvana, Collazzone, Gualdo Cattaneo e Colle dell’Oro, impiegando il minerale estratto nel processo produttivo delle acciaierie ternane.

Per facilitare il trasporto della lignite venne progettata una teleferica lunga 17 km, che avrebbe trasportato il minerale estratto nelle miniere di Gualdo Cattaneo fino a Spoleto, per essere caricato sul treno e trasportato alle acciaierie ternane.

Nel periodo autarchico, dal 1936 alla 2a guerra mondiale, le miniere di lignite xiloide umbre funzionarono a pieno regime con oltre 10,000 addetti, ma l’escavazione sempre più spinta della lignite per aumentare la produzione causò un forte sfruttamento della manodopera e un aumento degli infortuni.

Nel gennaio 1939 un’esplosione di grisou nella miniera di Morgnano costò la vita a otto minatori, tragedia che sarà replicata 16 anni dopo, il 22 marzo 1955, quando morirono, sempre a causa del grisou, ben 24 minatori .

Con la fine della guerra si profilò anche la fine delle miniere lignitifere umbre (fig. 4).

Aboliti i dazi protezionistici e assicurato, tramite la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), il rifornimento di carburanti fossili per la siderurgia, le ligniti nazionali perdettero la loro rilevanza economica e ciò comportò la chiusura a catena di miniere e la liquidazione di tali attività, in particolare di quelle concessionate dalla SAFFAT.

Ciò portò l’Amministrazione provinciale di Perugia a organizzare, tra il dicembre 1953 e il gennaio 1954, un convegno sull’uso delle ligniti e dei combustibili poveri, proponendo come soluzione, quella della gassificazione della lignite da utilizzare per gli impianti di riscaldamento della città di Roma, che avrebbe dovuto essere rifornita tramite un gasdotto.

A tale ipotesi se ne associò un’altra, ad essa subordinata: quella di utilizzare il combustibile per alimentare centrali termo-elettriche.

Mentre la prima ipotesi di soluzione non avrà seguito per mancanza di volontà politica e di forze imprenditoriali capaci di metterla in atto, più successo avrà la seconda soluzione, che sarà adottata dalla Società Mineraria del Trasimeno nella miniera di Pietrafitta, la cui produzione sarà utilizzata per alimentare la Centrale termoelettrica costruita in prossimità del banco lignitifero.

Dal punto di vista amministrativo, la chiusura definitiva delle miniere SAFFAT si ebbe nel 1961, quando con DM del 18 ottobre fu accettata la rinuncia della Terni - Società per l’Industria e l’Elettricità alle miniere spoletine (Morgnano S. Croce, S. Angelo in Mercole, Uncinano S. Silvestro) mettendo fine a 80 anni di storia.

Negli anni ’60 rimasero in attività solo le due miniere passate in concessione all’ENEL, in seguito alla nazionalizzazione elettrica del 1963: Gualdo Cattaneo e Pietrafitta.

Mentre la prima fu chiusa già nel 1967, quando l’ENEL convertì a olio combustibile la Centrale Termoelettrica di Gualdo Cattaneo, anche se il DM di accettazione della rinuncia è datato 9 giugno 1972, la concessione della seconda è rimasta in vigore fino al 15 ottobre 2003, dopo essere stata rinnovata per 5 anni, dal 15 ottobre 1998, con DM del 3 agosto 1999.

Le tecniche di coltivazione

Con la sola eccezione di quella di Pietrafitta, che sarà a cielo aperto fino alla sua chiusura per esaurimento, tutte le principali miniere umbre sono state coltivate prevalentemente in galleria.

In generale, accertata la consistenza del banco di lignite, si procedeva con i lavori di tracciamento di gallerie orizzontali a diversi livelli, messe in comunicazione tra loro da gallerie in pendenza (discenderie e rimonte) e pozzi verticali, fino a creare una rete detta “quartiere” o “massiccio”.

Terminati i lavori preparatori si passava alla coltivazione vera e propria della miniera e cioè all’estrazione del minerale, secondo vari metodi, in funzione della profondità e della pendenza del banco:

  • coltivazione a cielo aperto quando il minerale affiora in superficie o si trova poco sotto di essa e il banco è privo di inclinazione, come nel caso della miniera di Pietrafitta;

  • gallerie inclinate, dalle quali partono, a diversi livelli, le gallerie che seguono il giacimento, in caso di giacimento in pendenza, come, ad esempio, nella miniera di Collazzone;

  • pozzi verticali e gallerie di livello, se la profondità è elevata, il banco ha uno spessore consistente e non ha particolare pendenza, come nella miniera di Morgnano.


L’estrazione del minerale avveniva, comunque, nelle gallerie di livello, dove i minatori scavavano la camera di abbattimento: utilizzando il piccone e la trivella (a mano e/o elettrica) praticavano dei fori nei quali sistemavano le cariche esplosive; dopo lo scoppio recuperavano il materiale e caricavano i carrelli.

Man mano che la camera di abbattimento veniva svuotata i minatori piazzavano dei puntelli, che avrebbero recuperato a sfruttamento ultimato, causando la frana della camera stessa.

Un metodo specificatamente adottato nelle miniere spoletine era quello dei cosiddetti “gallerioni”, una sorta di camere e pilastri lunghi, necessario a evitare fenomeni di subsidenza all’esterno, causata dell’estrazione della lignite.


Fig. 3 - Metodo di coltivazione per gallerioni (Mattioli, 2006)


Il metodo, attuato nel cantiere Orlando Nord, utilizzava la capacità di rigonfiamento delle argille di letto che andava a riempire, in un tempo di 7-8 mesi, i vuoti causati dall’estrazione, che avveniva secondo lo schema illustrato in fig. 3:

  • abbattimento di una successione di camere di lignite larghe 4 m, alte 2 m e lunghe dai 50 agli 80 m, lasciando uno pilastro lungo tra loro di larghezza pari a 4 m;

  • abbattimento dei pilastri abbandonati in precedenza, quando le camere ai lati sono state ormai riempite dal rigonfiamento delle argille di letto.

I minatori

I minatori hanno costituito una categoria di lavoratori quantitativamente significativa in Umbria, raggiungendo, come già evidenziato, le 10,000 unità nel periodo autarchico fino al la seconda guerra mondiale.

Il lavoro era organizzato in 3 turni giornalieri di otto ore, sei giorni su sette; durante la pausa settimanale si svolgevano i lavori di manutenzione ordinaria.

Gli operai erano suddivisi in squadre, composte da minatori e manovali addetti al carico dei carrelli; vi erano, inoltre, gli arganisti, gli addetti alle sale macchine, al trasporto, i capo-operai, i capo-turni e i responsabili della direzione.

Vigeva il sistema retributivo a cottimo [1], che si affiancava alla paga base.

La manodopera proveniva in gran parte dalle famiglie mezzadrili delle zone circostanti, ma nelle miniere spoletine, a cavallo dei due secoli, fu piuttosto intensa l’immigrazione dalla Romagna, in particolare dalla zona di Cesena, dove le zolfatare erano andate in crisi.

I romagnoli, esperti del lavoro in miniera, furono bene accolti dalla Direzione aziendale, molto meno dagli operai del posto, sia perché erano accusati dagli spoletini di rubare loro il lavoro, sia per la loro collocazione politica, vicina alle idee repubblicane.

Il dissidio tra romagnoli e locali impedì per parecchi anni lo sviluppo di una politica sindacale unitaria capace di migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei minatori.

Solo nel 1906, dopo la positiva conclusione di uno sciopero protrattosi dal 26 giugno al 13 luglio per ottenere aumenti salariali per unità di materiale estratto, nacque la Lega Minatori di Morgnano e S. Angelo.

Nonostante la fatica e il pericolo, quello del minatore era considerato un lavoro ambito per la paga sufficientemente buona e, soprattutto, certa rispetto all’aleatorietà e scarsa redditività del lavoro agricolo e artigianale.

Così la chiusura delle miniere del secondo dopoguerra significò una perdita non solo economica, ma anche di prospettiva e di ruolo sociale, alimentando il fenomeno dell’emigrazione dalla regione.

Tra il 1952 e il 1961, gli anni della crisi mineraria, il saldo migratorio in uscita dalla regione ammontò a 56,864 unità, mediamente 5,700 annue ca.

In particolare tra il 1951 e il 1952 il settore professionale con maggiore emigrazione è quello che comprende “Boschivi e minatori”, ca. 1500 unità nel 1951 e 500 nel 1952, mentre tra i paesi di immigrazione svolge un ruolo preminente il Belgio, primo nel 1951 con ca. 900 unità nel 1951, secondo nel 1952 con poco meno di 400 unità.

È evidente, in quegli anni, il flusso di minatori dall’Umbria alle miniere di carbone belghe.

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[1] Sistema di retribuzione proporzionale alla quantità di lavoro prodotto in rapporto a una quota minima prefissata. Curiosamente, le prime attestazioni della parola "cottimo" arrivano quasi tutte dall'Umbria, a iniziare dagli statuti di Perugia del 1342. Per approfondire il sistema di cottimo Bedaux nelle miniere vedere la voce relativa nel Capitolo relativo alla Regione Sardegna

Evoluzione temporale dell'attività estrattiva

In fig. 4 è rappresentata l’evoluzione temporale del numero di concessioni attive di lignite xiloide in Umbria.

Si osserva un andamento bimodale, con massimo assoluto tra il 1925 e il 1930 e massimo relativo nel secondo dopoguerra, immediatamente prima (1950) dell’inizio della definitiva crisi delle miniere di lignite umbre.

Fig. 4 - Evoluzione temporale del numero di concession di lignite xiloide in Umbria