Altri minerali in Molise - Puglia - Basilicata

La distribuzione dei siti a livello territoriale

In fig.1 è mostrata la distribuzione territoriale, articolata a livello comunale, degli 8 siti di estrazione di altri minerali, di cui 7 in Basilicata (6 in provincia di Potenza, 1 di Matera) e 1 in Molise (Campobasso).

Si tratta principalmente di Lignite xiloide (4 siti in provincia di Potenza), Marna da cemento (2 siti in provincia di Potenza), 1 di minerali di manganese in provincia di Campobasso e 1 di salgemma in provincia di Matera.

Sono tutti siti abbandonati da lungo tempo e nessuno di questi è stato oggetto di una significativa attività mineraria, salvo la miniera di lignite xiloide “Mercure” sfruttata dal 1962 al 1970 al servizio dell’omonima Centrale Elettrica.

Altro sito balzato all'onore delle cronache, molto più per ragioni sociali che minerarie, è stato quello di "Torrente Cavone".

Fig. 1 - Distribuzione territoriale a livello comunale di altri siti in Molise-Puglia-Basilicata

Il bacino e la miniera del Mercure

Il bacino pleistocenico (0.30÷0.11 Ma) del "Mercure" si estende per circa 60 km2 nella valle del fiume omonimo a NO del Monte Pollino (fig. 2), al confine tra le province di Potenza e Cosenza.

Scoperto già nel 1913 e coltivato su scale artigianale nel periodo bellico, fu poi abbandonato sia per la scarsa qualità della lignite [1] che per l’isolamento dei luoghi di coltivazione.

La serie stratigrafica del bacino (fig. 3) comprende, dal basso in alto:

  1. complesso sabbioso-conglomeratico, con fossili e pollini rimaneggiati probabilmente pliocenici, senza manifestazioni di lignite;

  2. complesso argilloso-sabbioso-conglomeratico inferiore con fauna scarsa o assente e con flora a Compositae e Pinus, con sporadiche manifestazioni di lignite;

  3. complesso marnoso-argilloso inferiore con fauna a Cyclocyprys globosa e Candona angulata e flora a Pinus dipl. e Querceto misto, dove è localizzato il 1° banco di lignite;

  4. complesso argilloso-sabbioso-conglomeratico superiore con fauna a Potamocypris e flora a Pinus e Quercus, dove si trova il 2° banco di lignite;

  5. complesso marnoso-argilloso superiore con fauna a Dreissensie e Ostracodi e con flora a Pinus e Quercus, dove si rinviene il 3° banco di lignite.


Solo durante il secondo conflitto mondiale, le particolari condizioni del mercato dei combustibili indussero la Società Anonima Ligniti Italiane Meridionali (L.I.M.S.A.) a riprendere le ricerche e la coltivazione del giacimento.

Si trattava ancora di un’attività poco più che artigianale, anche se si arrivò a produrre tra le 60,000 e 70,000 tonnellate annue.

Tutto cessò nel 1947, di nuovo per la mancanza di competitività dell’attività a seguito delle ripristinate condizioni normali del mercato dei combustibili.


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[1] Potere calorifero 3,000÷4,000 kCal/kg; Zolfo > 3%; Umidità 50%; Ceneri 30÷40%; Volatili 35÷40%

Fig. 2 - Bacino lignitifero del Vulture (dEMINA, 1962)

Solo nel 1958, con DM del 18 giugno, fu accordata la concessione per anni 60 alla Società Meridionale di Elettricità per Azioni (SME), poi ceduta, dopo la nazionalizzazione elettrica del 1962, all’ENEL che usò la lignite per alimentare la nuova Centrale del Mercure [2] (fig.4).

Tuttavia, l’utilizzo della lignite si rivelò presto poco conveniente per qualità e quantità e già nel 1970 l’ENEL dichiarò esaurito parte del giacimento e fece richiesta di rinuncia alla concessione, richiesta che fu accolta con DM del 5 agosto 1971.


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[2] Attualmente riconvertita a centrale a biomassa legnosa a impatto zero di CO2, con fabbisogno di circa 350mila tonnellate all’anno, utilizzate per una produzione netta annua di 280mila MWh.

Fig. 3 - Serie tipo del bacino lignitifero del Mercure (GEMINA, 1962)

Fig. 4 – Centrale elettrica del Mercure (anni ’60)

Il caso della miniera Torrente Cavone, individuata come deposito di rifiuti radioattivi

Nonostante sia stato concessionato per 30 anni ma mai coltivato (vedi Interrogazione Sen. Mignone a Ministro delle Attività Produttive Enrico Letta), il sito di salgemma denominato “Torrente Cavone”, in territorio dei comuni di Pisticci e Scansano Ionico (MT), ha goduto in passato di una certa notorietà poiché, proprio in corrispondenza di questa concessione, il Consiglio dei Ministri, nel novembre 2003, individuò il sito unico nazionale per la raccolta dei rifiuti radioattivi di II e III categoria, provocando una sollevazione popolare che fece abortire la decisione (fig. 5).

Successivamente, con Delibera di Giunta regionale n. 2606 del 16/11/2004, è stato negato il rinnovo della concessione.

Sul tema del possibile utilizzo di Scanzano Jonico come possibile sede del sito nazionale di stoccaggio delle scorie radioattive, sempre nel 2004 alcuni ricercatori dei Dipartimenti di Scienze Geologiche della Basilicata e di Scienze della Terra di Siena analizzando le “Deformazioni distensive recenti nell’entroterra del Golfo di Taranto” sono arrivati alla conclusione che «l’esistenza di faglie dirette che dislocano depositi marini terrazzati indica che l’entroterra del Golfo di Taranto è stato soggetto a un collasso tettonico-gravitativo in epoca recente. Le evidenze di superfici disponibili non consentono, di escludere che alcune di queste strutture possano, in toto od in parte, essere ancora attive o riattivabili in occasioni di terremoti di elevata magnitudo. Questi dati, pertanto, dovrebbero costituire elementi per un’approfondita riflessione sulla generale stabilità geologica dell’area e sulla possibilità che l’area di Scanzano Ionico venga riproposta come sito per la realizzazione di un deposito geologico per scorie nucleari.»

Fig. 5 - RaiNews24 annuncia l’individuazione di Torrente Cavone come sito di stoccaggio delle scorie radioattive