La scoperta di Oreopithecus bambolii

Baccinello è una miniera situata sulle sulle sponde del torrente Trasubbie a circa 10 km a NO di Roccalbegna, con una successione stratigrafica simile a quella della miniera di Ribolla, da cui dista circa 33 km a SE.

Pur essendo, dopo quella di Ribolla, la seconda miniera di lignite picea del bacino maremmano per importanza mineraria ed economica, la sua fama è è indissolubilmente legata a un reperto fossile eccezionale: lo scheletro in connessione anatomica di una scimmia antropomorfa della specie Oreopithecus bambolii (fig. 1).

Grazie alla tenacia del paleontologo svizzero Johannes Hürzeler, il reperto fu scoperto il 2 agosto 1958 in seguito al franamento di una galleria della miniera, allora ancora in attività.

L’esemplare, oggi conservato presso il Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Firenze, fu battezzato con il nomignolo amichevole di “Sandrone” dai minatori che collaborarono al recupero del fossile, emerso dalle profondità delle gallerie e cunicoli di estrazione della lignite dove era sepolto dal Miocene superiore.

L’ipotesi che l’oreopiteco potesse essere un ominide, un primate fossile in qualche modo legato strettamente ai nostri diretti antenati, portò la stampa mondiale ad occuparsi della questione e quotidiani come New York Times ed Herald Tribune gli dedicarono spazio sulle prime pagine.

Hürzeler seguiva personalmente l’attività estrattiva dal 1956 convinto di trovare resti fossili importanti, ma l’attività estrattiva era tale per cui quello che veniva ritrovato (ossa e denti) era fortemente danneggiato; tuttavia, molte ossa erano ancora in connessione, segno che ci dovevano essere scheletri più o meno integri, che erano stati distrutti durante la coltivazione della lignite.

La sua intuizione e la sua tenacia furono premiate pochi mesi prima della definitiva chiusura dell’attività estrattiva; la notte del 2 agosto Hürzeler, che si era trasferito a Baccinello, fu svegliato dal responsabile della miniera, l’ingegner Minucci, con la notizia del crollo di una galleria a 200 metri di profondità, in seguito al quale sulla volta erano affiorate alcune ossa.

Quando Hürzeler scese in miniera fu subito chiaro che le ossa esposte erano quelle di uno scheletro di Oreopithecus, ma non essendo sicuro della fattibilità del recupero, eseguì un disegno a grandezza naturale delle ossa visibili per documentare nel miglior modo possibile il ritrovamento; fu chiamato, quindi, un fotografo da Grosseto che scattò le foto oggi storiche, pubblicate sui giornali di tutto il mondo.

Hürzeler osservò e descrisse molti tratti della dentatura, del cranio e dello scheletro, notando che alcuni dei caratteri osservati erano esclusivi dell’uomo e dei suoi diretti antenati.

Oggi, avendo a disposizione molti più dati e studi, l’interpretazione dei tratti anatomici è cambiata. Il fenomeno dell’endemismo insulare è una chiave di lettura indispensabile per capire l’evoluzione e gli adattamenti molto particolari di questa fauna e di Oreopithecus bambolii in particolare; si pensa, infatti, che questo primate sia uno degli ultimi sopravvissuti della rapida evoluzione delle scimmie antropomorfe avvenuta in Eurasia durante il Miocene, assieme all’orango, discendente ancora vivente.

Un aspetto peculiare di Oreopithecus risiede nell’interpretazione del suo modo di muoversi; questo primate aveva una serie di caratteristiche morfologiche tipiche delle scimmie antropomorfe attuali, confrontabili con quelle del suo supposto antenato, Hispanopithecinae, un gruppo di scimmie antropomorfe che nel Miocene superiore era diffuso dalla Spagna all’Ungheria.

Ad uno sguardo superficiale queste caratteristiche potrebbero far pensare a un adattamento locomotorio da animale che si spostava tra un ramo e l’altro appendendosi alle braccia, come i gibboni e gli oranghi.

Di recente, però, la questione della locomozione di Oreopithecus è stata messa in discussione e i nuovi studi anatomici hanno fatto risaltare la presenza di tratti legati a una locomozione bipede nella morfologia di varie parti dello scheletro: il bacino, il femore, il piede, la mano e l’orecchio interno.

Queste nuove analisi morfologiche e funzionali e la sua interpretazione come bipede, seppur dotato di un’andatura ben diversa da quella umana, lo hanno riportato al centro del dibattito scientifico; oggi sono molti i ricercatori convinti che forti similitudini con gli ominidi, unite a profonde differenze, si siano sviluppate come conseguenza all’evoluzione in ambiente insulare, facendo di Oreopithecus bambolii una specie chiave per la comprensione della bipedìa umana.

http://paleoitalia.org/places/29/baccinello/

Fig. 1 - Scheletro di Oreopithecus bambolii trovato a Baccinello