Breve storia del caolino in Veneto

Già il Vasari racconta della fabbrica di porcellana del Granduca di Toscana Francesco Primo, che regnò alla fine del XVI secolo (1574-1587), riportandone la modalità di realizzazione [1], in cui gioca un ruolo importante la “terra bianca di Vicenza” (fig. 1).

Nella “Storia del territorio vicentino” di Gaetano Maccà (1813), l’autore cita diffusamente le coltivazioni della cosiddetta “terra bianca di Vicenza”, con particolare riferimento alla zona del Tretto, dove all’epoca erano attive circa 30 cave di «finissima Argilla porcellanica che tuttora vi si escava in molta copia; e serve per le nostre Porcellane, e per altre varie manifatture dentro, e fuori dello Stato ; passando in commercio con nome di “Terra bianca di Vicenza” che impiegasi per vasi, ne’ quali fondesi il vino, per le porcellane, per dare il bianco a certe terraglie, e per vari altri bisogni».

Per quanto riguarda il periodo storico a cui far risalire le prime coltivazioni di tale materiale, il primo che ne faccia menzione, intorno alla metà del XVI secolo, è il Marzari che riferisce come «la predetta terra veniva al suo tempo adoperata in tutta Italia, ed altrove, per imbianchire e dare il vitriato alle magioliche, e porcellane, e a tutti gli altri lavori, e vasi di creta».

Di conseguenza, tenendo conto della diffusione del commercio di tale materiale già nel XVI secolo, comprendente tutto lo Stato veneto, l’Italia e anche i paesi Oltramontani, si ritiene che l’origine dello sfruttamento della “terra bianca di Vicenza” si possa far risalire a qualche secolo prima del XVI secolo.

Commercializzato come "fioretta di Schio" o "terra di Vicenza", il prodotto delle miniere vicentine era considerato di grosso pregio e richiesto dalle manifatture di porcellane e maioliche di Venezia, di Faenza, del Bassanese e di Doccia; in epoca austriaca fu esportato anche nei territori tedeschi per la fabbricazione di terraglie e di sapone e per l’industria dei pellami.

Rimasta libera fino ai primi decenni del XVII secolo, la coltivazione fu poi assoggettata alla legge mineraria e al pagamento delle decime. Nei primi anni del XX secolo, nonostante l’arcaicità dei processi di lavorazione, rimasti sostanzialmente identici da secoli, sul Tretto prosperavano decine di impianti artigianali, chiamati “botteghe”, in grado di produrre annualmente fra 3,000 e 4,000 t di argilla lavata, pari a circa la metà dell’intero prodotto nazionale.

Tuttavia, la concorrenza di prodotti di importazione provocò ben presto la definitiva chiusura di molte piccole aziende e la costituzione di alcune Società di maggiori dimensioni, prima fra tutte la Caolino Panciera & C., che meccanizzarono gli impianti e introdussero nuove strategie di produzione.

Fino al 1935 le coltivazioni rimasero concentrate quasi esclusivamente sul Tretto, nei giacimenti dei Pozzani, della Valle dell’Acquasaliente, della Valle dell’Orco e, più tardi, a Corobolli e Case Costenieri, presso S. Caterina.

In seguito i lavori si estesero ai giacimenti di più recente scoperta: in Valle dei Mercanti, nell’alta Valle dell’Agno e nelle Valli di Posina e di Laghi.

Dopo il secondo conflitto mondiale, la coltivazione, fino ad allora prevalentemente in sotterraneo, passò "a cielo aperto" con conseguente forte cambiamento del ciclo di lavorazione, che terminava con la produzione di pannelli circolari di caolino pressato (fig. 2), messi a essiccare nei casoni, magazzini aperti con tetto di copertura (fig. 3).

Nonostante le modifiche introdotte nel ciclo produttivo e ulteriori innovazioni tecnologiche tutte tese ad aumentare la produttività e la qualità del prodotto finito, negli anni ‘70 del secolo scorso iniziò una irreversibile crisi per i prodotti da ceramica del Tretto e della Valle dei Mercanti, a causa degli elevati costi di produzione e per la crescente offerta sui mercati internazionali di prodotti altamente pregiati a prezzi assai competitivi.

Di conseguenza chiusero dapprima gli impianti della Valle dei Mercanti, poi, nel 1983, anche di quelli del Tretto.

Dal 1987 la Caolino Paciera è stata acquisita dalla multinazionale Emilceramica Srl.


[1] Tratta da un “Libro di fonderia di S.A.R. del Duca Francesco Primo” e riportata ne “Il Milione” di Marco Polo, pubblicato ed illustrato dal conte Giovan Battista Baldelli Boni, Firenze (1827)

Fig. 1 - Ricetta per fare la porcellana del Granduca di Toscana Francesco I

Fig. 2 - Sala presse con le prime due filtropresse installate a Pozzani di Sotto

Fig. 3 - Casoni a Pozzani di Sotto