Floristella - Grottacalda

Cenni storici

Situata a circa 3 km a OSO di Valguarnera Caropepe, nell’omonima contrada del comune di Enna, la miniera Floristella [1] fu aperta per diritto di proprietà con decreti di Aperiatur dell’11 aprile 1825 (sezioni Calì, Pecoraro, Piliere) e dell’11 maggio 1852 (Sant’Agostino) a favore del Barone Salvatore Pennisi, proprietario del feudo di Floristella, acquistato il 10 novembre 1781 a seguito dell’espulsione della Compagnia di Gesù titolare del fondo.

Come nelle altre solfare siciliane, la prima attività estrattiva, articolata su più sezioni della miniera, si svolse sugli affioramenti o, comunque, a piccole profondità, raggiungendo i 20 metri nella sezione Pecoraro, la più estesa.

Tali profondità erano raggiunte dalla superficie scavando, con il solo aiuto dei picconi, le discenderie, stretti cunicoli spesso realizzati in coppia, paralleli e collegati tra di loro, che si insinuavano nel sottosuolo fino a raggiungere i banchi di zolfo.

L’11 maggio 1852 fu concesso l’aperiatur per la nuova sezione Sant’Agostino nei pressi del Vallone Floristella, continuazione della vena di zolfo dell’esistente sezione Calì.

Tra il 1870 e il 1885 la famiglia proprietaria fece costruire, in pieno stile neoclassico, il Palazzo Pennisi, una vera e propria fortezza, munita di feritoie per l’utilizzo di fucili in caso di rivolta dei minatori e di sotterranei con vie di fuga, capaci di garantire la fuga all’esterno nel costone sottostante. Il che la dice lunga sul clima che si doveva respirare in miniera!

Negli anni ’80 del XIX secolo gli allagamenti delle gallerie e la mancata eduzione delle acque impedirono i lavori di estrazione dello zolfo vergine, rimanendo in attività solo gli spigolamenti, contribuendo così alla progressiva perdita di importanza e al graduale abbandono della miniera.

Solo dal 1893, con la scoperta di nuove vene e la coltivazione della sezione Sant’Agostino, la miniera riprese a funzionare a regime con metodi più moderni e dotandosi di due pozzi verticali:

  • il pozzo n.1, realizzato nel 1919, possedeva un castelletto in pietra, era posizionato al centro della venatura utile di S. Agostino, raggiungeva i 172 metri di profondità e costituiva una via d’entrata e di discesa degli operai e un punto di estrazione del minerale;

  • il pozzo n. 2 si trovava, invece, all’estremo SO della stessa venatura, con un castelletto inizialmente in legno, sostituito nel 1945 da uno in muratura, fino alla definitiva struttura in ferro realizzata venti anni più tardi; era profondo 182 metri e serviva da via di riflusso dell’aria e di discesa dei materiali di ripiena.

Posta a circa 1.5 km a SO, in comune di Piazza Armerina, la miniera di Grottacalda (fig. 2), aperta per diritto di proprietà di Rimaudo Trigona, Principe di Sant’Elia, ma senza decreto di Aperiatur, riconosciuta nel Repertorio del 1921 come zolfara di importanza nazionale attiva al 1° gennaio 1903, già dal 1815 era sede di attività estrattive significative, divenendo in breve tempo tra i siti estrattivi più attivi della Sicilia.

Affidata in esercizio, insieme alla vicina Pietragrossa, ai Fratelli Salomone, inizialmente i lavori andarono avanti senza nessuna particolare organizzazione, fino all’apertura, nel 1870, di un primo livello di lavorazione a una profondità di 155 m.

Sempre nel 1870, il completamento della linea ferroviaria Leonforte-Raddusa-Catania, colmò lo svantaggio rispetto alle zolfare agrigentine vicine ai porti d’imbarco della costa meridionale, aprendo una via di collegamento con il porto di Catania sulla costa orientale.

Nello stesso periodo, furono portati avanti lavori di ammodernamento delle tecniche estrattive, attraverso la costruzione del primo pozzo per l’estrazione verticale dello zolfo (Pozzo Grande), progettato dall’ing. Lorenzo Parodi, ma un grave incidente al sistema di eduzione delle acque, avvenuto il 28 giugno 1887, causò la sospensione dei lavori fino al 1890.

Tra il 1896 e il 1906 la gestione della miniera fu concessa alla ditta Trevella & Co., già proprietaria di un impianto per la raffinazione dello zolfo a Catania, per passare nel 1907 alla Societé Genérale des Seuffres, che assunse anche il controllo della vicina miniera Pietragrossa, delle miniere Iuncio Testasecca e Stretto-Giordano a Caltanissetta e delle due sezioni della San Giovannello a Casteltermini, mettendo insieme un gruppo che vantava una produzione di 50,000 tonnellate e un totale di 7,000 operai.

Nonostante le maggiori richieste per fini bellici, la Prima Guerra Mondiale provocò una forte contrazione del mercato dello zolfo siciliano (-45.69% tra il 1914 e il 1917), causando la chiusura di numerose miniere del bacino minerario, compresa la Grottacalda.

Nel 1919, con la nascita del consorzio formato dalla Societé Genérale des Seuffres e la Società Zolfifera Siciliana per la gestione delle miniere Grottacalda, Bosco a San Cataldo e Gallitano, l’attività riprese con l’installazione di un nuovo forno Gill a 6 celle, che si aggiunse a quelli a 4 e 5 celle già esistenti e ai 15 calcheroni della seconda metà del XIX secolo.

Contemporaneamente la miniera di Pietragrossa fu abbandonata e non sarà più concessa.

Nel 1921 e 1922, furono completati, rispettivamente, i pozzi verticali Cadorna e Vittorio Veneto, che si aggiunsero a quelli precedentemente realizzati: Pozzo Grande, nel 1870, e Santa Rosa nel 1901.

Alla fine del 1933, in seguito alla scoperta della continuazione del giacimento in direzione sud-ovest, furono avviati nuovi scavi e, nel 1934, ebbe inizio la realizzazione del Pozzo Mezzena, dell’impianto di vagliatura, dei silos e del tracciato in rilevato della decauville per il trasporto dello zolfo grezzo verso i forni di fusione.


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[1] La miniera Floristella comprende anche la zolfara Gallizzi, aperta per diritto di proprietà, senza decreto di aperiatur e non confermata da una concessione post 1927.

Fig. 1 - Palazzo Pennisi a Floristella

Fig. 2 - La miniera di Grottacalda nel 1957 (foto Montecatini)

Passata nel 1935 sotto la gestione della Società Solfifera Siciliana, furono completate le opere iniziate l’anno prima, tranne il Pozzo Mezzena, scavato fino a una profondità di 350 m, dotato di un castelletto in muratura alto 23 m e terminato solo l’anno successivo con la sala per l’argano e le cabine di trasformazione.

Con Decreto Ministeriale del 5 giugno 1942 (GU 159/1942) [2] la concessione perpetua della miniera della miniera passò alla “Montecatini, Società per l'industria mineraria e chimica”, ma durante la guerra la miniera subì ripetuti bombardamenti che provocarono l’interruzione dei lavori, allagamenti e danni tanto gravi, soprattutto al sistema di eduzione delle acque, che a guerra finita il ripristino completo della miniera fu impossibile ed essa perse progressivamente di importanza sino al suo definitivo abbandono.

Dichiarata decaduta nel 1959 e concessa per lavori di spigolamento alla “Cooperativa Minatori Grottacalda” fino al 1963, le sue pertinenze furono trasferite dallo Stato alla Regione Sicilia con DPR 1713/1965.


Tornando alla miniera Floristella, nel ventennio fascista essa seguì sostanzialmente le sorti della vicina miniera di Grottacalda, anche se la concessione perpetua fu confermata ai condòmini (eredi del Barone Pennisi) rappresentati dal sig. Cirino Lo Meo con Decreto Ministeriale del 10 aprile 1936 (GU 159/1936).

Non essendo rimasta coinvolta così pesantemente nelle vicende della 2a guerra mondiale, mantenne la sua importanza produttiva anche nel dopoguerra, tanto che fu inserita dall’art. 4 della L.R. n. 42 del 6 giugno 1975 nella lista delle ultime 8 miniere a continuare l’attività estrattiva sotto la gestione separata dell’Ente minerario siciliano.

Addirittura, tra il 1970 e il 1971, fu realizzato un ulteriore pozzo verticale, il Pozzo n. 3, costruito interamente in ferro, dal quale transitavano sia carrelli carichi di materiale che persone.

Infine, con L.R. n. 34 dell’8 novembre 1988, art. 8, viene dato mandato all’EMS di chiudere entro 24 mesi le miniere di zolfo ancora attive, tra cui Floristella.


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[2] Si tratta del primo decreto ufficiale di concessione riguardante la miniera di Grottacalda.