Metalliferi in Provincia di Bolzano

Geologia e giacimentologia

In fig.1 è mostrata la distribuzione territoriale, articolata a livello comunale, dei 12 siti di minerali metalliferi e/o Fluorite in Provincia di Bolzano.

Tra i siti censiti di estrazione di minerali metalliferi e/o fluorite sono prevalenti, 7 siti su 12, le mineralizzazioni a blenda e galena anche argentifera, che, però, sono diverse per genesi e formazioni incassanti:

  • le mineralizzazioni della miniera di Schneeberg (Monteneve), ubicate in un orizzonte piombo-zincifero incassato nei paragneiss biotitici del basamento cristallino delle Breonie, derivano dalla deformazione, ricristallizzazione e mobilizzazione metamorfica differenziale di una mineralizzazione sedimentaria di cui è ancora osservabile la struttura primaria;

  • il giacimento di origine idrotermale di Corvara, collegato all’intrusione granodioritica ercinica di Ivigna e incassato nelle conseguenti metamorfiti di contatto (paragneiss, micascisti e scisti filladici). Tale giacimento è caratterizzato, oltre che dalla presenza dei solfuri di piombo e zinco, da una grande quantità di fluorite;

  • il giacimento filoniano di Terlano le cui mineralizzazioni sono legate a processi di alterazione idrotermale delle vulcaniti atesine permiane.


Meno frequenti (3 siti) le mineralizzazioni a pirite e minerali del rame (calcopirite) come:

  • il giacimento filoniano Pfundererberg Garnstein (Villandro), incassata nelle filladi quarzifere e le metamorfiti da contatto, con ricca paragenesi caratterizzata da aumento della presenza di calcopirite in profondità e da abbondanza di portatori di argento nella calcopirite e nella galena;

  • il giacimento piritoso-cuprifero di Predoi, in Valle Aurina, di origine sedimentaria, stratiforme e singenetico con la formazione mesozoica incassante dei calcescisti con pietre verdi e scisti cloritici. La mineralizzazione, che ha subito gli effetti tettonici e metamorfici dell’orogenesi alpina, è concentrata in una serie di lenti subparallele, verticali, concordanti con la scistosità


Infine, le mineralizzazioni a fluorite di Nova Ponente si localizzano in filoni sub verticali (70-75°) con contatti ben netti con le rocce incassanti (ignimbriti riolitiche), derivanti da fratture e faglie con direzione N 20°÷30° E. Per quanto riguarda l’età, queste mineralizzazioni potrebbero essere collegate con l’attività magmatica del distretto eruttivo di Predazzo (di età triassica, 238÷232 Ma), ipotesi confermata dal fatto che i filoni di fluorite penetrano per circa 50 metri all’interno delle arenarie di Val Gardena, di età tardo permiana (260÷250 Ma). In questo caso il fluoro deriverebbe dalle vulcaniti permiane e sarebbe stato messo in circolazione per ricondizionamento termico (idrotermalismo) in connessione alle intrusioni triassiche.



Fig. 1 - Distribuzione territoriale a livello comunale dei siti di minerali metalliferi e/o fluorite in Provincia di Bolzano

Evoluzione temporale dell'attività mineraria

In fig. 2 è l'evoluzione temporale del numero di siti di minerali metalliferi o fluorite, tutti coltivati in sotterraneo e ormai abbandonati, l’ultimo (Wolf-Vallarsa) nel 1998.

L'istogramma mostra un andamento a scalini incentrato sul valore massimo di 8 concessioni attive a cavallo degli anni ’30 e ’40 del XX secolo, il periodo della politica autarchica italiana e dell’inizio della seconda guerra mondiale.

Nel dopoguerra le concessioni attive si mantengono a un valore elevato per la provincia, fino al massimo di 7 alla metà degli anni ’70, per poi decrescere nei tre lustri successivi fino alla definitiva chiusura del 1998 della miniera di fluorite di Wolf (Vallarsa).

Fig. 2 - Evoluzione temporale del numero di concessioni vigenti di minerali metalliferi e/o fluorite in Provincia di Bolzano

La miniera di S. Martino-Monteneve

Geologia e giacimentologia


A Monteneve l’orizzonte mineralizzato, ubicato nei paragneiss biotitici del cristallino delle Alpi Breonie, si caratterizza per una facies a carbonati (calcite, dolomite, siderite, magnesite), quarzo, miche (biotite, muscovite), anfiboli e feldspati che accompagna una mineralizzazione a blenda (cadmifera e manganesifera), galena argentifera, pirrotina, pirite, calcopirite e, localmente, antimonite.

Tale orizzonte è costituito da tre corpi fondamentali con spessori compresi tra 1 a 6 m, definiti come “filoni tetto, letto e incrociatore”, che si sono formati a partire da una mineralizzazione sedimentaria primaria, ancora ben riconoscibile nelle sue strutture primarie, attraverso un processo di deformazione, ricristallizzazione e mobilizzazione metamorfica differenziale di che si è articolato in tre fasi:

  • deposizione di mineralizzazioni piombo-zincifere sul fondale marino contemporaneamente alla formazione di sedimenti arenari-argillosi, con successivo arricchimento in solfuri attraverso processi batterici in ambiente anossico (ca. 500 Ma);

  • metamorfismo termico e di pressione delle formazioni sedimentarie durante l’orogenesi ercinica (300-360 Ma) con intensi piegamenti e formazione di micascisti, paragneiss e scisti grafitici. In questa fase i fanghi metalliferi ricristallizzarono e furono concentrati in pochi filoni;

  • nuova dislocazione delle rocce e mobilizzazione dei metalli con soluzioni termiche (metamorfismo idrotermale) durante l’orogenesi alpina (80-100 Ma), con formazione di nuovi minerali metalliferi. Nella fase finale dell’orogenesi tutta la serie di rocce fu scomposta da numerose faglie con direzione variabile da E-W a WNW-ESE a N-S, che provocarono gli spostamenti dei filoni mineralizzati (da pochi cm fino a 70 m) e i non pochi problemi nella coltivazione e nel ritrovamento di nuovi giacimenti.

Cenni storici


Il bacino di estrazione del Monteneve, il più alto d’Europa, si trova compreso tra 2000 e 2500 m sulla montagna di Montenevoso che divide la Val Ridanna dalla Val Passirio (fig. 3).

Le origini esatte di questa miniera, cui sono stati attribuiti molti superlativi, sono oscure e non escludono prime coltivazioni in epoche preistoriche .

La prima citazione scritta dell’argentum bonum de sneberch (il buon argento di Monteneve) risale, tuttavia, al 1237 e si riferisce a un acquisto di spade avvenuto tramite “due marchi e un quarto, meno mezzo Lot, di argento fino di Monteneve”; con questo argento fino già i conti di Tirolo, presso Merano, coniavano i “grossi aquilini” tra il 1258 e il 1374.

Il minerale di rame e di piombo/argento estratto a Monteneve fino al XIV secolo veniva, almeno in parte, fuso a Monteneve, come indicano diversi resti di forni di fusione con estesi strati di carbone e discariche di scorie, che si trovano fino alla quota di 2450 m.

Anche se non si trattava di una fusione in grande stile, richiedeva comunque un grande fabbisogno di legname, tanto da distruggere i boschi nelle vicinanze e costringere a spostare le fonderie a quote inferiori, nelle zone ricche di boschi di mezza montagna della Passiria interna, il cui legname era tutto destinato al servizio delle varie attività della miniera.

Agli inizi del XV secolo, quando l’attività mineraria in Tirolo cominciava a prosperare, i potenti Signori locali avevano provveduto a stabilire un principio chiaro riguardo al diritto di disporre delle risorse minerarie, riservandosene il controllo: essi insediavano il giudice minerario e le altre autorità minerarie, concedevano i diritti di scavo, incassavano automaticamente una tassa, solitamente intorno al 10%, sul minerale estratto da ogni pozzo ed esercitavano all'occorrenza il loro diritto di prelazione, che era in pratica un monopolio.

Il procedimento di concessione era particolarmente semplice: quando un cercatore di minerale credeva di aver scoperto un nuovo filone, ne faceva richiesta al giudice minerario competente, che accoglieva la sua richiesta e stabiliva con precisione la posizione del pozzo, al quale apparteneva un piccolo pezzo di terra annesso; se nessun altro faceva richiesta dello stesso filone, veniva dato al nuovo scavo il nome di un santo, veniva riscosso un canone e la concessione entrava in vigore.

Nel 1539 esistevano in tutto il Tirolo, 17 Giudizi Minerari: di questi quello di Vipiteno-Colle Isarco, comprendente le miniere di Steinach, Vipiteno, Rodengo, Sarentino e Passiria, con una superficie totale di circa 2,400 km2 era uno dei più grandi del Tirolo.

Inoltre, era storicamente il più importante come dimostra il fatto che il primo Ordinamento Minerario del Tirolo, esteso successivamente a tutta la regione, fu emanato nel 1427 per tale Giudizio Minerario.

L’Ordinamento prevedeva grandi privilegi per i minatori che godevano di una particolare forma di libertà, non potendo essere arrestati dal giudice distrettuale ordinario. Anche le miniere, i pozzi, le discariche, le fonderie e le carbonaie rientravano in questa forma di “libertà di miniera”, cosicché anche in questi luoghi nessuno poteva essere citato in giudizio.

La completa giurisdizione era affidata al Giudizio Minerario, al cui vertice stava il giudice minerario, cui spettava l'amministrazione del diritto minerario e della giustizia per la citata cerchia di persone e cose.

Tra le incombenze del giudice minerario, coadiuvato da undici giurati e uno scrivano, rientrava anche la distribuzione dei permessi di scavo, la concessione di discariche, di luoghi di fusione, di frantoi e di laverie, di fonderie, di segherie e di fucine, con l’utilizzo della necessaria forza idraulica, come anche il controllo dei boschi assegnati alla miniera. Egli sorvegliava l'osservanza dell’Ordinamento Minerario e dei turni, la riscossione dei tributi spettanti al principe territoriale e il rifornimento di generi alimentari.

Monteneve conobbe il suo periodo di maggior fioritura intorno al 1500, quando quasi 1000 minatori in 70 gallerie coltivavano argento e piombo, quest’ultimo particolarmente richiesto dalla miniera d'argento tirolese di Schwaz, nella bassa Valle dell'Inn, per la segregazione della tetraedrite, dalla quale veniva estratta una grande quantità di ottimo argento.

L’aumento dei minatori addetti portò all’edificazione del villaggio minerario di S. Martino a Monteneve, a 2355 m di quota, in cui le condizioni di vita e di lavoro erano incredibilmente dure e straordinariamente pericolose, specie durante il lungo inverno.

D’altra parte era quella “l’età argentea” del Tirolo, durante la quale l’argento aveva un grande valore, grazie al quale i principi territoriali del Tirolo, i principi-vescovi di Bressanone e numerose famiglie di imprenditori pervennero a grande ricchezza.

In considerazione del fiorente commercio minerario, anche l’importante famiglia di commercianti e banchieri dei Fugger si stabilì dal 1524 a Vipiteno, denominata appunto “cittadina dei Fugger”, arrivando a controllare gran parte delle attività di Monteneve e Colle Isarco.

Dalla metà del XVI secolo, tuttavia, si ridusse l'attività mineraria e gli imprenditori rimasti offrirono per l'acquisto le loro proprietà al Principe, che fondò nel 1558 la “Società commerciale austriaca delle miniere e delle fonderie”, una sorta di azienda statale, che acquisiva un numero sempre maggiore di miniere.

Nel 1578, a parte piccole aziende di poca importanza, i Fugger e il Principe territoriale erano rimasti gli unici imprenditori dell'industria mineraria nell’area, anche se i primi ridimensionarono gradualmente il loro impegno nell’attività mineraria, fino alla definitiva cessione di Monteneve alla Società del Principe nel 1657.

Il 22 marzo 1693 la miniera fu vittima di una catastrofe naturale quando “si è staccata tutto d'un colpo a Monteneve per volontà divina alle una di notte dalle Rocce Bianche di Montenevoso la valanga da vento e con grande violenza ha oltrepassato il fiume ed è andata a finire contro il dormitorio presso la galleria maestra, nel quale abitavano 70 minatori, con una tale violenza che ha sfondato il tetto ed il pavimento della stube superiore, ha anche invaso la stanzetta del sorvegliante, dove erano tenuti i badili e perciò nessuno poteva sgomberare. Per questo motivo si è verificata una tragedia tale, che 27 minatori hanno perso la vita e sono poi stati sepolti presso la chiesa di Maria Assunta a Moso”.

Il minerale principale di Monteneve non fu, tuttavia, la galena argentifera, da cui estrarre piombo e argento, bensì la blenda zincifera, che, però, nei secoli precedenti non si riusciva a lavorare.

L’Imperial Regio Erario Montano ne iniziò coltivazione solo dal 1871 e Monteneve tornò ad essere una delle più importanti miniere del Tirolo.

A Masseria, in fondo alla Val Ridanna, accanto a diverse case dei minatori e officine, sorse un grande impianto di arricchimento, grazie alla separazione di piombo, argento e zinco dalla roccia sterile, che è stato mantenuto praticamente funzionante ancora oggi per i visitatori interessati.

Sempre nel 1871, per affrontare il problema del trasporto del minerale, che da secoli avveniva grazie a cavalli che lo portavano a valle in sacchi chiusi, fu realizzato quello che, probabilmente, può essere considerato il più grande impianto di trasporto del minerale al cielo aperto su rotaia del mondo: da San Martino Monteneve a Vipiteno per 27 km, con 1900 m di dislivello, comprendente 8 piani inclinati, su cui i carrelli potevano essere tirati su o frenati giù per mezzo del contrappeso di un altro carrello. I piani inclinati erano collegati tra di loro da piani di carreggio (fig. 4) che correvano attraverso i versanti seguendo le curve di livello, su cui un cavallo tirava 6-7 carrelli di minerale della capacità di 1 m3 (tratti di “ferrovia a cavalli”).

A Vipiteno il minerale veniva caricato ferrovia e trasportato, a costi relativamente bassi, fino a Cilli (oggi Celje in Slovenia), dove, contemporaneamente all'impianto di trasporto a cielo aperto di Monteneve, fu costruita dalla Imperial Regia Amministrazione Mineraria una fonderia per la fusione dei minerali di zinco di Monteneve, Chiusa e Raibl.

In seguito alla sconfitta austriaca nella prima guerra mondiale e il trattato di pace di Saint Germain, la miniera passò sotto il controllo italiano, anche se già in precedenza la colonia di minatori italiani era numerosa.

I diritti dell'Ufficio minerario di Chiusa passarono all'Ufficio minerario di Trento, che affidò la miniera a società private, con frequenti cambi di gestione.

Il cambiamento di riferimento nazionale, soprattutto dopo la presa fascista del potere e la conseguente italianizzazione forzata del Sud Tirolo, causò uno strappo doloroso nella storia di Monteneve: sparì la vecchia articolazione gerarchica della maestranza, cambiarono uniforme, lingua, festività, usanze, musica, privilegi, tradizioni, nomi delle gallerie e del territorio, furono interrotti dal nuovo confine di Stato molti collegamenti con le valli confinanti e la parte nord del Tirolo.

Sparì, soprattutto, una buona parte del tesoro di conoscenze scientifiche raccolto per secoli nei giacimenti, che non era più accessibile e dovette essere faticosamente rielaborato.

Negli anni 1924-1926 la ditta S.A.I.M.T. (Società Anonima Imprese Minerarie Trentine), che aveva rilevato la gestione della miniera, costruì la teleferica (fig. 5) che rese possibile il trasporto del minerale da S. Martino di Monteneve alla Valle di Lazzago, attraverso la Forcella di Monteneve [1], a quota 2700 m, fino all’impianto di arricchimento di Masseria (fig. 6) con un notevole risparmio di tempo (70 minuti contro i precedenti 180 di media) e la possibilità di trasporto anche d'inverno.

I tralicci della teleferica, che in origine erano in legno, vennero sostituiti dopo la 2a Guerra Mondiale da tralicci in ferro, mentre la teleferica fu prolungata fino a Mareta, dove fu realizzata la stazione con un silo molto capiente per lo stoccaggio del minerale.

Il trasporto fino a Vipiteno avveniva, invece, con l'uso di autocarri che dal 1965, dopo la costruzione dell'odierna strada provinciale, cominciarono a prendere il minerale direttamente a Masseria per portarlo alle fonderie dell’Italia settentrionale o all’estero.


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[1] Nel 1956, immediatamente sotto la Forcella, fu creato con l’esplosivo un traforo per la teleferica, in modo da garantire una maggiore indipendenza di esercizio in caso di vento e temporali.


Fig. 3 - L'area mineraria di S. Martino-Monteneve (Fonte GoogleEarth)

Fig. 4 - Sistema di scambio tra piano inclinato e di carreggio

Fig. 5 - La teleferica Monteneve-Masseria

Fig. 6 - Il complesso di Masseria: a sx tratto di dell’impianto di trasporto, più a dx la teleferica

Intanto, già già dal 1960 l’AMMI aveva preso in considerazione l’idea di abbandonare il villaggio minerario di S. Martino di Monteneve e di accedere al giacimento metallifero dalla parte di Ridanna, con l’intenzione di migliorare le condizioni di vita e di lavoro per i minatori e di evitare il dispendioso trasporto del minerale attraverso la Forcella di Monteneve.

Come primo passo, nel 1962 fu iniziato lo scavo della galleria Poschhaus, nella Valle di Lazzago poco sotto i 2000 m di quota, avanzando per circa 3.6 km verso le “Rocce Bianche di Montenevoso” e raggiungendo il giacimento nel 1967 per iniziare una nuova fase della coltivazione in direzione della vecchia miniera soprastante.

Contemporaneamente:

  • nell’area dell’impianto di arricchimento a Masseria venne costruito, in aggiunta alle case dei minatori già esistenti, un grande edificio adibito sia a uffici amministrativi che ad abitazioni;

  • fu realizzata una cabinovia che, attraverso la Valle di Lazzago, saliva da Masseria fino a una galleria artificiale di 700 m, in parte sotterranea, che portava fino all’imbocco della galleria Poschhaus.


Con queste nuove strutture non esistevano più impedimenti all'abbandono del villaggio di S. Martino, abbandono che fu accelerato dall’incendio scoppiato nella grande casa dei lavoratori di S. Martino il 16 giugno 1967, che fortunatamente non causò vittime ma solo la distruzione totale dell’edificio.

Il villaggio minerario, secolare e unico con i suoi 2,354 m di quota, fu quindi abbandonato e i minatori rimasti si trasferirono alla testata della Val Ridanna da dove si recavano in miniera con la cabinovia.

Tutto ciò, tuttavia, non fu in grado di fermare la progressiva decadenza dell'attività mineraria nell'area, dati gli alti costi di produzione in montagna che impedivano di reggere la concorrenza sul mercato mondiale, dove si verificavano continui ribassi dei prezzi del piombo e dello zinco.

Si giunse così, nel dicembre 1979, alla cessazione della coltivazione e alla richiesta di cassa integrazione per la maggior parte di minatori rimasti.

Le successive ricerche, seppure con risultati che apparivano confortanti, non convinsero la SAMIM, succeduta nel 1979 all'AMMI, a recedere dalla volontà di chiusura della miniera, che avvenne il 5 maggio 1985, mentre il DPP n. 324 di accettazione della rinuncia della concessionaria fu emanato l'8 luglio.

Dei 42 minatori ancora in attività, 5 costituirono un consorzio ed eseguirono fino al 1989 lavori di sgombero e di sicurezza nelle aree delle gallerie Poschhaus e Karl.