Miniera di San Giovanni Rotondo

Geologia e giacimentologia

La Piattaforma Carbonatica Pugliese rappresentava uno degli elementi paleogeografici della Tetide, la cui evoluzione tettonica era controllata principalmente dalla convergenza delle placche africana ed euroasiatica durante le prime fasi dell’orogenesi alpina, nel Cretacico superiore (85÷65 Ma).

Attualmente, la piattaforma pugliese è parte dello stabile e quasi indeformato avanpaese dello scorrimento e piegamento appenninico ed è suddivisa in tre principali blocchi strutturali dai sistemi di faglie appenniniche (NO-SE) e antiappenniniche (NE-SO): il Promontorio Garganico a Nord, l’area delle Murge al centro e la Penisola Salentina a Sud (fig. 1).

Il Promontorio Garganico è la sola regione della Piattaforma pugliese in cui i carbonati di transizione da piattaforma a bacino (giurassico superiore → eocene medio) sono esposti: le rocce carbonatiche di bassa profondità, nella parte occidentale del Promontorio; i depositi di versante e di bacino nella parte orientale.

Come nelle altre due regioni, anche nel distretto garganico si può osservare un ampio intervallo deposizionale nei calcari cretacei, cui ha corrisposto una lunga esposizione agli agenti atmosferici con una conseguente ampia carsificazione e la formazione della bauxite.

In accordo con le più recenti interpretazioni, i depositi autoctoni di bauxite delle Murge e del Gargano si sono formati durante le esposizioni del tardo Cretaceo (piano Cenomaniano-Turoniano, 100÷90 Ma), mentre la bauxite alloctona rimaneggiata del Salento fu depositata più tardi durante il piano Campaniano (80÷70 Ma), sempre nel Cretaceo superiore.

La bauxite del Gargano consiste in un riempimento sedimentario di cavità simili a canyon e in lenti irregolari spesse da 3 a 10 m, giacenti tra i calcari carsificati di San Giovanni Rotondo (piano Valanghiniano-Aptiano, 135÷115 Ma), a letto, e i calcari trasgressivi di Altamura (piano Coniaciano-Santoniano, 90÷85 Ma), a tetto.

Le analisi sui campioni di bauxite di San Giovanni Rotondo dimostrano una formazione avvenuta in ambiente stabilmente basico, in condizioni ossidanti, in presenza di minerali femici, ricchi in ferro e magnesio, derivanti da una combinazione di materiale magmatico e silicoclastico.


Fig. 1 – Schema geologico e tettonico della Piattaforma Carbonatica Pugliese (Sinisi, 2018)

Cenni storici

Dopo anni di ricerche, nel 1937 la bauxite fu individuata in tre aree tra i comuni di San Marco in Lamis e San Giovanni Rotondo.

Il giacimento maggiore, in località Quadrone 7 km a sud dell’abitato di San Giovanni Rotondo, era costituito da un orizzonte bauxitico intercalato tra i calcari carsificati cretacei di età diverse, mentre gli altri due giacimenti, in località Posta e Donna Stella, erano affioranti.

Nonostante la qualità del minerale non fosse eccezionale (tenore in allumina tra 53 e il 56% e alta quantità di silice e ferro), la società Montecatini, favorita dal regime di autarchia in atto, decise di chiedere la concessione che fu accordata per 50 anni con DM del 10 luglio 1939 (GU 180/1939).

La scelta del regime fascista di favorire lo sviluppo del sito garganico, pur in presenza della produzione di bauxite delle miniere istriane, di migliore qualità e in quantità sufficiente a garantire la copertura del fabbisogno italiano di alluminio [1], fu probabilmente dovuta alla volontà di contrapporre una produzione totalmente italiana a quella istriana, controllata all’epoca dall’americana Alcoa.

Con lo scoppio della 2a guerra mondiale, le difficoltà incontrate nel garantire i necessari rifornimenti di energia elettrica ridussero gravemente la produzione nazionale di alluminio, tanto che nel 1942, pur superando le 500,000 tonnellate di bauxite estratte [2] sul territorio nazionale (Istria compresa), fu necessario, paradossalmente, importare dalla Germania 11,000 tonnellate del metallo puro.

Quello stesso anno, come era solito avvenire per le miniere Montecatini, fu costruito un villaggio minerario che «... in notevole efficienza e crescente sviluppo costituirà al più presto una magnifica realizzazione fascista nella nostra provincia che anche nel campo minerario è in prima linea nella battaglia autarchica», come annunciavano con roboante retorica i giornali fascisti locali.

In realtà, dopo la caduta di Mussolini e lo sbarco alleato in Sicilia, la miniera divenne oggetto di continue incursioni aeree da parte degli Alleati.

La completa distruzione degli impianti della miniera fu evitata solo grazie all’impegno della direzione, degli impiegati e dei funzionari, decisi a presidiare motori, parti di macchinari, camion, automobili, esplosivi e altri oggetti di ogni tipo nascosti nelle gallerie. Tuttavia, il 24 settembre 1943 gli aerei alleati colpirono anche i due piroscafi, ancorati nel porto di Manfredonia, destinati al trasporto della bauxite a Marghera, segnando la definitiva entrata in crisi della miniera, dove i lavori di estrazione vennero sospesi per tutto il 1944; solo alla fine del 1945 l’attività della miniera riprese regolarmente.

Nel dopoguerra, in previsione del passaggio dell’Istria alla Jugoslavia, la miniera di San Giovanni Rotondo acquisì una maggiore importanza, gravando su di essa il compito di soddisfare il fabbisogno interno di alluminio.

Venne, quindi, rilanciato il progetto di un impianto per la produzione di alluminio in vicinanza di Manfredonia e la miniera garganica visse un periodo di grande crescita occupazionale con l’impiego di oltre 600 unità di manodopera.

Il progetto di un impianto locale venne, però, presto abbandonato per una serie di ragioni sia tecniche, la necessità di ingenti risorse idriche carenti nella regione garganica, sia commerciali, la migliore qualità a prezzi convenienti della bauxite istriana nonostante i dazi doganali.

Già dal 1947, si scelse, quindi, la strada degli accordi commerciali con la Jugoslavia per l’importazione di bauxite, manganese, zinco, carbone e legname, accordi che furono intensificati nel 1949.

In attesa dell’abolizione dei dazi sull’importazione della bauxite, la Montecatini decise, comunque, di aumentare lo sfruttamento della miniera garganica, ammortizzando i maggiori costi di raffinazione di un prodotto di minor qualità con l’utilizzo di manodopera locale a basso costo.

Ciò provocò numerosi incidenti anche mortali: in particolare, nella notte del 27 luglio 1951, un violento nubifragio abbattutosi nella zona causò l’allagamento della miniera e la morte di tre minatori.

Il consuntivo finale sarebbe stato assai più drammatico se, in assenza di ogni possibilità di comunicazione con l’interno della miniera a causa della mancanza di energia elettrica, un singolo minatore (Carmine Fiore) non avesse deciso di entrare in miniera per dare l’allarme agli oltre cento minatori che vi lavoravano ignari di quello che stava accadendo sopra le loro teste.

Visitando la miniera nei giorni successivi, il leader sindacale Di Vittorio evidenziò le grandi responsabilità dell’azienda per l’assenza di una diga protettiva e di una linea telefonica per contattare i soccorsi.

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[1] La stima del fabbisogno di alluminio era fissata in 70,000 tonnellate per il 1941, che necessitavano una produzione di minerale di circa 280,000 tonnellate annue, a fronte delle 386,000 estratte in Istria.

[2] Per la precisione 509,430 ton (fonte ISTAT) di cui ben 194,362 estratte a San Giovanni Rotondo, massimo storico di produzione della miniera.


Come conseguenza del disastro ci fu il cambio della guardia alla Direzione della miniera, dove l’ingegner Damiani subentrò all’ingegner Sculco [3], portando alcuni miglioramenti nel processo produttivo attraverso la meccanizzazione dell’estrazione e lo scavo di un pozzo, dove prima c’erano solo discenderie.

Negli anni ’50, ottenuta l’abolizione dei dazi doganali sulla bauxite, la Montecatini ne aumentò l’importazione e avviò la stagione dei licenziamenti.

Il piano della Montecatini prevedeva il sostegno al prepensionamento dei minatori sopra i 55 anni che potevano beneficiare della legge 3 gennaio 1960, n. 5, assieme ad una corposa buona uscita di 200,000 lire.

Furono anni di aspre lotte sindacali, soprattutto da parte della Cgil, che a partire dagli anni ’50 misero in primo piano, oltre ai bisogni economici, i problemi della sicurezza e dell’ambiente di lavoro.

Fu riproposto il progetto di un impianto per la produzione di alluminio, cui la Montecatini rispose a muso duro affermando che «... il giacimento di San Giovanni Rotondo ha una consistenza di 2 milioni di tonnellate, talmente modesta, quindi, che non solo impedisce un’utilizzazione in loco della bauxite estratta, ma consiglia addirittura una riduzione della produzione annua onde avviare il giacimento stesso a rapido esaurimento. La bauxite estratta non è di buona qualità a causa del basso tenore di allumina che la medesima contiene.

A ciò si aggiunge che la presenza nel giacimento di consistenti strati calcarei influisce in senso negativo sulla qualità del minerale, che non è pertanto in grado di reggere la concorrenza non solo della bauxite jugoslava o di quella greca, ma nemmeno della bauxite indiana e australiana» (Società Montecatini - Milano, 4 gennaio 1963)

Nel 1964 la direzione della Montecatini modificò i compiti di alcuni lavoratori, spostandone alcuni da mansioni esterne (officina, manutenzione impianti, carico e scarico) a mansioni interne (attività di estrazione) e viceversa, creando destabilizzazione tra gli operai.

Dopo la fusione del 1966 della Montecatini con la Edison, la nuova Montecatini-Edison iniziò nel 1967 la costruzione di un nuovo impianto per la produzione di alluminio a San Paolo del Brasile utilizzando le bauxiti locali.

Si trattava del segnale definitivo di abbandono di ogni intenzione di sviluppo della miniera garganica, che si concretizzò attraverso un piano di riduzione graduale dell’organico fino alla chiusura della miniera prevista entro i 4-5 anni.

Le possibilità per i minatori in esubero erano due: accettare il trasferimento in altre miniere o licenziarsi.

Nel 1973 la Montecatini-Edison rinunciò alla concessione mineraria, annunciando il 6 febbraio la chiusura delle attività per il 17 dello stesso mese.

Il 7 febbraio, 31 dei 70 minatori ancora attivi occuparono la miniera (fig. 2), provando a sensibilizzare il governo locale e nazionale contro la chiusura e chiedendo l’affidamento della miniera all’EGAM fino all’esaurimento del giacimento, che secondo la Montecatini-Edison era comunque ridotto ad alcune decine di migliaia di tonnellate.

L’occupazione della miniera durò 9 giorni, fino a quando l’intervento del ministro dell’industria Ferri e del sottosegretario ai lavori pubblici Russo determinò la revoca del provvedimento di chiusura.

Fu una mossa tattica, i minatori furono trasferiti nelle fabbriche del Nord e con DM del 14 dicembre 1973 la rinuncia della Montecatini-Edison alla miniera fu accettata.

Finiva così l’avventura di una delle maggiori miniere autarchiche italiane.


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[3] Uomo di comprovata fede fascista, Sculco aveva diretto la miniere dalla sua apertura nel 1939 e impostato la sua azione, come già accennato, sul reclutamento di manodopera locale a basso costo.

Fig. 2 - Febbraio 1973: 31 minatori occupano la miniera di San Giovanni Rotondo