Consorzio obbligatorio dello zolfo siciliano

Premessa

Nel Repertorio delle Miniere pubblicato nel 1921 come Appendice alla Rivista del Servizio Minerario e riportante le miniere in attività al 31 dicembre 1919, appare la seguente significativa nota al Prospetto E [1]: «Le miniere esistenti in Sicilia ammontano ad oltre 1300, di cui 1274 di solfo; ma essendo la maggior parte di esse di assai limitata importanza, od in condizioni tali da non potere essere esercitate con profitto, si è creduto opportuno indicare nel presente elenco soltanto quelli che si presumono suscettibili di una lunga ed utile coltivazione.» (fig. 1)

I siti indicati sono in tutto 77 (meno del 6%), di cui solo 65 sono zolfare (poco più del 5%).

Questa breve nota fotografa non solo lo stato dell’arte ma anche la storia dell’attività di coltivazione dello zolfo in Sicilia: una coltivazione cosiddetta di rapina, causa-effetto dell’instabilità dei prezzi di mercato.

A monte di tutto vi era il Regime Fondiario, che regolava il “sistema concessionario” in vigore nel Regno delle Due Sicilie in base al Regio Rescritto dell’8 ottobre 1808 emanato da Ferdinando di Borbone, che annullò il diritto di esclusiva da parte dello stato sul sottosuolo, eliminando l’obbligo della decima a fronte del pagamento una tantum di 10 onze (pari a Lire 127,50) in cambio di nessuna contropartita da parte del proprietario del suolo.

Questo decreto diede un impulso notevole allo sviluppo dell’industria mineraria siciliana, certamente quantitativo ma, altrettanto certamente, per niente qualitativo, innescando una successione di eventi che possono così sintetizzarsi

Tra queste prevalse, con poche eccezioni, il sistema della rendita proporzionale alla quantità dello zolfo prodotto, che fu preferito al sistema della rendita fissa e a quello della rendita proporzionale al valore, per la particolare composizione della massa dei coltivatori, per grande parte piccoli imprenditori, generalmente sprovvisti di mezzi finanziari, che preferivano corrispondere una quota del prodotto anziché direttamente una somma di denaro, fissa o proporzionale che fosse;

A questo proposito, nella sua relazione per il 1886, l'ingegnere delle miniere di Caltanissetta individuò 567 zolfare delle quali 191 inattive, 72 coltivate in economia e le restanti 304 date in gabella. Le 567 zolfare erano riunite dimostrativamente in 150 gruppi, ciascuno dei quali, secondo il relatore, avrebbe potuto essere convenientemente oggetto di gestione unica;

Nonostante ciò, negli anni ’30 del XIX secolo lo zolfo siciliano, per la sua grande disponibilità a profondità mediamente basse, copriva intorno al 90% della produzione mondiale.

L’effetto combinato di monopolio, tipologia del contratto a gabella, mancanza di criteri razionali di coltivazione, produceva quella metodologia di estrazione definita “a rapina”, fortemente condizionata (e condizionante) dal prezzo dello zolfo sul mercato mondiale.

I gabellanti, infatti, avevano interesse a produrre nei periodi di prezzi alti, ma così facendo inflazionavano il mercato con un’offerta che provocava il forte ribasso dei prezzi, a cui reagivano riducendo la produzione [5], il che provocava un nuovo aumento del prezzo in una spirale senza fine.

A questa precarietà fisiologica del sistema, si aggiungevano due altri problemi: la mancanza di adeguate vie di traporto del minerale e l’incapacità di realizzare un sistema verticale di produzione, dal minerale allo zolfo raffinato.

Isolate nelle zone centrali dell’isola dove mancavano le strade ferrate e rotabili, il trasporto dello zolfo dalle miniere ai porti d’imbarco si compiva esclusivamente a dorso di mulo, per distanze che in qualche caso raggiungevano i 70-80 chilometri. Ad eccezione di Palermo, Catania e Messina, gli altri punti d’imbarco (Porto Empedocle, Siculiana, Terranova di Sicilia, Licata e Palma Montechiaro) non erano porti ma semplici spiagge, in cui i caricatori erano costretti, anche d’inverno, a entrare nell’acqua fino al petto portando “a spalla” lo zolfo da caricare sulle barche che lo trasportavano ai velieri sui quali veniva trasferito alla rinfusa.

Per quanto riguarda l’integrazione verticale del sistema, per tutto il XIX secolo e anche oltre il tentativo di metterla in pratica, come già avveniva per lo zolfo estratto nelle regioni continentali (Marche, Romagna e Irpinia) che avevano sempre goduto di condizioni più floride, fallì anche se i più la consideravano la soluzione da praticare.

In questo contesto già di per sé precario, a fine XIX secolo un evento sconvolse il mercato mondiale dello zolfo: l’invenzione, da parte di Herman Frasch (un chimico tedesco naturalizzato americano), di un nuovo metodo per l’estrazione dello zolfo senza bisogno di scavare gallerie in sotterraneo e la corrispondente scoperta di grandi giacimenti di zolfo in Louisiana e Texas, con caratteristiche geologiche e giaciturali tali da consentire l’utilizzo di tale metodo.

Il metodo Frasch sfruttava la solubilità dello zolfo per effettuarne l’estrazione dal sottosuolo utilizzando acqua surriscaldata (165°C) ad alta pressione (25÷30 bar), ottenendo un prodotto fuso con purezza superiore al 99.5% (fig. 3).

Il metodo Frasch, che rappresentò la fortuna per i giacimenti diapirici americani (a tenore alto, giacitura sub-orizzontale e senza grandi fratture e faglie, fig. 4), non era però ugualmente applicabile allo zolfo siciliano [6], i cui giacimenti erano caratterizzati da tenori bassi di zolfo, frammisto ad alte percentuali di ganga gessosa, dall’assenza, a tetto e letto delle formazioni solfifere, di terreni sufficientemente impermeabili e da forti disturbi tettonici.

In breve tempo, grazie all’efficienza del metodo di produzione e ai costi particolarmente bassi (19 lire/ton contro le 36 dello zolfo siciliano), lo zolfo americano invase il mercato internazionale, scalzando la Sicilia dal ruolo predominante che aveva occupato sin dai primi decenni del XIX secolo.

In aggiunta a ciò, la nuova Legge n. 818 del 10 novembre 1907 (Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 1908), che normava (finalmente!) l’avvio a lavoro in miniera dei ragazzini in tenera età (i “carusi”) [7], provocò in un settore gestito in modo arcaico un ulteriore aumento del costo di produzione.

Fig.1 - Repertorio 21: Nota al Prospetto E

Fig. 2 - Distribuzione delle concessioni per la coltivazione di zolfo in Sicilia

Fig. 3 - Schema del metodo Frasch per l’estrazione di zolfo dal sottosuolo

Fig. 4 - Schema di un duomo salino con a tetto uno strato a tenore elevato di zolfo

In questo quadro di precarietà dell’intero settore zolfifero siciliano, prese corpo, quindi, la proposta dell’istituzione di un Consorzio obbligatorio per l’industria zolfifera siciliana attraverso la presentazione di un apposito disegno di legge da parte dei ministri Malvezzi e Tedesco.


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[1] Il Prospetto E si riferisce alle miniere non soggette ad autorizzazione governativa, aperte al 31 dicembre 1919[2] La Scuola mineraria di Caltanissetta sarà inaugurata solo nel 1864

[3] Del gruppo facevano parte, ma in condizione più che subordinata, i carusi, ragazzini dai 7 anni in su, sfruttati dai picconieri per il trasporto a spalla del minerale estratto dalla galleria fino alla superficie.

[4] Ad esempio, nel censimento ISPRA si segnalano 13 concessioni Quattro Finaite, 11 Gessolungo, 10 Falconera …

[5] O, comunque, mantenendo la produzione elevata per non aumentare il peso dei costi fissi ma non immettendola tutta sul mercato, facendo crescere così le scorte accantonate. La questione delle scorte da reimmettere sul mercato costituirà un grave problema per il Consorzio solfifero costituito nel 1906.

[6] E anche se lo fosse stato, il carattere non organizzato dell’industria siciliana non avrebbe consentito di testarlo adeguatamente.

[7] La legge vietava il lavoro (in industria, edilizia, miniera) dei ragazzi sotto i 12 anni, 13 se il lavoro era in sotterraneo e meccanizzato, 14 se in sotterraneo e non meccanizzato.

Riguardo alle zolfare siciliane era previsto inoltre il divieto al lavoro sotto i 14 anni per chi era adibito al carico/scarico dei forni di fusione.

La nascita del Consorzio obbligatorio (1906)

Il Consorzio obbligatorio per l’industria zolfifera siciliana fu istituito con la legge 15 luglio 1906 n. 333 (GU 168 del 19 luglio 1906) che ne stabiliva la durata in 12 anni, prorogata prima di altri 12 anni e poi fino al 1940, ma la crisi del 1929, che aveva inasprito il dissidio tra l’industria zolfifera siciliana e quella continentale, ne provocò la chiusura nel 1932.

Con sede generale a Palermo e quattro agenzie nei porti d’imbarco dello zolfo a Catania, Porto Empedocle, Licata e Termini Imerese, il Consorzio riuniva i proprietari e gli esercenti di tutte le zolfare siciliane e aveva funzioni esclusivamente commerciali, fissando il prezzo, gestendo la vendita e il collocamento dello zolfo nei diversi mercati e la conseguente ripartizione del ricavato netto ai produttori.

Ad amministrarlo era un comitato di delegati composto di 50 membri, cui furono conferiti i poteri dell’assemblea generale nelle Società Anonime, e da un consiglio di amministrazione composto di nove titolari, quattro supplenti e dal direttore generale. Nel comitato dei delegati due membri erano nominati dal Ministro dell’Agricoltura, due dal consiglio generale del Banco di Sicilia, due dal complesso delle camere di commercio di Palermo, Catania, Girgenti e Caltanissetta, mentre gli altri membri erano scelti dai consorziati, metà con votazione per numero e metà con votazione per interesse (un voto ogni 100 tonnellate di zolfo).

Il direttore generale era nominato dal governo, dei 9 membri titolari del Consiglio di Amministrazione uno era nominato dal ministero dell’Agricoltura, uno dal Banco di Sicilia, uno dalle Camere di Commercio siciliane e sei dai consorziati, mentre su quattro supplenti, uno era scelto dal ministro, uno dal Banco di Sicilia e due dai consorziati.

In totale, su quattordici membri, sei erano di nomina pubblica e otto erano scelti dai consorziati; tenendo conto che il direttore generale, vera anima dell’azienda, era di nomina regia, ne derivava una forte impronta governativa sul Consorzio.

L’art. 2 della legge 133/1906 prevedeva, inoltre, la formazione di un fondo perduto di 2 milioni di lire, nelle forme stabilite all’art. 23, per «la costituzione di una Banca Autonoma di Credito Minerario per la Sicilia, che faccia anticipazioni ai produttori al tasso non maggiore del 5 per cento, con garanzia sullo zolfo grezzo, od altra equipollente», successivamente incorporata nella sezione di credito minerario del Banco di Sicilia, in seguito alla regolamentazione del credito minerario derivata dal RD n. 1443 del 29 luglio 1927.

Fig. 5: Gazzetta ufficiale con il testo della legge che istituisce il Consorzio obbligatorio

Luigi Einaudi e il Consorzio obbligatorio

A tre settimane dalla promulgazione della legge istitutiva del Consorzio obbligatorio dello zolfo, Luigi Einaudi (fig. 6), economista e futuro 1° Presidente eletto della Repubblica italiana (1948÷1955), scrisse a commento della nuova legge due articoli sul Corriere della Sera; un anno dopo tornò sull’argomento tirando le somme dell’anno passato e verificando i risultati del Consorzio rispetto alle proprie aspettative, positive e/o negative, dell’anno prima.

Un esperimento di intervento dello Stato [8]

Primo articolo (Corriere della Sera 8 agosto 1906)

«Dal primo d’agosto del 1906 in virtù di una legge affrettatamente votata dal parlamento nelle sue ultime tornate, i proprietari o possessori e gli esercenti delle zolfare presenti e future di Sicilia sono costituiti di diritto in consorzio, per la durata di dodici anni, sotto il titolo di “Consorzio obbligatorio per l’industria zolfifera siciliana”. Questo il fatto, che deve avere esercitato mediocrissima impressione sui legislatori che lo vollero in una breve seduta antimeridiana, la quale non ebbe eco alcuna nella stampa, ed invece è uno dei fatti più importanti della storia industriale moderna non pur d’Italia, ma del mondo.

Per mettere in luce l’importanza grandissima del “Consorzio zolfifero” si pensi a ciò che sono i trusts, i sindacati, i cartelli nell’organizzazione economica dei tempi nostri; si rifletta ai colossali organismi capitalistici che raggruppano tutti o la maggior parte degli stabilimenti di una industria sotto una sola direzione, assicurando ai produttori il monopolio della produzione e dello smercio; mettendoli in una situazione privilegiata, rispetto ai consumatori, che essi possono taglieggiare a loro posta con aumenti nei prezzi, ed agli operai, che ben difficilmente possono lottare con le loro leghe contro colossi dell’industria; si pensi alla lotta titanica iniziata dal presidente Roosevelt contro gli odiatissimi trusts del petrolio, delle carni conservate, degli acciai e delle ferrovie; si ricordi il brivido di spavento che fece sussultare la vecchia Europa e soprattutto l’Inghilterra quando si annunciò il proposito del Morgan di monopolizzare coll’accordo dell’Oceano la navigazione fra l’Europa e l’America; si rammenti quanto possono i sindacati tedeschi del carbone, i sindacati internazionali degli acciai ed il sindacato italiano capitanato dalla Terni; e si comprenderà la sorpresa che a tutta prima colpisce l’osservatore, il quale vede lo stato italiano farsi paladino e creatore di un altro monopolio, quello dello zolfo; imponendo a proprietari ed esercenti le miniere di unirsi in un consorzio di vendita ed intervenendo a sorreggere e fino a un certo punto a garantire le sorti finanziarie del nuovo ente monopolistico.

L’Italia, o meglio la Sicilia zolfifera, sarebbe giunta a quell’ultimo stadio di sviluppo industriale preconizzato da Carlo Marx, nel quale - essendo ormai unificata la produzione in ogni singola industria nelle mani di una sola impresa - lo stato interviene per regolare la produzione privata, primo passo ad un prossimo collettivismo minerario? L’industria zolfifera siciliana, di cui finora si lamentarono gli scarsi progressi tecnici e l’incredibile sminuzzamento della produzione, avrebbe in breve ora compiuto tali progressi da poter senz’altro passare allo stadio della produzione unificata sotto l’alta direzione dello stato?

I liberisti puri non si spaventino troppo ed i collettivisti non si rallegrino ad occhi chiusi: la profezia di Marx non si è avverata nella sua storica sequenza e lo stato italiano non ha intrapreso nessun cosciente sperimento di collettivismo. I metodi tecnici nella coltivazione delle miniere sono ancor oggi scarsamente progrediti; la proprietà e l’esercizio delle imprese zolfifere è ancora frazionato, troppo frazionato. Ma è certo che lo stato italiano si è messo a capo - per motivi di fatto, spinto da considerazioni d’urgenza e quasi senza saperlo - di uno dei più interessanti sperimenti, se non di collettivismo, di regolazione e monopolizzazione di un’industria importante, a cui si possa oggidì assistere nel mondo intero. La trasformazione del monopolio industriale in un istituto socialmente benefico: ecco il nuovo fatto voluto dal legislatore italiano. Se si tolgono pochi esempi di monopolio russi e tedeschi creati sotto l’egida dello stato, per motivi assai più strettamente capitalistici, noi non conosciamo altro esempio di tentativo così nuovo. Noi non siamo schiavi di apriorismi e riteniamo che la scienza debba studiare i fatti che la vita industriale moderna ci presenta nel suo continuo, febbrile sviluppo, anche se quei fatti non rientrano negli schemi classici dei vecchi trattatisti. Perciò pur facendone rilevare tutte le incognite, seguiremo con simpatia il nuovo tentativo italiano. Per ora ci limitiamo a dire delle ragioni che condussero alla costituzione del consorzio zolfifero.

Esse si riassumono nello stato di crisi cronica in cui versa da tempo l’industria zolfifera siciliana. Malgrado sia rimasta fino a pochi anni fa quasi l’unica provveditrice del mercato mondiale, le sue vicende non erano state sempre fortunate...

Le cause della crisi erano, allora come adesso, le seguenti: la concorrenza irrefrenata dei coltivatori delle miniere di zolfo, chiamati gabelloti, i quali, nelle epoche di alti prezzi vanno affannosamente alla ricerca di miniere da coltivare, si obbligano a pagare ... fitti elevatissimi ai proprietari, e per rifarsi crescono la produzione; e quando i prezzi scemano, la crescono ancora per ripartire le spese su una quantità maggiore di minerale; la mancanza di capitali nei gabelloti, costretti, per pagare usure spietate, a vendere il minerale in anticipo; la disordinata vendita del minerale per far denari ad ogni costo, e le manovre speculative fatte da negozianti e spedizionieri per provocare ribassi di prezzo quando i produttori hanno bisogno di vendere; l’alto costo della estrazione, dovuta allo sminuzzamento delle miniere (nelle regioni minerarie lo zolfo appartiene al proprietario della superficie e questi, contrariamente all’opinione comune, sono moltissimi, per lo più piccoli e medi proprietari, restii ad unirsi insieme) ed alla difficoltà di applicare metodi tecnici perfezionati in intraprese troppo minute.

Nel 1895, quando la crisi imperversava fierissima ed i prezzi erano ridotti a 55 lire la tonnellata il rimedio venne dall’estero. A Londra nel 1896 si costituì l’Anglo-Sicilian Sulphur Company ... la quale stipulò col governo italiano la convenzione del 27 luglio 1896 approvata colla legge del 22 luglio 1897, con cui lo stato aboliva tutte le tasse dirette e indirette governative e comunali - tranne l’imposta fondiaria e le tasse di registro - sulla produzione e sul commercio dello zolfo di Sicilia, sostituendole con una tassa unica di una lira per tonnellata di zolfo esportato; e la compagnia si obbligava ad acquistare tutto lo zolfo prodotto in Sicilia nel decennio dal 1 agosto 1896 al 31 luglio 1906, al prezzo fisso da lire 76 a 82 secondo le qualità, pagabile entro il mese dalla consegna. Era un tentativo di sindacato di vendita, libero però, in quanto i proprietari e gli esercenti potevano anche non vendere affatto lo zolfo alla Sulphur; e difatti questa non riuscì mai ad accaparrare più del 60% della produzione. Gli altri produttori, alcuni grossi e molti piccoli, profittarono della fermezza impartita al mercato dalla costituzione della Sulphur e si tennero in disparte per profittare al massimo dei prezzi alti. Gli effetti del nuovo stato di cose furono ottimi per i produttori; il prezzo corrente dello zolfo nel 1896 salì a 69,92 lire; nel 1897 balzò a 90,39, e negli anni successivi si è tenuto fra le 95 e le 96 lire. La Sulphur, che comperava dai produttori vincolati a circa 15 lire di meno per tonnellata, ha distribuito alle sue azioni di preferenza il 6% ed alle sue azioni ordinarie il 50% di dividendo. Ciononostante, la Sulphur non ha voluto sapere di rinnovare il contratto e col 31 luglio di quest’anno ha abbandonato l’intrapresa. Egli è che, dopo un decennio di prosperità l’orizzonte tornava a farsi oscuro per l’industria dello zolfo. Da un lato, sotto la spinta dei prezzi remuneratori, la produzione cresceva rapidamente specie nelle miniere non vincolate colla Sulphur. Le miniere attive che nel 1895 erano 432 nel 1904 erano diventate 800; gli operai impiegati da 24194 passavano a 35695; e la produzione progrediva da 352 a 496000 tonnellate. Anzi, nel 1899 e nel 1901 si erano raggiunte persino le 537000 tonnellate. La esportazione tanto sul continente italiano, quanto all’estero, continuava a progredire e passava da 364 a 506000 tonnellate dal 1895 al 1904; mantenendosi l’equilibrio fra produzione e consumo. Ma negli ultimissimi anni un fatto nuovo si produceva: gli Stati uniti d’America che nel 1898 compravano 142000 e nel 1902 ben 176000 tonnellate di zolfo siciliano, nel 1904 ne comprarono appena 107000 e nel 1905 circa 70000.

La loro produzione - che prima si aggirava intorno a 1500 tonnellate, nel 1893 saliva infatti a 35000 e nel 1904 a 194000; e nel 1905 e 1906 si mantenne intorno alla stessa cifra solo per accordi intervenuti colla Sulphur e che ora sono spirati. Notizie ottenute per mezzo di indagini di ingegneri italiani recano che nella Louisiana esistono giacimenti di una ricchezza calcolata di 40 milioni di tonnellate; e che, mentre a causa dell’inclinazione e delle spezzature dei nostri giacimenti i lavori di ricerca, di avanzamento e di coltivazione sono spesso incerti e dispendiosi, le condizioni normali dello strato louisiano permettono di constatarne facilmente l’esistenza e la massa e di applicare il sistema di trivellazione, con un’ingegnosa combinazione di tubi e di sifoni, mercé cui lo zolfo può essere attaccato e fuso dall’esterno all’interno e riversato esteriormente allo stato liquido. Il costo sulla miniera dello zolfo louisiano sarebbe di lire 18,43 e potrebbe discendere a lire 13,31, mentre in Sicilia il costo è stato valutato in 35,76 lire la tonnellata. Una concorrenza formidabile si annuncia dunque, concorrenza che ha già ridotte moltissimo le nostre esportazioni verso l’America prima uno fra i principali mercati dello zolfo siciliano; ed ha fatto crescere gli stocks zolfiferi esistenti sugli scali della Sicilia a circa 550000 tonnellate di cui 400000 appartenenti alla Sulphur. Altra incognita codesta: allo spirare del contratto che cosa avrebbe fatto la compagnia inglese della rimanenza invenduta e da essa nei propri bilanci già largamente svalutata? L’avrebbe buttata sul mercato, facendo rinvilire i prezzi ed arrestando per un anno la vendita dei produttori?»

Secondo articolo (Corriere della sera 9 agosto 1906)

«Numero delle miniere attive aumentato da 432 ad 800; produzione interna cresciuta da 350 a 500000 tonnellate circa; produzione americana cresciuta dal nulla a quasi il terzo della produzione mondiale e con possibilità di rapida espansione a prezzi bassi; stock interno valutato in 550000 tonnellate; rifiuto della Anglo-Sicilian Sulphur Company di rinnovare il contratto; pericolo imminente di ritorno alle condizioni di concorrenza di dieci anni fa: ecco i fatti ed i timori che diedero origine al nuovissimo consorzio obbligatorio zolfifero. Se si pensa che parecchie migliaia di persone sono interessate come proprietari o gabelloti alla prosperità dell’industria; che circa 200000 persone, un diciottesimo della popolazione della Sicilia - tra operai, impiegati e le loro famiglie - dipendono per la loro esistenza dalle miniere, si capisce come la minacciante crisi provocasse molti a fare proposte, suggerimenti, ecc. Anni or sono i socialisti siciliani, in un memorandum al commissario civile per la Sicilia, avevano proposto l’espropriazione delle solfare e il loro esercizio da parte dello stato; ma la proposta apparve impraticabile, per il capitale vistoso richiesto per l’espropriazione e per i rischi che si sarebbero accollati allo stato coll’esercizio di un’industria aleatoria sia dal punto di vista tecnico che da quello economico. A poco a poco l’opinione pubblica siciliana, le camere di commercio di Girgenti, Caltanissetta, Catania e Palermo, il sindacato obbligatorio per gl’infortuni del lavoro finirono per fermarsi sul concetto di un ente creato per legge che obbligatoriamente riunisse tutti i produttori e gli esercenti ed effettuasse le vendite per conto comune. Anche una commissione, nominata dal consiglio superiore del lavoro per riferire sulle condizioni dei solfatai, concluse, su relazione dell’avv. Abbiate, favorevolmente alla creazione di un sindacato obbligatorio per la produzione e la vendita dello zolfo. La legge approvata dal parlamento, in parte sotto la pressione di minacciosi disordini dei solfatai di Caltanissetta, accoglie tale principio e gli dà forza obbligatoria.

Il consorzio obbligatorio di tutti i proprietari ed esercenti le miniere non è perpetuo e non si estende in apparenza alla produzione ed alle trasformazioni successive dello zolfo; è limitato a 12 anni ed ha per scopo di vendere lo zolfo non lavorato per conto e nell’interesse comune di tutti i consorziati. Il legislatore ha quindi tolto ai proprietari ed esercenti delle miniere di zolfo della Sicilia quello che è un diritto riconosciuto a tutti dal Codice civile: vendere a chi, quando ed a che prezzo si vuole i frutti del proprio lavoro e della propria industria. L’industriale siciliano rimane libero nella produzione dello zolfo, ma non può venderlo. La vendita è unicamente affidata al consorzio, il quale dovrà, è vero, venderlo a prezzo uguale per tutti, fissato per periodi, ed a chiunque ne faccia richiesta per l’esportazione nei mercati italiani ed europei; ma naturalmente venderà non secondo gli interessi individuali, ma secondo l’interesse collettivo reputato massimo di tutti i consorziati. Lo zolfo non sarà ammesso all’imbarco nei porti di Sicilia, senza una speciale richiesta del consorzio e non sarà ammesso al trasporto nelle ferrovie o in altri veicoli dell’isola, se non sia diretto ai magazzini consorziali o se la richiesta di spedizione non sia fatta dal consorzio.

Da questa prima limitazione al diritto di proprietà privata discende logicamente un’altra. Invano si sarebbe infatti costituito il consorzio col monopolio della vendita se i proprietari ed esercenti lo avessero potuto costringere a vendere tutta la quantità di zolfo che ad essi fosse piaciuto di produrre. Forse la crisi sarebbe stata attenuata, per la migliore organizzazione commerciale della vendita; ma col crescere della quantità prodotta - e questa sarebbe cresciuta certamente, dati i prezzi remuneratori, la facilità delle vendite, la sicurezza dei pagamenti, ecc. - i prezzi avrebbero dovuto rinvilire. Quindi l’articolo 4 della legge dà diritto al consorzio di limitare la produzione, quando le condizioni del mercato la rendano necessaria. Vero che la limitazione deve essere circondata da opportune norme e garanzie statutarie, e deve essere approvata dal ministro d’agricoltura; ma è anche vero che i produttori di zolfo sono di fatto vincolati non solo nell’atto della vendita, ma anche in quello della produzione: possono produrre come vogliono, ma solo quanto piace al consorzio di lasciar loro produrre. Conseguenza necessaria - ripetiamo - dell’obbligatorietà del consorzio, ma conseguenza che involge una profonda trasformazione nella natura dell’impresa industriale privata la quale merita di essere attentamente seguita.

Si noti che le conseguenze sono gravi non solo per i produttori, ma anche per i consumatori. Limitare la produzione vuol dire vendere a prezzi più elevati, con scarso giubilo di quelli che devono comperare lo zolfo. Agli agricoltori italiani il legislatore ha pensato, imponendo al consorzio di vendere loro ad un prezzo non maggiore della media di quello segnato dalle mercuriali nel triennio precedente, diminuito del 5%. I viticultori italiani si rallegrino: essi non pagheranno lo zolfo più caro di quanto l’abbiano pagato in passato. Ma non dormano noncuranti sui cuscini di piuma; poiché senza un energico intervento delle loro cooperative di consumo, potrà ben darsi che i prezzi siano aumentati, se non dal consorzio, dai fabbricanti e dai grossisti a cui il consorzio venderà lo zolfo greggio per l’agricoltura nazionale. Per tutto il resto della produzione, i prezzi non sono vincolati; e in sostanza per gli italiani non v’è danno, perché sono i consumatori stranieri che ne faranno le spese, così piacendo alla concorrenza nord-americana. Questo è il motivo principale per cui i consumatori italiani possono guardare con indifferenza il costituirsi di un monopolio privato sotto l’egida dello stato: che esso cioè è un mezzo di sfruttamento dello straniero, il quale assorbe i sette ottavi dello zolfo prodotto dalla Sicilia. Tanto meglio per l’Italia se la Sicilia riuscirà a far pagare caro lo zolfo all’estero. Anche il governo cileno favorisce i sindacati del nitrato di soda, perché è interessato alla prosperità di quell’industria esportatrice.

Fig. 6: Luigi Einaudi (1874-1961)

 Il guaio si è che il Cile ha un quasi - monopolio naturale del nitrato di soda; mentre la Sicilia rischia di perdere il suo antico quasi-monopolio a causa delle nuove miniere della Louisiana. Come provvede la legge a scartare il pericolo delle 550000 tonnellate di zolfo esistenti nei magazzini dell’isola? Tutti i propositi di difesa dei prezzi a poco avrebbero giovato se i detentori dello stock, e principalissimo la Sulphur, avessero potuto premere al ribasso sul mercato. Di nuovo la legge ha creduto necessario vulnerare il diritto di proprietà privata ed insieme un altro principio sacro ai giuristi: quello della irretroattività delle leggi. Le partite inferiori alle 15000 tonnellate sono lasciate libere, reputandosi scarsa la loro influenza sul mercato; ma i detentori delle partite superiori (fra cui la Sulphur), nei primi dieci giorni d’agosto di quest’anno debbono dichiarare al consorzio se vogliono vendergli il loro zolfo al prezzo fisso di lire 59 per tonnellata, posto alla vela nei porti d’imbarco, ovvero affidarglielo per la vendita alle stesse condizioni dei produttori consorziati. Insomma, lo stato dice ai vecchi produttori che detengono stocks di zolfo: voi avete prodotto il minerale in un’epoca in cui produzione e vendita erano libere; con tutto ciò io vi esproprio del vostro zolfo ad un prezzo fisso, quando voi non preferiate apportarlo nel consorzio nuovamente istituito.

Una difficoltà si presentava: quella del capitale necessario alla compra di tanto zolfo. Mezzo milione di tonnellate a 59 lire l’una corrispondono a circa 30 milioni di lire; somma egregia se si pensa che nelle casse del consorzio per ora di denari ce ne sono pochini. Di nuovo lo stato interviene a risolvere le difficoltà, autorizzando il consorzio ad emettere obbligazioni da 500 lire, fruttanti il 3,65 % netto, esenti da ogni imposta presente e futura. Il consorzio pagherà i detentori degli stocks di zolfo con le obbligazioni e le rimborserà in dodici anni. Le obbligazioni sono garantite dallo stato, tanto in conto capitale quanto in conto interesse. Lo stato con un nuovo debito pubblico - sia pure coperto da una massa rispettabile di zolfo - interviene ad impedire le vendite precipitose di zolfo e la crisi minacciante la Sicilia zolfifera. Che cosa accadrà se i prezzi discendessero, per la concorrenza della Louisiana, parecchio al disotto delle 59 lire? Che cosa accadrà se il consorzio nei dodici anni non riuscisse, per le pressioni dei produttori interessati a vendere la massima quantità dello zolfo prodotto anno per anno, a disfarsi di tutto lo stock iniziale? I produttori non accuseranno il governo di spingere al ribasso, se volesse far vendere al consorzio gli stocks anche a prezzi ridotti? Aveva ragione il senatore Di Camporeale, nella sua relazione al senato, di dire che il primo periodo transitorio “è pieno di pericoli ed il governo sarà certamente chiamato responsabile di ogni possibile inconveniente”. Quale risposta si darà quando altre industrie in crisi faranno appello al credito dello stato?

A premunirsi dai pericoli, il governo si è riservata una larga parte nella amministrazione del consorzio. Il quale sarà amministrato da un comitato di delegati composto di 50 membri, a cui sono conferiti i poteri dell’assemblea generale nelle società anonime, e da un consiglio di amministrazione composto di nove titolari, quattro supplenti e dal direttore generale. Nel comitato dei delegati entrano due membri nominati dal ministro di agricoltura, due dal consiglio generale del Banco di Sicilia, due dal complesso delle camere di commercio di Palermo, Catania, Girgenti e Caltanissetta; gli altri membri sono scelti dai consorziati, metà colla votazione per numero e metà colla votazione per interesse (un voto ogni 100 tonnellate di zolfo). I consorziati conservano anche la maggioranza nel consiglio d’amministrazione, ma è assai diminuita: infatti, il direttore generale è nominato dal governo; su 9 membri titolari, uno è nominato dal ministero d’agricoltura, uno dal Banco di Sicilia, uno dalle camere di commercio siciliane e sei dai consorziati; su quattro supplenti, uno è scelto dal ministro, uno dal Banco di Sicilia e due dai consorziati; in totale, su quattordici membri, sei sono di nomina pubblica ed otto sono scelti dai consorziati; e si noti che il direttore generale, vera anima dell’azienda, è di nomina regia.

Non avevamo ragione di dire che questo è un esperimento interessante di un monopolio rivolto soprattutto allo sfruttamento dei mercati stranieri, avente carattere semi-pubblico, creato dallo stato e posto sotto la sorveglianza e la responsabilità del governo? Che il legislatore italiano abbia trovato la formula intorno alla quale si affaticano da tanto tempo gli americani per fiaccare l’oltrepotenza dei monopoli privati e per renderli socialmente benefici? Giova sperarlo, perché lo stato italiano non ha risparmiato sacrifici per far sì che lo sperimento riuscisse a buon fine: alleviamenti di imposte, di tariffe ferroviarie, istituzione di magazzini generali e di una banca di credito minerario con capitale fornito dal tesoro per due milioni a fondo perduto e per due milioni dal Banco di Sicilia. La storia industriale si arricchirà certamente negli anni venturi di un capitolo interessante. Auguriamo alla Sicilia ed all’Italia che il capitolo sia a lieto fine.» 

La questione solfifera siciliana. Pericoli e dubbi [9]

Terzo articolo (Corriere della Sera 6 agosto 1907)

«L’anno scorso, quando fu votata la legge del 15 luglio 1906 sul Consorzio obbligatorio tra i produttori di zolfo, fummo i soli tra i giornali quotidiani a mettere in luce la importanza straordinaria dell’esperimento che il parlamento italiano aveva, forse inconsapevolmente, deliberato. Si trattava in fondo di dare un assetto, quasi collettivistico, nuovissimo negli annali dell’industria, alla produzione ed alla vendita dello zolfo, per trarre la grande industria siciliana dalle difficoltà gravissime nelle quali essa s’era dibattuta sempre nei periodi di libera concorrenza irrefrenata e di sindacato capitalistico libero.

...

Dopo l’azione regolatrice esercitata dal 1896 dall’Anglo-Sicula Sulphur Company sul mercato ... negli ultimi anni due circostanze vennero però ... ad oscurare l’orizzonte ... dell’industria solfifera. Da un lato ... l’Anglo-Sicula per sostenere i prezzi dovette comprare lo zolfo indipendente o, il che fa lo stesso, diminuire la sua vendita per modo da trovarsi, alla scadenza dei suoi contratti, nel 1906, con una forte rimanenza di 360.000 tonnellate di zolfo, minaccia continua alla tranquillità dell’industria. D’altro lato, le minacce di concorrenza nord-americane ... per la geniale scoperta di un ingegnere, il quale, giovandosi della favorevole posizione dei giacimenti della Louisiana, immetteva con adatti tubi acqua calda nel sottosuolo alla voluta profondità, discioglieva l’ammasso di minerale di zolfo e lo estraeva liquido e notevolmente puro (circa l’80%) per mezzo di altri tubi ...

Le provvidenze governative vennero abbastanza sollecite con la legge che statuiva il consorzio obbligatorio dello zolfo siciliano. Parve l’anno scorso che l’unica arma per combattere la forte impresa americana fosse la costituzione di un consorzio tra tutti i proprietari ed esercenti miniere di zolfo della Sicilia, col quale il Frasch avrebbe dovuto venire a patti per la divisione del mercato mondiale.

Trascurando le minori, seppure importantissime, immunità fiscali, i principi informatori della legge del 1906 erano i seguenti:

Noi dicemmo, quando la legge fu approvata, che avremmo assistito non senza trepidazione ad uno sperimento così audace di collettivismo di stato introdotto ex abrupto in un’industria tecnicamente in media arretrata, come quella solfifera; e dichiarammo che ad ogni modo lo sperimento sarebbe stato assai istruttivo, poiché non accadeva di frequente che lo Stato si rendesse garante della regolare vendita a prezzi remuneratori di una forte rimanenza accumulata da un’industria in crisi.

Molti dubbi ci si affacciavano. Potrà il consorzio resistere a lungo alla concorrenza americana? Se gli zolfi deprezzassero al disotto delle 59 lire la tonnellata o il consorzio non riuscisse a venderli a questo prezzo quali sarebbero state le conseguenze per lo stato e per il Banco di Sicilia? Non sarebbe stato contagioso per le altre industrie in crisi l’esempio dato una volta dell’intervento dello stato a garantire la vendita a un dato prezzo della merce invenduta? Oramai è passato un anno e si può affermare con sicurezza che i dubbi non erano infondati. Una risposta esauriente non è ancora possibile dare, perché il consorzio si è a malapena costituito in maniera definitiva in questi ultimi giorni, e, come al solito, in tutte le cose provvisorie l’amministrazione provvisoria è stata prudentissima nel fare. Ė questo un primo difetto di un organismo semistatale: di essere lento e impacciato nei movimenti laddove occorrerebbero deliberazioni rapide ed azione pronta. Il signor Frasch nel combattere la battaglia contro lo zolfo siciliano non ha che da consultare il consiglio d’amministrazione della sua società. Il direttore del consorzio siciliano deve ascoltare l’avviso di un mezzo parlamento nominato dai produttori di zolfo, deve sentire il parere del governo che garantisce le obbligazioni emesse per conservare il fondo delle 360000 tonnellate ereditate dall’ Anglo-Sicula, né può trascurare eziandio di dare il giusto peso ai consigli del Banco di Sicilia che sconta le note di pegno zolfifere. Tutto questo è complicato e lento; e non è meraviglia che il consorzio non si sia finora deciso né a venire a patti col Frasch per la divisione del mercato mondiale né a buttare sul mercato a prezzi di concorrenza le rimanenze accumulate per costringere il rivale ad una intesa. Frattanto la semi-statizzazione dell’industria solfifera ha cominciato a produrre ovvie conseguenze curiose. Quest’inverno, prima ancora che si sapesse qualcosa della riuscita del singolare esperimento di monopolio semi-pubblico, i minatori di parecchie miniere, fatti persuasi che il consorzio voleva dire prezzi alti, chiesero e ottennero una partecipazione ai benefici futuri del monopolio. Oggi l’agitazione si estende nuovamente nei bacini minerari per esercitare, a quanto sembra, una pressione sul governo e sul Banco di Sicilia.

Infatti, siccome il consorzio in questo suo primo anno di vita, non è riuscito a vendere, non diciamo parte delle rimanenze accumulate, ma nemmeno tutta la produzione corrente, i produttori hanno largamente profittato della facoltà di scontare le note di pegno rappresentate dallo zolfo invenduto presso il Banco di Sicilia; tanto largamente che oggidì il fondo apposito è quasi esaurito ed il Banco ha dovuto elevare il saggio dello sconto e ridurre dai quattro quinti ai tre quinti la percentuale del prezzo per cui esso fa le anticipazioni. Adesso si vorrebbe dagli interessati aumentato il limite delle anticipazioni e cresciuto il fondo disponibile all’uopo presso il Banco di Sicilia. È naturale che il governo, memore delle non remote immobilizzazioni edilizie delle banche di emissione, sia titubante nel concedere al Banco di Sicilia facoltà di mettersi a fondo sulla via pericolosa dell’aumento della emissione di biglietti per sconti garantiti da una merce che potrebbe subire rinvilii profondi. Noi non ci attentiamo a dir nulla intorno alla soluzione di un problema che appare intricatissimo ai più competenti. Questo solo ci pare sicuro: che in Sicilia imprenditori e minatori abbiano fatto un po’ troppo a fidanza sull’intervento del governo e degli enti pubblici. L’obbligatorietà del consorzio, la garanzia dello stato per le obbligazioni solfifere, l’allargata facoltà di sconto presso il Banco di Sicilia parvero un anno fa rimedi efficaci; ma non erano. Poiché con essi non si rimediò in tutto ad una situazione difficile che in poche parole si può riassumere così: un’industria abituata da un decennio a produrre a prezzi alti (lire 96 la tonnellata) e che si trova d’un tratto a dover combattere contro due nemici: una grossa rimanenza accumulata nel passato appunto per sostenere alti i prezzi e un formidabile concorrente sorto negli Stati Uniti, il quale, dicesi, può vendere con profitto a prezzi infinitamente più bassi, del 50 o 60%.

Il passaggio da una vecchia situazione di privilegio ad una nuova di concorrenza non si opera facilmente con mezzi artificiali; richiede sempre qualche sacrificio che parta dagli interessati. È davvero l’organismo consorziale creato dalla legge 1906 il più adatto a dirigere la lotta col potente rivale ed a ripartire, senza lagnanze acerbe di ingiustizia, le perdite sui molti interessati? Ecco i nostri dubbi. Auguriamo che lo spirito di sacrificio degli industriali e dei minatori, la prudenza dei governanti e l’avveduta energia dei dirigenti il consorzio sappiano far sormontare all’antica e grande industria solfifera l’attuale difficile momento.


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[8] Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), Einaudi, Torino, 1959, vol. II, pp. 412-422

[9] Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), Einaudi, Torino, 1959, vol. II, pp. 545-549

Dall’accordo con la concorrenza americana al termine del primo mandato (1908÷1918)

Per lo sfruttamento industriale dello zolfo con il metodo Frasch, nel 1895 venne costituita negli USA la prima società solfifera di estrazione, la Union Sulphur Company (fig. 7), che, dopo alcuni anni di assestamento [10], già nel 1905 con 19 pozzi arrivò a produrre 218,950 tonnellate, circa il 40% della produzione siciliana, quando un decennio prima arrivava appena all’11%.

Le risorse disponibili, valutate in 40 milioni di tonnellate, l’efficienza della tecnica di estrazione e i costi ridotti [11] proiettavano lo zolfo americano verso una posizione di predominio sul mercato internazionale, a scapito dello zolfo siciliano più che doppiato già nel 1912, con 787,735 vs 351,954 ton.

Oltre a questione interne (la sovraproduzione, la disciplina del lavoro degli zolfatari, il regime concessionario), era necessario, quindi, trovare un accordo con la concorrenza americana.

Su questa questione il Consorzio ben operò, definendo nel 1908 un accordo con la “Union Sulphur Company” che consentì di smerciare lo zolfo siciliano senza essere costretto ad abbassare i prezzi per combattere la concorrenza, mediante una divisione delle quote di collocamento, a prezzi concordati, su tutti i mercati consumatori, di cui 2/3 erano attribuiti al Consorzio e 1/3 agli americani [12].

L’accordo, che doveva rimanere in vigore fino al 1918, durò solo fino al 1913, quando fu denunciato dalla società americana: ufficialmente perché inosservante la legge Wilson (Federal Trade Commission Act), emanata nel 1914 contro le coalizioni commerciali ed industriali, nella realtà perché erano sorte altre società produttrici di zolfo americano, che avevano tolto il monopolio alla “Union Sulphur Company”.

Dopo quattro anni di vita, il Consorzio venne riformato con Legge 30 giugno 1910 n. 361 (Gazzetta Ufficiale n. 153 del 1° luglio 1910) che, mantenendone la fisionomia originaria, ne adeguò l’organizzazione alle condizioni del mercato sperimentate nei tre anni di regime consortile.

Allo scopo di controllare la produzione, il valore per tonnellata assegnato allo zolfo registrato nelle fedi di deposito [13], «che dovrà sempre essere fissato in una cifra inferiore al prezzo medio di vendita conseguito nell’anno precedente, sarà determinato dalla somma disponibile divisa per il numero delle tonnellate di zolfo consegnato al Consorzio nel detto anno» (Art. 18) «... al netto dell’intero ammontare delle spese di trasporto anticipate dal Consorzio, nonché dell’ammontare del contributo a favore del Sindacato obbligatorio di mutua assicurazione per gli infortuni degli operai sul lavoro» (Art. 24).

In questo modo, essendo il prezzo unitario pagato ai consorziati inversamente proporzionale a quanto consegnato al consorzio, l’eccedenza produttiva non avrebbe procurato guadagni ma solo la diminuzione di tale prezzo, mentre gli istituti di credito minerario non avrebbero più dovuto pagare tale eccedenza.

Pur rimanendo in vigore il regime fondiario, l’art. 7 stabiliva che «L’apertura di nuove zolfare nell’isola sarà concessa soltanto a coloro che dimostrino di avere i mezzi finanziari occorrenti per una razionale lavorazione della zolfara e provvedano ad una adeguata direzione tecnica. La concessione sarà data dal ministro di agricoltura, industria e commercio, sentito l’ufficio minerario di Caltanissetta, che fisserà, caso per caso, le norme per tale lavorazione», introducendo di fatto un nuovo regime che, però, riguardava solo le nuove miniere e non modificava i rapporti giuridici esistenti.

Pur con i suoi limiti, la nuova legge riuscì a stabilire un equilibrio tra domanda e offerta, che, però, nel freno alla produzione scontava anche uno stato di disagio oggettivo dell'attività estrattiva, a causa dell’approfondirsi dei livelli di lavorazione dei giacimenti che ne rendevano sempre più difficile e costoso lo sfruttamento.

Pesavano anche le conseguenze della nuova legge n. 818/1907 sul “lavoro delle donne e dei fanciulli”, che avevano spinto le famiglie ad avviare i ragazzi verso mestieri che permettessero di farli guadagnare presto, con ricadute non solo numero di carusi (meno 200 l’anno circa), ma anche sulla disponibilità futura dei picconieri, che in genere provenivano dai ranghi dei carusi stessi.

Fig. 7: Stabilimento dell'Union Sulphur Company vicino a Lake Charles (Louisiana, 1920 ca.)


Un aumento del prezzo dello zolfo avrebbe potuto ridare vigore alla produzione gravata dagli aumenti dei costi, ma ciò era impedito dalla fine dell’accordo con la “Union Sulphur Company” e dal conseguente nuovo regime concorrenziale, anche se dal punto di vista dell’uso in agricoltura, maggiore comparto di impiego dello zolfo siciliano, quello americano si dimostrava meno adatto, richiedendo costi di trattamento che sommati ai costi di trasporto transcontinentale lo rendevano meno competitivo di quanto appariva dai costi di produzione.

Lo scoppio della 1a Guerra Mondiale cambiò lo scenario, in particolare dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917.

La crescita dei bisogni interni americani, soprattutto ai fini bellici, le difficoltà di trasporto, le misure protezionistiche delle potenze in guerra fecero cessare le importazioni di zolfo americano, ridando fiato alla produzione siciliana che riprese a salire nel 1918 dopo 10 anni di ininterrotto calo [14], mentre i prezzi aumentavano da 100 lire/tonnellata del 1914 alle 431 del 1918.

Nonostante la favorevole congiuntura rappresentata dall’aumento del prezzo, l’industria solfifera siciliana non seppe cogliere l’occasione per i necessari ammodernamenti tecnologici, organizzativi e logistici, la qualcosa ritardò il rilancio della produzione che, dopo il timido aumento del 1918, si mantenne intorno alle 200÷250,000 ton/anno e, dopo pochi anni, si trovò nuovamente ad affrontare una crisi causata della concorrenza americana.


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[10] Nel 1901 con 2 pozzi vennero prodotte solo 3,078 tonnellate di zolfo.

[11] 18.43 lire/ton per lo zolfo americano vs. 35.76 di quello siciliano

[12] Non deve stupire la prevalenza nell’accordo dello zolfo siciliano, poiché quello americano era diretto soprattutto al mercato interno (93% ca.), mentre, al contrario, lo zolfo siciliano era prevalentemente destinato all’esportazione (83%).

[13] Ricevute dei quantitativi di zolfo consegnati al Consorzio

[14] La produzione passò dalle 536,782 tonnellate del 1905 alle 183,159 del 1917 (Lo zolfo in Italia, Atti del Convegno nazionale dello Zolfo – Palermo, 961)


Il secondo mandato e la chiusura del Consorzio (1918÷1932)

Il 1918, anno di scadenza del Consorzio, è caratterizzato da un dibattito tra i produttori, la maggior parte dei quali ne chiedeva la proroga, e i raffinatori che puntavano alla creazione di un consorzio libero sotto il controllo della Montecatini, che aveva rilevato l’esercizio delle miniere Bosco, Gallitano e Grottacalda e la gestione del sistema delle raffinerie, tramite l’acquisizione della maggioranza dell’Unione Raffinerie Siciliane, che dal 1915 riuniva tutti i raffinatori dello zolfo siciliani, con una capacità produttiva di 80,000 tonnellate annue.

La proposta dei raffinatori, appoggiata tra gli altri dall’economista Luigi Einaudi, fu bocciata e prevalse la proroga fino al 1930 del Consorzio.

A tale proroga si accompagnarono alcune importanti disposizioni:

 Rimaneva, invece, ancora insoluta la questione del superamento del regime fondiario, che sarà risolta solo con il RD n. 1443 del 29 luglio 1927.

Contemporaneamente al rinnovo del mandato del Consorzio, si ripresentò lo spettro della concorrenza americana, il cui zolfo era ora controllato da una triade di compagnie: Texas Gulf Sulphur Company, Freeport Sulphur Company e Union Sulphur Company.

Favorite da una legislazione americana, severa all’interno ma fortemente permissiva all’esterno, le tre compagnie, nell’ottica di favorire le esportazioni, fecero cartello costituendo una nuova società, la SULEXO (Sulphur Export Corporation), che esportava fino a 1 milione tonnellate di zolfo all’anno prodotte a basso costo, 4÷5 volte superiori alla produzione media di zolfo siciliano di quegli anni.

Poiché gli americani esportavano zolfo greggio, le stesse raffinerie siciliane trovarono conveniente approvvigionarsi in America, innescando così una spirale perversa senza che il Consorzio fosse in grado di intervenire, essendo il suo compito istitutivo solo quello di commercializzare lo zolfo greggio.

In questa situazione, gli esercenti con disponibilità finanziarie si associarono alle raffinerie, mentre i piccoli andarono irreversibilmente verso la chiusura.

Nel 1922 si toccò il minimo della produzione con 129,535 tonnellate, gli esercenti tagliarono del 20% i salari dei minatori scatenando le giuste proteste sindacali, gli istituti di credito, tranne la Banca di Credito Minerario, chiusero i rubinetti dei finanziamenti.

Si arrivò alla serrata delle miniere da parte degli esercenti, le proteste operaie si moltiplicarono minacciando esplosioni di violenza, il Consorzio venne commissariato e affidato a Ernesto Santoro, che rimase in carica fino al 1930.

Nel marzo del 1923 il commissario governativo del Consorzio riuscì a trovare un accordo con la SULEXO per la ripartizione dei mercati:

L’accordo sarebbe dovuto durare fino al 30 settembre 1926, con rinnovo automatico per altri 4 anni, salvo la denuncia di uno dei contraenti; di fatto l’accordo rimase in vigore per tutta la durata della vita del Consorzio.

Con tale accordo la produzione risalì ai livelli precedenti al crollo del 1922, rimanendo comunque sempre intorno al valore di 200,000÷250,000 tonnellate annue, molto basso rispetto alle 500,000 tonnellate dei primi anni del XX secolo.

Per quanto riguarda l’articolazione complessiva del sistema produttivo, la maggioranza degli operatori riteneva che la soluzione da praticare fosse l’integrazione verticale della filiera dello zolfo, associando all’attività estrattiva quella di raffinazione, come già avveniva per lo zolfo estratto in Continente (Marche, Romagna e Irpinia) che, come già ricordato, avevano sempre goduto di condizioni più floride.

Il Governo intervenne adottando questa soluzione con il RD n. 648 del 7 maggio 1925 (Gazzetta Ufficiale n. 118 del 22 maggio 1925) che modificava le Legge 361/1910 aggiungendo all’Art. 2 il seguente capoverso: «Il Consorzio è autorizzato a lavorare direttamente od a far lavorare per proprio conto lo zolfo predetto, a vendere direttamente od a far vendere per proprio conto lo zolfo lavorato, nonché a partecipare ad aziende che abbiano per oggetto la produzione o la vendita di zolfi lavorati».

Nel frattempo, il 20 aprile 1925 si era costituita a Catania la Federazione Opifici Raffinerie Zolfi Affini (F.O.R.Z.A.), che raggruppava tutte le raffinerie di zolfo siciliano, per 3/5 controllate da industriali continentali.

Fig. 8: Gazzetta ufficiale con il testo della legge che scioglie il Consorzio obbligatorio

Tutto ciò, però, non bastò a far uscire definitivamente dalla crisi il comparto zolfifero siciliano, tanto più che proprio il 1926 fu l’anno di quota 90, come fu detta la rivalutazione della lira, con le conseguenze che essa ebbe sul prezzo dello zolfo e, di conseguenza, sulle industrie dipendenti in particolare dall’esportazione.

Poiché, infatti, il prezzo dello zolfo stabilito nell’accordo con la SULEXO era in dollari, la rivalutazione significò una brusca diminuzione, tra il 30 e il 40%, del prezzo dello zolfo in lire e inutili furono i tentativi di ottenere un aumento del prezzo concordato con la SULEXO, che intendeva mantenere la competitività del suo zolfo rispetto alle piriti.

Intanto nel 1927, con RD n. 1443 del 29 luglio 1927 (Gazzetta Ufficiale n. 194 del 23 agosto 1927), era stata approvata la legge (Norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere nel Regno) che unificava la legislazione mineraria in Italia, in cui le Disposizioni transitorie stabilivano, tra le altre cose, che nei territori in cui era vigente il regime fondiario «le miniere che, al giudizio insindacabile del Ministro per l’economia nazionale risultino in normale coltivazione alla data di pubblicazione del presente decreto, sono date in concessione perpetua a chi dimostri di esserne il legittimo proprietario. È parimenti trasformata in concessione la proprietà, comunque acquisita in altri territori, di miniere in normale coltivazione alla data di pubblicazione del presente decreto.» (art. 54) e «le miniere, delle quali la lavorazione sia rimasta per qualsiasi causa sospesa o abbandonata, sono date in concessione perpetua al proprietario rispettivo che si impegni di riattivarle entro il termine di un anno dalla data del decreto di concessione, o nel termine maggiore che potrà essere stabilito dal Ministro per l’economia nazionale, sentito il Consiglio superiore delle miniere.» (art. 56)

In questo modo, però, si perpetuavano tutti problemi che erano derivati dal regime fondiario e da una gestione dell’industria estrattiva antiquata, che avrebbe necessitato urgentemente di un autentico rinnovamento.

Ad aggravare la situazione, la concessione era confermata per il proprietario che però non aveva più la disponibilità di concedere l’esercizio, dovendosi trasformare esso stesso in imprenditore minerario, sebbene nella maggior parte dei casi non ne avesse le competenze tecniche e, spesso, neanche la capacità finanziaria.

Raramente, inoltre, il proprietario era uno soltanto o un gruppo ridotto; più spesso si trattava di centinaia di micro-proprietari (condomini), che non avrebbero potuto che rivolgersi a un tecnico.

E così fecero, eludendo la legge attraverso l’escamotage di nominare a rappresentante del condominio dei proprietari quello che precedentemente era stato il gabellotto o esercente.

Paradossalmente, per quanto riguarda la situazione siciliana, la nuova legge non ne cambiava la sostanza, ma ciò che prima era legale, ora continuava a esistere ma in forma occulta e, comunque, più difficilmente controllabile.

Alla crisi valutaria del 1926 seguì, inoltre, la grande depressione mondiale del 1929 che, prolungando i suoi effetti, causò lo scioglimento del Consorzio (fig. 8), avvenuto con RD n. 945 del 20 luglio 1932 (Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 1932), convertito con la legge n. 48 del 12 gennaio 1933, mentre già nel dicembre 1932, nell’ottica della logica corporativa del governo fascista, fu creato l’Ente Nazionale dello Zolfo, che includeva tutti gli industriali zolfiferi italiani, eliminando le disparità precedentemente esistenti tra Sicilia e Continente. 

Essa stipulò un accordo in cui avrebbe avuto l’esclusiva della lavorazione degli zolfi italiani, mentre al Consorzio spettava la metà degli utili netti derivanti annualmente dalla vendita degli zolfi lavorati dalla F.O.R.Z.A., che invece si sarebbe accollate le eventuali di perdite.

L’accordo, in vigore dal 1° agosto 1925, aveva la durata di 5 anni e alla scadenza (31 luglio 1930) non fu rinnovato per disaccordo tra le parti.

Nel 1926 la Società Generale Elettrica della Sicilia iniziò i lavori per l’elettrificazione delle zolfare. L’opera, che avrebbe abbassato i costi di produzione e ridotto il fabbisogno di forza lavoro, venne portata a termine nel 1931 aumentando notevolmente la capacità produttiva delle miniere, tanto che nel 1935 quelle elettrificate, in minoranza per numero (solo il 20%), rappresentavano ben il 90% della produzione.

Bibliografia