Eternit a Casale Monferrato

Nel 1901 l'austriaco Ludwig Hatschek brevetta il cemento-amianto, un materiale che egli stesso chiamò Eternit [1] per rimarcarne la sua elevata resistenza. Un anno dopo Alois Steinmann acquista la licenza per la produzione e apre nel 1903 a Niederurnen le Schweizerische Eternitwerke AG.

In Italia, la produzione fu avviata nel 1906 dall’Ing. Adolfo Mazza [2] a Casale Monferrato, capitale del cemento italiano, negli stabilimenti che sarebbero stati per i seguenti 80 anni il principale riferimento socio-economico della città, purtroppo con i gravissimi impatti ecologico-sanitari e umani diventati chiari solo dagli anni ’70 del XX secolo.

Scriveva il casalese Giampaolo Pansa [3] che «...Nel passaggio fra l’Ottocento e il Novecento i poveri del Monferrato avevano tre possibilità [4]. La prima era di lavorare nelle cave di marna. Lo facevano in condizioni bestiali, consumando la vita sottoterra, senza protezione, rischiando di morire ... soffocati sotto una delle tante gallerie franate. Le paghe erano misere e la fatica immensa. I cavatori rientravano a casa di notte, nei paesi del Monferrato. Disfatti, terrei, senza altro orizzonte che scendere di nuovo nel buio dopo poche ore. La seconda occasione di lavoro arrivò dallo sfruttamento delle ottime marne calcaree, portate alla luce dai cavatori. Era la materia prima della calce e del cemento. E regalò alla città il boom dei cementifici. All’inizio del 1900 queste fabbriche erano più di cento. Vista dall'alto della salita di Sant’Anna ... Casale offriva un profilo infernale. Quello di una sterminata batteria di ciminiere, affilate come missili. Cento bocche di fuoco sparavano un fumo sempre più denso e acre. I tetti delle case diventavano bianchi per la polvere. Nella calura estiva l’aria si faceva irrespirabile. E gli anziani stavano sempre sul punto di morire asfissiati.

Nel 1906 emerse una terza possibilità per i poveri della mia città. Un pugno di imprenditori genovesi, "i maledetti" come ringhiava mia nonna Caterina, impiantarono a Casale una fabbrica all’avanguardia. Produceva tegole piane fatte di cemento e di amianto, grazie al brevetto di un austriaco. L’invenzione venne chiamata Eternit poiché garantiva una durata eterna del prodotto. Non era una bufala dal momento che siamo ancora circondati da quella robaccia vecchia di un secolo. Dalle tegole si passò alle lastre ondulate. Poi ai tubi per gli acquedotti e le fognature. E lo sviluppo dell’azienda fu trionfale. L'Eternit arrivò ad occupare 2400 persone, ma quelle che ci sono passate pare siano state quasi cinquemila. Fu la nostra Fiat. Lavorarci era un privilegio. Anche perché le paghe erano un tantino più alte che in altre aziende. I padri chiedevano alla figlie in età da marito: "Dove lavora questo tuo moroso?". "All’Eternit" rispondeva la ragazza, orgogliosa. "Allora sposato" concludeva il papà. E spiegava alia moglie: "Il certificato di matrimonio avrà il valore di una polizza a vita"...

Da ragazzino me li ricordo anch’io i camion gialli carichi dei tubi e delle coperture ondulate. Li trasportavano dallo stabilimento alla stazione ferroviaria. Viaggiavano attraverso la città senza nessuna protezione, neppure un telone che coprisse il carico. Soprattutto nei mesi caldi gli autocarri procedevano dentro una nube di polvere. Era la schifezza ambulante che tutti respiravamo, senza renderci conto del rischio che si correva. Andò avanti così per molti anni. Passavano i regimi politici... Soltanto l'Eternit sopravviveva. potente e impenitente. Era la padrona della città. Un esempio del capitalismo senza regole che diventa dittatura. Il mostro chiuse i battenti nel 1986, per fallimento. Si estendeva su 94 mila metri quadrati, metà dei quali coperti con quel prodotto assassino. Era una bomba nucleare sul fianco destro del Po. In seguito si scoprì che la lavorazione dell'amianto aveva creato una nuova spiaggia lungo il fiume. Aveva un colore innaturale, bianco brillante. Un grande velo da sposa che nascondeva un numero spaventoso di cadaveri. Ho detto che l'Eternit ha ammazzato a Casale all’incirca duemila persone [5]. Di queste duecentocinquanta o trecento erano uomini e donne che non avevano mai messo piede nella fabbrica. Spesso abitavano in quartieri lontani. E facevano altri lavori. Si ritenevano al sicuro. ma si sbagliavano. Il mesotelioma ha ucciso pure chi aveva lasciato la città da giovane, senza più ritornarci...» [6].

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[1] Con riferimento al latino aeternitas (eternità).

[2] da quello stesso Adolfo Mazza, presidente e amministratore delegato della società Eternit, che nel 1927 sarebbe entrato in società con il Dott. Ottavio Marchino nella costituzione della “Società Piemontese Cementi e Calci”.

[3] Importante giornalista e scrittore (1935-2020)

[4] In realtà quattro: la quarta cedere dietro compenso i propri figli come “servitori” ai possidenti locali, come racconta Fenoglio nel romanzo breve “La malora”, che inizia in questo modo folgorante:

«Pioveva su tutte le langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra. Era mancato nella notte di giovedì l’altro e lo seppellimmo domenica, tra le due messe. Fortuna che il mio padrone m’aveva anticipato tre marenghi, altrimenti in casa nostra non c’era di che pagare i preti e la cassa e il pranzo ai parenti. La pietra gliel’avremmo messa più avanti, quando avessimo potuto tirare un po’ su testa.»

[5] 2191 vittime accertate fra il 1952 e il 2008 (fonte Espresso), in grande maggioranza per mesotelioma pleurico, un tumore raro provocato dall’esposizione alla polvere d’amianto.

[6] Nel 2009, in seguito alle indagini condotte da Raffaele Guariniello presso il Tribunale di Torino, ha inizio il processo contro Stephan Schmidheiny, ex presidente del consiglio di amministrazione, e contro Louis De Cartier de Marchienne, direttore dell'azienda negli anni ‘60 (De Cartier è morto nel 2013 a 92 anni). Essi sono ritenuti responsabili delle morti per mesotelioma avvenute tra i dipendenti delle fabbriche Eternit a contatto con l'asbesto.

Il 13 febbraio 2012 il Tribunale di Torino condanna in primo grado De Cartier e Schmidheiny a 16 anni di reclusione per "disastro ambientale doloso permanente" e per "omissione volontaria di cautele antinfortunistiche", obbligandoli a risarcire circa tremila parti civili. Il 3 giugno 2013 la pena viene "parzialmente riformata" in appello e aumentata a diciotto anni.

La Corte d'Appello di Torino ha inoltre disposto il risarcimento alla Regione Piemonte di 20 milioni di euro e di 30,9 milioni di euro per il comune di Casale Monferrato.

Il 19 novembre 2014 la Corte suprema di Cassazione dichiara prescritto il reato di disastro ambientale (sic!), annullando le condanne e i risarcimenti in favore delle parti civili.

A inizio 2020, un nuovo procedimento penale per le morti dovute all’amianto è stato incardinato a Torino, mentre si lavora a progetti di ricerca per trovare una cura che salvi le molte vite ancora in pericolo.


Il SIN di Casale Monferrato

A seguito dell’inquinamento da Amianto, così appassionatamente ed emotivamente descritto precedentemente, l’area di Casale Monferrato e di altri 47 comuni limitrofi è stata dichiarata Sito di Interesse Nazionale (S.I.N.) da bonificare, ai sensi della Legge n. 426 del 9 dicembre 1998 (Art. 1 comma 4 lettera l) e del DM MATTM n. 468 del 18 settembre 2001 Allegato B, con una superficie di 73,895 ettari (fig. 1).

Il progetto definitivo di bonifica è stato approvato con DM 29 novembre 2004 (Art. 1 comma 1), successivamente implementato con DM 18 settembre 2011 per la parte riguardante l’area B dell’ex cementeria Piemontese.

Come riportato in fig. 1, al dicembre 2017 risultano bonificati 163 siti con polverino, 909,423 m2 siti con coperture di amianto, mentre sono in corso di bonifica 695 siti con coperture di amianto.

Fig. 1 - S.I.N. Casale Monferrato