La strage di Niccioleta

(13-14 giugno 1944)

«Le case di Niccioleta sono poste su una collinetta posta di fianco alla strada che da Massa Marittima conduce a Castelnuovo in Val di Cecina. Nel 1944 le carte geografiche non registravano il nome di questo villaggio sorto da pochi anni intorno alla miniera di pirite. Niccioleta allora era abitata da centocinquanta famiglie di minatori, oltre che dal personale direttivo della miniera.

Quest’ultimo conduceva vita a parte, com’è d’obbligo in ogni villaggio minerario della Montecatini. Il vicedirettore ingegner Boeklin, il segretario dottor Larato e l’addetto alle ricerche geofisiche ingegner Ferrari passavano per filotedeschi. I primi due in particolare erano in cordiali rapporti col comando tedesco di gendarmeria di stanza a Pian di Mucini, a quattro chilometri da Niccioleta. Quanto al direttore, l’ingegner Mori Ubaldini, era stato uno squadrista e un fervente fascista; ma dopo il 25 luglio aveva cambiato atteggiamento e dopo l’8 settembre si era messo in contatto col movimento partigiano della zona.

Nella massa operaia i fascisti costituivano invece un’esigua minoranza. I repubblichini erano in tutto sedici. Con questi sedici individui e con le loro famiglie la popolazione evitava di aver rapporti di sorta. Consci del loro isolamento, i fascisti si tenevano strettamente collegati tra loro. Avevano l’abitudine di riunirsi ogni sera in casa del siciliano Pasquale Calabrò, o di suo cognato Aurelio Nucciotti, o della guardia giurata Luigi Torrini… Nucciotti prese anche parte a dei rastrellamenti antipartigiani nella zona, ma ebbe cura di non farlo sapere in paese. Tutti tenevano armi in casa e in occasione del 1° maggio coadiuvavano i carabinieri del servizio d’ordine... in apparenza, avrebbero potuto anche essere giudicati inoffensivi. Invece andavano maturando il proposito di “vendicarsi” dei compaesani. Vendicarsi di che? Il 25 luglio il paese aveva festeggiato la caduta del fascismo, ma loro non erano stati toccati. Niccioleta, lo abbiamo detto, era un villaggio sorto da pochi anni, si era popolato con gente piovuta un po’ da tutte le parti, anche da lontane regioni come la Sicilia e il Veneto; era quindi un paese tranquillo, senza tradizioni di odi tra famiglie e di vendette tra fazioni politiche. Vedremo che anche dal 9 al 12 giugno 1944, quando il paese fu in mano dei partigiani e del CLN, i fascisti non subirono molestie serie. E tuttavia Calabrò, Nucciotti, Torrini, Maggi e compagni odiavano i compaesani: li odiavano perché si sentivano circondati dalla diffidenza, dal silenzio e dal disprezzo…

Ai primi di giugno, la ritirata tedesca era in pieno corso sulle strade della Maremma; il fascismo repubblichino era in sfacelo. Il presidio fascista di Massa tagliò la corda la notte del 9. Quello stesso giorno una squadra di partigiani era entrata in Niccioleta. Disarmati i carabinieri, che vennero invitati ad allontanarsi, i partigiani accompagnati da elementi del luogo fecero il giro delle case dei fascisti, sequestrando anche a loro le armi. Agli uomini fu ingiunto di non uscire di casa…

All’arrivo dei partigiani, tre dei fascisti, e precisamente Calabrò, Nucciotti e Maggi, si erano dati alla fuga attraverso i campi. Calabrò era corso a Massa dai fascisti, Nucciotti e Maggi erano andati a informare i tedeschi di Pian di Mucini. Probabilmente i fascisti di Massa, indaffarati nei preparativi partenza, non diedero ascolto a Calabrò. A Pian di Muccini i tedeschi si misero invece in stato di allarme. Erano in pochi e non potevano pensare a rappresaglie. Ma il giorno dopo giunse un battaglione italo-tedesco di SS a Castelnuovo Val di Cecina; con quello il Comando di Pian di Mucini prese subito contatto.

Maggi non tornò più a Niccioleta… Invece Calabrò e Nucciotti ricomparvero... il 12. La gente non ci fece troppo caso. Ormai si pensava che i fascisti non fossero più in condizioni di nuocere. Fin dal giorno 10, il CLN aveva istituito un servizio armato di avvistamento e di vigilanza, col pieno consenso del direttore della miniera… Purtroppo questo sistema di sicurezza non funzionò, quando all’alba del 13 le SS comparvero a piedi sotto Niccioleta…i membri del Comitato... ebbero appena il tempo di nascondere le armi nel rifugio antiaereo. Vi nascosero anche gli elenchi dei turni di guardia, mentre avrebbero fatto meglio a distruggerli.

Il paese si risvegliò bruscamente al rumore degli spari, delle voci rauche dei tedeschi (tedeschi erano il comandante, un tenente, e i sottufficiali; mentre i militi erano tutti italiani). Gli uomini furono fatti uscire dalle case, alle donne e ai ragazzi venne invece ingiunto di non uscire, e anzi di sprangare le finestre. Centocinquanta minatori si trovarono così ammassati nello spiazzo davanti al dopolavoro, e poi dentro il rifugio antiaereo… Calabrò, Nucciotti, Bellini si erano subito uniti ai militi e li accompagnavano in giro. Gli elenchi delle guardie armate furono rinvenuti nel rifugio antiaereo insieme alle armi. Anche i dirigenti della miniera vennero prelevati e messi a disposizione del tenente tedesco. L’ingegnere Boeklin ebbe il compito di fare l’interprete. Ultimato il rastrellamento, il tenente si installò nella caserma dei carabinieri e procedette all’interrogatorio di alcuni minatori, che gli erano stati indicati come i capi del movimento antifascista.

Alle dieci Sargentoni Ettore coi figli Ado e Alizzardo, Bruno Barabissi, Antimo Ghigi e Rinaldo Baffetti furono fucilati in una fossa che gira intorno all’edificio dello spaccio aziendale…

A mezzogiorno si permise alle donne di portare da mangiare agli uomini, che si trovavano sempre nell’interno del rifugio. Fu solo verso sera che il tenente tedesco prese una decisione; i minatori furono fatti uscire dal rifugio e avviati a piedi verso Castelnuovo. Dopo alcuni chilometri arrivarono dei camion, e con quelli i prigionieri vennero portati a Castelnuovo e rinchiusi nella sala del cinematografo. Anche i dirigenti della miniera e i fascisti (questi ultimi con le famiglie e le masserizie) furono condotti a Castelnuovo e alloggiati nella caserma dei carabinieri…

Sembra che il tenente aspettasse il comandante del battaglione, il quale non era in sede, ma poi finì con agire di propria iniziativa. I minatori furono divisi in tre gruppi. Il primo, composto di 79 uomini, era destinato allo sterminio. Il secondo, di 21, alla deportazione in Germania. Il terzo, di 50, comprendeva gli uomini più anziani, che avrebbero dovuto essere rilasciati.

l 79 erano stati scelti in base ai nomi contenuti negli elenchi delle guardie armate. Quando non si era trovato il figlio, era stato incluso tra i condannati a morte il padre, e viceversa. I fascisti ebbero però la facoltà di rimaneggiare la lista includendo o togliendo chi loro parve meglio. In particolare Calabrò, che i tedeschi chiamavano “il vecchio fascista” fu autorizzato dal tenente a liberare sei uomini. Egli ne liberò due, e così i 79 divennero 77.

Al tramonto, i 77 furono condotti in una specie di dolina, in prossimità della centrale elettrica, e a gruppi di quindici falciati con le mitragliatrici. Le mitragliatrici erano manovrate dai militi italiani…

Subito dopo la strage, il tenente tornò nella sala del cinematografo, dov’era rimasto solo il gruppo degli anziani, perché i giovani erano già stati fatti partire verso il Nord. Il tenente tenne loro il seguente discorso: “Noi siamo stati avvertiti da persone di Niccioleta e da militari che a Niccioleta la vita era diventata impossibile a causa del movimento dei partigiani. Noi siamo intervenuti e abbiamo preso i provvedimenti necessari per stroncare questo movimento. Voi siete liberi e potete tornare a Niccioleta; però vi avvertiamo che qualora si ripetesse un fatto simile, noi, interverremo di nuovo, sia fra una settimana che fra sei mesi, e vi faremo fare a tutti la fine che hanno fatto i vostri compagni”. Ottantatré furono dunque le vittime di questa orribile strage...

La giustizia, messasi in movimento dopo la Liberazione del Nord, ha raggiunto i criminali solo in minima parte. I fascisti di Niccioleta erano tutti solidalmente responsabili della strage. Erano stati, infatti, loro, nei contatti coi fascisti di Massa e coi tedeschi di Pian di Mucini, a creare al paese la fama di “covo” partigiano e comunista, e a richiedere insistentemente una spedizione punitiva in grande stile. Può sembrare inspiegabile un odio tanto smisurato contro gente che in fin dei conti non aveva fatto loro nulla. Ma i fascisti da tanti anni erano abituati a comandare, a essere rispettati, a figurare fra le autorità, e non potevano pensare che tutto questo dovesse finire. Il solo fatto di esser messi in disparte dopo il 25 luglio sembrava loro un’offesa intollerabile…

La Corte di Assise di Pisa con sentenza pronunciata il 12 novembre 1949 ritenne provata la colpevolezza dei soli Calabrò e Nucciotti, condannandoli a 30 anni. La sentenza è stata riconfermata il 10 luglio dalla Corte di Appello di Firenze.

Per quanto riguarda gli esecutori materiali del rastrellamento e della strage, i tedeschi non sono stati nemmeno chiamati in causa. I militi italiani erano alcune decine, ma è stato possibile individuare con sicurezza soltanto uno di loro: Aurelio Picchianti di Porto Santo Stefano... che ha avuto anche lui 30 anni.»


( da “I minatori della Maremma” di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola)