Recupero museale in Campania

I siti da musealizzare


Come mostrato in fig.1, a tutto il 2019 non sono presenti in Campania siti minerari musealizzati.

Tuttavia, già nel maggio 2010, in occasione della II Giornata Nazionale delle Miniere (fig. 2), fu presentata una proposta di valorizzazione dell’entroterra campano attraverso l’archeologia industriale e il patrimonio minerario ancora esistente nelle aree interne della Campania, con particolare riguardo al recupero museale dei quattro siti riportati in tab.1.

L’iniziativa, promossa dal 2009 da AIPAI (Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale) – Sezione Campania, patrocinata dagli assessorati al Turismo ed alla Cultura delle Province di Avellino e Benevento, sollecitata dalla professoressa Rossella Del Prete, docente di Storia del lavoro presso l’Università degli Studi del Sannio, si pone l’obiettivo di analizzare il patrimonio archeologico industriale nelle sue molteplici connessioni con il sistema dei beni culturali e ambientali e con la cultura del lavoro, di indicare le buone pratiche per la conservazione e il recupero e di proporre un percorso che va dalla conoscenza al riuso del patrimonio dell’industria.

Si tratta di un progetto di lunga durata che promuove anche azioni di recupero del patrimonio documentario, fondamentale per ricostruirne l’attività e le condizioni di lavoro degli addetti.

La successiva fruizione del patrimonio geologico e minerario, integrato agli altri aspetti locali quali l’archeologia, le risorse naturali, l’arte, l’architettura, gli usi, i costumi, l’enologia, la gastronomia e altro, costituiranno gli ingredienti indispensabili per attivare un percorso di attrazione turistica a più livelli.

Una prima azione concreta per realizzare tale programma è stata proposta dall’AIPAI Campania che ha suggerito la costituzione di un consorzio tra i quattro Comuni che detengono il prezioso patrimonio di aree minerarie dismesse e dei documenti e dei saperi ad esse connessi.


Un recupero particolare: dallo zolfo di Tufo al Greco di Tufo


Durante una degustazione alla cieca a Napoli, il giornalista e sommelier Manuele Petri racconta di aver portato «al naso un vino assurdo e totalmente inaspettato. Da un momento all’altro mi ritrovo catapultato in una vasca termale in cui i vapori zolfini si mescolano al profumo di ginestre in fiore. Mi guardo intorno con la sensazione di essere in costume e invece siamo ancora a Palazzo Caracciolo, Napoli centro. Difficile valutare un vino del genere, in questi casi l’unica cosa che si può fare è infrangere l’anonimato e scoprire l’etichetta: ... Greco di Tufo Miniere 2016...[Si tratta di un vino che è] un’espressione unica e spregiudicata... che probabilmente può essere compreso a pieno solamente conoscendo il luogo da cui proviene ...La vigna Miniere si trova ... su terreni che sotto pochi centimetri di terra diventano giallo fosforescente. Tra i filari, rigorosamente inerbiti e circondati da boschi e vegetazione spontanea, è facile trovare piccoli sassi gialli e gesso cristallizzato tanto che camminando si percepisce nitidamente l’odore sulfureo che poi si ritrova nel vino. Le vecchie miniere di zolfo fanno capolino dal sottosuolo attraverso delle prese d’aria simili a piccole ciminiere. Un tempo erano l’unico contatto con il mondo esterno per chi, come il nonno di Angelo [il vignaiolo, ndr], faceva il minatore. Sua nonna, invece, trasportava i candelotti di esplosivo dalla polveriera all’imbocco della solfatara. Il lavoro era duro ma lo zolfo per tanti anni è stato l’oro di queste terre ed ha sfamato intere famiglie. Era infatti il 1866 quando Francesco Di Marzo (capostipite della famiglia proprietaria delle Cantine Di Marzo) scoprì che qui sotto oltre al tufo che ha dato il nome al paese c’era lo zolfo. La sua azienda mineraria proliferò per più di un secolo arrivando a contare centinaia di dipendenti. La valle del fiume Sabato ancora oggi ospita i vecchi stabilimenti ristrutturati, bellissimo esempio di architettura industriale ottocentesca...

Racconta il vignaiolo Angelo Muto: «Nel 1995 ho acquistato questi terreni dai Di Marzo proprio per il legame che hanno con la mia famiglia... Per me è motivo di orgoglio coltivare la vite proprio in questo luogo anche perché mio nonno, come quasi tutti qui a Tufo, ha sempre prodotto vino e mio padre ha continuato la tradizione...».

Dopo la fine dell’esperienza mineraria, anche la famiglia Di Marzo, già proprietaria delle omonime Cantine sin dal 1833, risultando la più antica cantina della Campania e tra le più antiche del Sud Italia, è tornata alla sua primaria attività.

La leggenda familiare racconta, infatti, che nel lontano 1647 Scipione di Marzo, capostipite della famiglia, lasciò il paese natale di San Paolo Belsito, vicino Nola, per sfuggire alla peste che imperversava in Europa, rifugiandosi a Tufo. La tradizione vuole che portò con sé le barbatelle di un antico vitigno diffuso sulla costa Campana, chiamato Greco del Vesuvio. Nel corso dei secoli, l’uva si adattò perfettamente alle colline di Tufo con il loro sottosuolo unico, ricco di minerali, in particolare di zolfo, che conferisce al vino la sua particolare mineralità.

Fig. 1 - Distribuzione territoriale a livello comunale dei siti musealizzati in Campania

Fig. 2 – Manifesto della II Giornata Nazionale delle Miniere in Campania (Maggio 2010)

Tab. 1 - Siti minerari individuati per il recupero museale in Campania