La città di Carbonia

La città di Carbonia alla fine degli anni '30

Dalle origini alla crisi carbonifera degli anni '70

Dove oggi è Carbonia, nel 1936 si estendeva la macchia brulla e praticamente deserta del Sulcis. Meno di tremila abitanti vivevano dispersi in modesti agglomerati come Serbariu, Barbusi, Acquascallentis, Piolanas, Bacu Abis.

Il tipo di insediamento più diffuso era ancora quello primitivo del medaus, poco più che l’embrione di uno stanziamento di popolazioni più o meno stabili, intorno al quale si era verificato il coagulo di alcune attività e di alcuni servizi come l’ovile e l’abitazione. Ogni medaus contava non più di quattro cinque misere abitazioni, nelle quali viveva un numero corrispondente o superiore di famiglie, quasi completamente isolate dal resto del mondo.

Nel 1935, nel quadro di un disegno ispirato a un cultura bellicistica che aveva cominciato a svilupparsi concretamente con l’avventura imperialistica etiopica, insieme alla svolta autarchica del governo fascista e alla nascita dell’Azienda Carboni Italiani si sviluppò l’idea della creazione di una nuova città.

La “new town” di Carbonia nacque, quindi, come “company town” dell’Azienda Carboni Italiani, vera città a bocca di miniera, del tutto funzionale all’estrazione del carbone nazionale.

Vennero chiamati a progettarla e a sovrintendere alla sua realizzazione alcuni dei migliori architetti e urbanisti italiani, il triestino Gustavo Pulitzer e i romani Cesare Valle e Ignazio Guidi, che disegnarono una città-giardino perfettamente inserita nel paesaggio, su un terrazzo naturale affacciato sulla piana e sul mare occidentale della Sardegna, ma anche in vista della miniera.

«Nella previsione di poter coprire un quarto del fabbisogno nazionale di carbone il bacino del Sulcis diventa l'assoluto protagonista di un’azione grandiosa, condotta senza risparmio di mezzi, che nel giro di pochi anni avrebbe rivoluzionato il volto di questo ignorato lembo d’Italia. Carbonia non fu ideata come un altro piccolo villaggio a servizio della nuova miniera di Serbariu, ma come residenza per cinquantamila abitanti, capitale vera e propria di questo progettato regno del carbone, di questa Ruhr italiana. Parallelamente ad essa furono tuttavia compiute operazioni di potenziamento di alcuni villaggi ai margini della zona mineraria e dei baraccamenti a bocca di miniera utilizzati dalle vecchie gestioni. I lavori di “urbanizzazione” interessarono così oltre Carbonia, Bacu Abis, Cortoghiana, Portoscuso ed ancor più in là si sarebbero spinti se le vicende belliche non fossero precipitate ...», tuttavia non fu questa l’impressione dominante in quelli che l’andranno ad abitare «...L'analisi della situazione demografica rivela come fin dall’inizio essa non venisse percepita come città. Alle fasi di espansione produttiva corrispondevano intensi flussi migratori, ma con lo strabiliante accrescersi della popolazione non cresceva la comunità... Fino agli inizi degli anni Cinquanta la “città nuova” somigliava piuttosto a un porto di mare; sottoposto a ondate di flussi e riflussi che determinano un fenomeno unico per tutto il territorio italiano, e cioè il ricambio quasi totale della popolazione nel giro di un decennio. Anche quando, e paradossalmente proprio in seguito alla crisi definitiva delle miniere, cominciava a fissarsi stabilmente una comunità, l’elementarietà della compagine sociale (il 79,6% di operai ancora nel 1958) metteva seriamente in dubbio ogni possibilità di classificare Carbonia come città» [1].

La città, fondata con RD n. 2189 del 5 novembre 1937 [2], venne inaugurata il 18 dicembre 1938.

Destinata inizialmente a 12,000 abitanti [3], subito dopo l’inaugurazione si progettò un primo incremento e poi, nel 1940, si delineò il disegno della città-capitale del distretto del carbone dimensionata per 50,000 abitanti, ma la guerra intervenne subito a spezzare questo disegno.

Il crescente isolamento della Sardegna dal continente, determinato dalla situazione bellica, rendeva assai incerto il rifornimento di viveri e di manufatti e la difficoltà supplementare di approvvigionare una città che non produceva altro che carbone ma che consumava di tutto, in misura superiore e più rapida di qualsiasi altra città dell'isola, avevano finito per provocare forti tensioni, fra le quali incominciavano ad affiorare anche quelle politiche e di classe.

Durante la guerra, l’appena nata Carbonia visse anni durissimi e travagliati: tra le principali cause di inquietudine e di instabilità, man mano che le sorti della guerra viravano al brutto, la volontà di dirigenti, impiegati e lavoratori continentali di tornare alle loro province.

La città cresciuta tumultuosamente fino al 1942 (36,792 abitanti) provò il panico della scomparsa associata al crollo dell’attività estrattiva (-72.5% nel 1943), per poi riprendersi nel dopoguerra, tornando a 33,600 abitanti nel 1945 fino al massimo storico di 47,858 nel 1950, quando, raggiunto un certo equilibrio tra i generi, si poté cominciare a parlare di vera e propria comunità.

Fino ad allora l’immagine di Carbonia era più quella di un grande accampamento, con un altissimo indice di ricambio [4] nei primi dieci anni di vita (67.6%) che scese al 33.1% nel decennio successivo.

La seconda metà degli anni ’50 furono, tuttavia, anni di crisi dell’attività carbonifera che naturalmente si riverberarono sulla città e la sua popolazione: nel 1954 Carbonia aveva ancora 47,313 abitanti, quasi al massimo storico, ma nel 1955 era già scesa a 45,255, nel 1960 a 39,487, nel 1965 34,404, fino al minimo relativo del 1971 di 30,957 abitanti.

Trend negativo che era ribadito, in valore assoluto e percentuale, per gli occupati nel settore minerario: nel 1951 su 13,606 occupati ben 9,601 (70.56%) erano minerari, nel 1961 l’occupazione era a 8,738 unità di cui 4,432 (50.72%) minerari, nel 1971 su 8,089 occupati la quota relativa all’industria estrattiva e manufatturiera era scesa a 2,745 (33.93%).

Contemporaneamente alla diminuzione del peso minerario, cresceva quello degli occupati nel commercio e nei servizi (dall’11.32% del 1951 al 27.67% del 1971, passando per il 16.71% del 1961), mentre il contributo del settore agricolo rimaneva su valori bassi con trend negativo (5.79% nel 1951, 6.21% nel 1961, 3.35% nel 1971).

Già dalla rinuncia dell’ENEL alla gestione delle miniere fu chiaro come l’attività produttiva mineraria non fosse più il motore dell’economia carboniense e che, pur continuando ad avere una grande importanza simbolica, cedeva progressivamente il passo al settore industriale e terziario.

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[1] R. Martinelli, l. Nuti, Città nuove in Sardegna durante il regime fascista - Storia urbana, n. 6, 1978


[2] R.D. n. 2189 del 5 novembre 1937 art.1: E costituito in provincia di Cagliari, con capoluogo nel villaggio minerario in località «Monte Fossone», il comune di «Carbonia», la cui circoscrizione comprende l'intero territorio del comune di Serbariu, nonché le parti dei territori dei comuni di Gonnesa e di Iglesias, delimitate in conformità della pianta planimetrica che, vidimata, d'ordine Nostro, dal Ministro proponente, forma parte integrante del presente decreto. (GU n. 5 dell’8 gennaio 1938)


[3] Nell’ottobre 1938 erano presenti in città 11.923 operai, 4,000÷5,000 edili e 7,000÷8,000 minatori, in gran parte sardi (9,581), all’83% della provincia di Cagliari (7,945), 973 e 663, dalle provincie di Nuoro e Sassari rispettivamente. Esclusi i sardi, provenivano da 68 province diverse: soprattutto dall’Abruzzo (Chieti 291 e L’Aquila 97), Veneto (Treviso 157 e Belluno 141), Marche (Pesaro 275) e Basilicata (Potenza 224).

Una massa scarsamente omogenea, composta da uomini al 90%, certamente non l’ideale per formare in breve tempo un’autentica comunità.


[4] Inteso, in questo caso, come ricambio % nell’ambito della residenza, a differenza dell’indice trattato successivamente che si riferisce al ricambio nel mondo del lavoro, non come % ma come rapporto potenziale tra chi esce (gli anziani) e chi entra (i giovani)

L’evoluzione socio-demografica post crisi carbonifera

L’aumento della popolazione del 1981 (32,180 abitanti), dovuto al semplice saldo naturale, dava la misura di una progressiva stabilizzazione della popolazione che sembrava aver superato l’impatto di una grande crisi economica e intrapreso un percorso di adattamento a nuovi tipi di produzione.

«La città vive una fase contraddittoria nel corso della quale la sua straordinaria vitalità, dovuta anche alla giovinezza della sua popolazione, si manifesta in un’estrema capacità di adattamento. Il tenore di vita subisce una contrazione contenuta, il processo di terziarizzazione avanza parallelamente a quello in corso in tutto il paese, comprese le aree più sacrificate del Mezzogiorno, aumenta la scolarizzazione, cresce anche il numero degli impiegati nei vari impieghi locali, regionali e statali, nella scuola e nelle strutture sanitarie. Cresce il numero di pensionati, soprattutto quelli che hanno dato vita al fenomeno imponente dell’esodo volontario (dalle miniere, n.d.r.), favorito da incentivi vari, soprattutto, dalle super-liquidazioni» [5].

La ex-classe operaia mineraria avrebbe dovuto trovare sbocco occupazionale nella centrale elettrica e nel Polo Industriale di Portovesme che, paradossalmente, facevano perno sui prodotti minerari già entrati in crisi.

Inoltre, per l’altissimo rapporto capitale/lavoro le industrie non potevano assicurare più di 4,000÷6,000 posti di lavoro.

Dagli anni ’70, quindi, Carbonia crebbe soprattutto nel settore terziario, seguendo il trend nazionale, mentre il Piano di Rinascita non riuscì a fermare il grave fenomeno della disoccupazione che affliggeva in particolar modo i giovani, il cui disagio si mostrava attraverso il problema della droga e della microcriminalità.

La città, che nel ‘51 poteva essere definita come la più giovane della Sardegna e che più opportunità offriva ai giovani, divenne nel corso degli anni ‘70 e ‘80 una città che sembrava non potere più offrire un futuro certo ai propri ragazzi.

Nei successivi 40 anni, dopo un periodo di sostanziale stabilizzazione della popolazione fino al 1996 (31,939 abitanti), vi è stato un trend negativo costante fino al 2017 (28,265), con una perdita di circa 175 abitanti l’anno.

Alla diminuzione della popolazione si è associato un forte invecchiamento della stessa, anche rispetto al trend medio italiano (tab. 1).

Se, infatti, rispetto all’invecchiamento della popolazione (età media, vecchiaia, ricambio), nel 2001 tutti gli indicatori di Carbonia segnalavano una situazione migliore rispetto alla media italiana, già nel 2004, e ancor più dopo, la situazione si è invertita, fino ad arrivare nel 2017 a un differenziale di circa il 100% sia per l’indice di vecchiaia (274.61 vs 168.90) che per quello di ricambio (229.20 vs 130.40), mentre l’età media è superiore di 3.3 anni (48.0 vs 44.7)

L’unico indicatore che, pur peggiorando in assoluto e relativamente alla media italiana, rimaneva nel 2017 ancora su un valore simile a quello nazionale (56.18 vs 56.00) è l’indice di dipendenza che però è un indice spurio, dipendendo sia dalla popolazione anziana (in aumento) che da quella molto giovane (in diminuzione).

Va sottolineato, tuttavia, che mentre l’indice di dipendenza nazionale ha un trend in aumento sostanzialmente costante (0.44% annuo), quello di Carbonia è in aumento lineare, passando da un valore negativo (-0.49% annuo) nel 2001, al 1.15% del 2009, fino al 2.80% del 2017.

Infine, a certificare l’accelerazione dell’invecchiamento di Carbonia nel secondo decennio del XXI secolo sta il confronto tra i dati reali di fonte ISTAT e quelli predittivi di Fonte CRENoS riassunti in tab. 2.

Mentre le previsioni per gli indici di ricambio e di dipendenza presentano un’apprezzabile corrispondenza, per l’indice di vecchiaia i dati reali mostrano un’accelerazione maggiore rispetto alle previsioni, per cui si raggiunge e si supera il dato previsto per il 2000 già nel 1998, per il 2005 nel 2002, per il 2010 nel 2005, in un continuo aumento dell’anticipo .

Un’ultima osservazione, che conferma l’isolamento di Carbonia dai flussi migratori in entrata e che potrebbe essere una delle concause del rapido invecchiamento della popolazione, riguarda il basso numero di immigrati residenti che nel 2018 è di appena il 2%, meno di un quarto della percentuale nazionale pari all’8.5%.

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[5] Ignazio Delogu: Carbonia. Utopia e Progetto - Valerio Levi Editore, Roma (1988)

Tab. 1 - Indici statistici della popolazione di Carbonia vs Italia (Fonte ISTAT)

Tab. 2 - Confronto tra indici previsti e indici reali per la città di Carbonia

La "metafisica" Piazza Roma a Carbonia (foto dell'Autore, 2019)