Talco & Amianto in Lombardia

La distribuzione dei siti a livello territoriale

In fig.1 è mostrata la distribuzione territoriale, articolata a livello comunale, degli 32 siti di talco e amianto nella Regione Lombardia.

Come è stato già mostrato in tab. 2 della pagina Lombardia, i siti sono tutti in provincia di Sondrio. Si tratta di 16 siti di coltivazione di solo talco, 13 di solo amianto e 3 di talco e amianto insieme.

Fig. 1 - Distribuzione territoriale a livello comunale dei siti di talco e/o amianto in Lombardia

Geologia e giacimentologia

Come detto, i siti di estrazione di talco e/o amianto lombardi si trovano tutti in provincia di Sondrio, confinati all’interno della Valmalenco, con la sola eccezione del sito Pian di Preda Rossa che appartiene alla confinante Val Masino.

Tale territorio ricade, in massima parte, nel dominio Pennidico delle Alpi, che corrisponde all’antica crosta oceanica della Tetide Alpina, un braccio di mare apertosi tra Africa ed Europa durante il Giurassico (170 Ma ca.) e che si è andato chiudendo a partire dall’Eocene (50 Ma ca.).

Le associazioni litologiche di fondale oceanico comprendono rocce magmatiche di tipo intrusivo (peridotiti, gabbri, diabasi) ed effusivo (basalti), oltre alle rocce sedimentarie deposte sulla piana abissale (argille residuali e noduli ferro-manganesiferi, radiolariti, diaspri e calcari selciferi, flysh marnoso-arenaceo).

Il litotipo dominante è rappresentato dalle ultramafiti pennidiche della Falda Margna [1], che rappresentano l’antica crosta oceanica e nelle quali sono ancora osservabili resti delle antiche miniere di amianto e cromite, mentre le successioni di copertura sono costituite da sedimenti metamorfosati (quarziti manganesifere, marmi a silicati) la cui origine oceanica è confermata dalla diffusa presenza di arsenico e vanadio nelle mineralizzazioni a manganese della Valle di Scerscen.

Imponenti fenomeni di erosione fluviale, localizzati lungo l’intero sviluppo longitudinale della gola della suddetta valle scavata nelle serpentiniti, hanno dato luogo a morfologie caratteristiche, analoghe alle “marmitte dei giganti” [2].

Il componente mineralogico fondamentale (almeno il 75% della roccia) è rappresentato da antigorite sia come aggregato di fondo fine, sia in grandi lamine. Sono spesso presenti elementi relitti di olivina e di pirosseni sia in grandi individui e piaghe pavimentose, sia come granuli diffusi nella massa. L'olivina compare anche in noduli e lenti da alcuni centimetri a qualche decimetro. La magnetite è sempre presente sia come granulazioni diffuse nella roccia, sia, localmente, in noduli di qualche centimetro, sia, infine, come minerale associato all'amianto in bei cristalli ottaedrici lucenti.

Per la datazione delle serpentiniti sono di grande importanza i rapporti di giacitura con la massa calcareo-dolomitica triassica della Val Lanterna, in base ai quali e per analogia con le ofioliti appenniniche le serpentine in questione sono considerate post-triassiche.

Quanto alle modalità della messa in posto di questa formazione, si ritiene in genere che le rocce peridotitiche da cui le serpentine sono derivate per metamorfismo, si siano intruse alla base del complesso austroalpino lungo quella zona di debolezza della crosta terrestre che separava questo dal complesso pennidico, durante una fase precoce dell’orogenesi alpina, risalente al Giurassico-Cretacico inferiore (150÷140 Ma).

Le Serpentine della Valmalenco fanno parte dell'enorme complesso dei Calcescisti con pietre verdi che, a partire dal Savonese, si sviluppa lungo tutto l'arco alpino fino alle Alpi Orientali e che qui fanno parte, come detto, del complesso dei ricoprimenti pennidici. Alla base le serpentine sono in contatto con formazioni calcareo-dolomitiche triassiche e con rocce metamorfiche che rappresentano il nucleo cristallino della falda Suretta .

Dal punto di vista giacimentologico, l’amianto si presenta con tipica fibra lunga, anche fino a 2-3 metri di lunghezza, a riempire le fratture (litoclasi) tardive delle serpentiniti mesozoiche, mentre il talco, associato in forme lenticolari prevalentemente ai calcari cristallini, si è, invece, formato per genesi secondaria a spese dei marmi dolomitici incassanti, secondo la reazione riportata di seguito.

___________________________________________________________

[1] Costituita da un basamento di rocce metamorfiche antiche pre-Permiane (oltre 300 Ma) e una copertura più recente di rocce calcareo-dolomitiche marine di età mesozoica (240÷150 Ma).

[2] Profondità a forma di pozzo nelle rocce dovute all’erosione fluviale nelle località che erano ricoperte da ghiacciai.

Cenni storici

Nel porzione a NE della Valmalenco, parzialmente interessata dalla Valle di Scerscen, definita il “Gran Canyon della Valmalenco” per la suggestione che suscita questa grande conca di detriti alluvionali che si stende ai piedi della testata della valle, a partire dalla seconda metà del XIX secolo si è sviluppata un’attività mineraria che ha rivestito un ruolo importante nella vita dei valligiani, lasciando tracce indelebili nella storia, nel paesaggio e nell’economia, grazie all’eterogeneità geologica con le sue ricchezze minerarie (amianto e talco, pietra ollare, serpentinite e granati demantoidi) che hanno fatto della Valmalenco, e fanno ancora oggi, un punto di riferimento in ambito internazionale.

Già tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo una nobildonna della Val Chiavenna, Elena Candida Medina Coeli Perpenti, riuscì a realizzare un paio di guanti con filo di amianto proveniente dalla Valmalenco e della carta su cui furono stampati dei sonetti. Qualche anno più tardi, nel 1830, l’industriale di Chiavenna, Antonio Vanossi, che già sfruttava le risorse minerarie di Lanzada in società con il vigile del fuoco Pietro Ploncher, cercò di intraprendere la produzione del materiale ignifugo per realizzare interi abiti, ma un tracollo finanziario fece presto cessare l’attività.

Bisognò, quindi, attendere l’anno 1860, quando per iniziativa del Marchese Di Baviera, figlioccio di Papa Pio IX, fondatore dell'Osservatore Romano e, in quegli anni, capitano delle Guardie Pontificie, sorse una prima società per lo sfruttamento dell’amianto valtellinese, che però operava ancora con criteri artigianali, producendo 30÷40 ton/anno di grezzo e occupando 150 operai, mentre il lavoro di “filatura” dell’amianto era dato “a domicilio”.

Nel 1867, l’industriale fiorentino Vittorio Del Corona si associò al Di Baviera e insieme riuscirono a ottenere la prima concessione estrattiva della società Di Baviera-Del Corona, esercitata a livello locale da Antonio Masa e Giovanni Maria Fornonzini, veri pionieri dell’estrazione dell’amianto insieme a Giovanni Antonio, padre del Masa.

Il Marchese Augusto Di Baviera, convinto dal Del Corona, comprese le potenzialità economiche dello sfruttamento dell’amianto e, all'interno della cartiera Rigamonti di Tivoli, intraprese la produzione di carta ignifuga necessaria per redigere importanti documenti e, conseguentemente, la ricerca e l’attività estrattiva del minerale, che rapidamente si sviluppò raggiungendo nel 1878 la produzione di 100 ton/annue di amianto, con un impiego di più di 500 operai.

L'attività, concentrata dapprima nel giacimento del monte Cengiasc (di fronte alla Bagnada), si estese su tutto il territorio limitrofo, tanto che nel 1880 i documenti del Corpo Reale delle Miniere di Milano riportano 64 giacimenti attivi nella provincia di Sondrio, di cui 62 in Valmalenco e 50 sul territorio di Lanzada, in particolare nella zona di Campo Franscia oltre che in Val di Scerscen, Val Ventina e Val Giumellini.

Nel 1880, alla società romana subentrò la londinese United Asbestos Company Limited che, a differenza della prima, era meno interessata alla produzione di carta d’amianto e più alla creazione di nuovi prodotti: costruzione di macchinari resistenti al calore, pastiglie per freni, materiali termoisolanti.

Negli anni successivi, tuttavia, la concorrenza dell'amianto canadese provocò una crisi del settore con la chiusura di molti siti estrattivi e l'emigrazione di molti minatori specializzati proprio in Canada.

Nel 1909 la United Asbestos si fuse con la Bell's Asbestos a formare la Bell’s United Asbestos Company Limited che nel 1913 ottenne dal comune di Lanzada una concessione, ma le speranze di ripresa suscitate da questa acquisizione andarono rapidamente deluse e la società inglese chiuse le miniere al mercato nazionale, inviando direttamente in Inghilterra il minerale estratto.

La 1a guerra mondiale non cambiò la situazione che tornò a migliorare solo agli inizi degli anni '30. Paradossalmente, la disoccupazione seguita alla grande crisi del '29 favorì la ripresa dell’attività, poiché i locali tornarono a lavorare nelle miniere amiantifere, nonostante le gradi difficoltà ambientali di alcuni siti, posti ad altezza vicine ai 3000 metri s.l.m.

Negli anni della 2a guerra mondiale la produzione bellica rilanciò l’attività estrattiva, che in quegli anni raggiunse il massimo di ca. 670 ton/annue, mantenendo questo impulso fino agli anni ‘70 per poi estinguersi definitivamente, relativamente all’amianto, negli anni ’90 dopo l’emanazione della Legge 257 del 27 marzo 1992 che stabiliva le “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto” .

L’attività nelle concessioni di talco è invece proseguita fino ai giorni nostri, con due concessioni (Brusada Ponticelli e Valbrutta) ancora attive a fine 2019, entrambe concessionate alla IMI-Fabi SpA.


Evoluzione temporale dell'attività estrattiva

Come mostrato in fig. 2, le coltivazioni cominciano nell’intervallo 1931÷1935 [3] con un trend di crescita fino al massimo di 29 concessioni attive nel 1970.

A partire da quella data si osserva una diminuzione progressiva delle concessioni vigenti, fino alla situazione attuale in cui sono rimaste attive, come già sottolineato, le sole concessioni di talco denominate “Valbrutta” e “Brusada Ponticelli”, entrambe in territorio di Lanzada.

Come già ricordato, tutti i siti di coltivazione dell’amianto sono stati abbandonati già dal 1994 in seguito alla Legge 27 marzo 1992 n. 257 “Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto” e al successivo decreto attuativo DM 6 settembre 1994 “Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto”.


____________________________________

[3] Come riportato nei "Cenni storici", l'attività estrattiva in Valmalenco ha avuto inizio già nel XIX secolo in regime fondiario. A partire dal RD 1443/1927 talco e amianto sono stati riconosciuti come minerali di 1a categoria e, conseguentemente, soggetti a regime demaniale. Solo da quella data le miniere di talco e amianto, soggette a concessione, appaiono nella documentazione ufficiale su cui è basato il censimento all'origine di questo testo.

Fig. 2 - Evoluzione temporale del numero di concessioni vigenti di talco e/o amianto in Lombardia