Minerali Metalliferi in Toscana

Inquadramento giacimentologico

Le miniere di minerali metalliferi toscane posso essere sinteticamente distinte in quattro gruppi principali ben localizzati (fig. 1):

  • il cinabro (mercurio) in Amiata (58 siti)

  • i minerali del ferro all’Isola d’Elba e Piombino (33 siti)

  • pirite e solfuri misti nelle Colline metallifere (41 siti)

  • solfuri misti in area apuana (7 siti)

Sono presenti, inoltre, altri 21 siti, di cui 20 per la coltivazione dei minerali del manganese, con forte dispersione sul territorio regionale, anche se con prevalenza nella Toscana meridionale, in particolare in area amiatina.

Fig. 1 - Distribuzione a livello comunale delle miniere di minerali metalliferi in Toscana

Giacimenti di cinabro e antimonite


L’assetto geologico dell’Amiata, in continuità con tutta l’area della Toscana meridionale, è caratterizzato dalla sovrapposizione di importanti eventi deformativi sviluppatisi in tempi diversi, che hanno caratterizzato l’evoluzione del versante tirrenico dell’Appennino Settentrionale.

In particolare, all’evento compressivo, che dall’Oligocene Superiore al Miocene Inferiore ha portato alla strutturazione dell’edificio appenninico, è seguita un importante tettonica distensiva che si è protratta fino al Quaternario, determinando lo smembramento delle unità tettoniche precedentemente impilatesi, unitamente a un intenso assottigliamento crostale.

A conclusione di tale tettonica distensiva, si è andato sviluppando un sistema di faglie ad alto angolo, con direzione preferenziale NE-SO e con un prevalente movimento orizzontale.

Nella regione amiatina la principale di queste, la Faglia del Monte Amiata, è stata il condotto principale per la risalita di magma fino alla superficie, dando luogo, in un periodo compreso tra 300,000 e 190,000 anni (Pleistocene medio-superiore), alla formazione dell’edificio vulcanico del Monte Amiata.

Al termine dell’evento vulcanico, questo sistema di faglie ha controllato la circolazione di fluidi idrotermali che, arricchitisi in profondità di elementi chimici come mercurio, arsenico e antimonio, sono risaliti in superficie.

In questo percorso di risalita, variazioni di pressione e di temperatura hanno provocato la deposizione, sotto forma di solfuri, degli elementi più pesanti, dando luogo agli importanti giacimenti minerari del Distretto Mercurifero del Monte Amiata .

Il cinabro, raramente in associazione con altri minerali, è stato trovato prevalentemente verso la base del Calcare Cavernoso (Trias superiore) poggiante sul Verrucano (Trias medio-superiore) o in sedimenti mio-pliocenici e travertini.

Per quanto riguarda i rapporti tra i giacimenti mercurio e antimonio, le concessioni che prevedono la coltivazione di entrambi gli elementi sono solo due in Maremma meridionale (Capalbio e Manciano), tuttavia seppur separati i due tipi di giacimento sono spesso contigui e l’area dell’antimonite è interna a quella del cinabro.

Giacimenti di minerali di ferro


Le miniere di minerali di ferro in Toscana sono localizzate prevalentemente nell’isola d’Elba e nei comuni costieri prospicienti (Piombino, Campiglia Marittima).

Per quanto riguarda la genesi di questi giacimenti, due sono le teorie che si sono storicamente fronteggiate:

  • la teoria “plutonista-epigenetica”, secondo cui la formazione dei giacimenti è dovuta ai processi magmatici e magmatico-idrotermali connessi alle intrusioni mio-plioceniche (5.5÷5.0 Ma). Più recentemente, modelli più articolati individuano nelle intrusioni magmatiche la sorgente di calore, ma non esclusivamente quella dei fluidi e degli elementi trasportati, suggerendo che la sorgente del ferro vada ricercata in processi di granitizzazione [1] delle intrusioni con mobilizzazione del metallo dalla biotite magmatica;

  • la teoria “singenetica-metamorfica”, per la quale, invece, si ritiene che la mineralizzazione sia dovuta a una fase precedente l’evento tettonico-magmatico appenninico, fase caratterizzata da apporto di ferro singenetico in un contesto di tipo sedimentario o vulcano-sedimentario. A sostegno di questa ipotesi si sottolinea che le mineralizzazioni toscane si trovano nei 150-200 m superiori della serie permo-triassica (250÷200 Ma), mentre il calcare cavernoso dolomitico del Retico (200 Ma) costituisce il tetto della mineralizzazione.

L’evento magmatico appenninico avrebbe poi provocato fenomeni di metamorfismo, metasomatismo e rimobilitazione degli accumuli singenetici.


Da un punto di vista della composizione mineralogica, i giacimenti di ferro elbani si caratterizzano per la presenza prevalente di ematite o magnetite:

  • Le mineralizzazioni a ematite sono incassate prevalentemente nella formazione di Rio Marina (Tardo Carbonifero-Permiano inferiore), nel Gruppo del Verrucano (Trias medio-superiore) e nelle brecce di Rio Albano, probabilmente mioceniche, alla base della Falda Toscana.

Presentano varie forme e giaciture (stratiformi, ammassi, vene), controllate dalle strutture tettoniche prodottesi in fase distensiva, successiva all’orogenesi appenninica, in gran parte con direzione N-S e immersione verso E.

Sono spesso accompagnate da pirite in quantità variabile, che tende ad aumentare nelle parti più profonde dei giacimenti.

Al tetto dei giacimenti affioranti è presente la limonite, che deriva, in larga parte, dall’alterazione per cause meteoriche della pirite.

Datazioni radiometriche dell’ematite dell’Elba hanno ottenuto valori pari a 5.4 Ma, corrispondente al passaggio tra Miocene superiore e Pliocene inferiore.

  • Le mineralizzazioni a magnetite sono, invece, incassate nelle Unità Porto Azzurro (Triassico superiore), Ortano (Ordoviciano), Acquadolce (Giurassico medio-superiore), spesso in associazione con corpi di skarn, di formazione a volte successiva altre coeva con le mineralizzazioni.

Associati alla magnetite, non di rado pseudomorfa di ematite lamellare, si trovano spesso solfuri, principalmente pirrotina e pirite, che generalmente rappresentano le fasi tardive delle mineralizzazioni.


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[1] Complesso di processi responsabili della formazione di graniti o di rocce di composizione e struttura assai simile, per sostituzione di rocce preesistenti di qualsiasi tipo.


Giacimenti di pirite e solfuri misti nelle Colline metallifere


Anche i giacimenti a pirite e solfuri misti delle Colline Metallifere sono ricollegabili al magmatismo tardo terziario-quaternario (5÷2 Ma) che ha interessato la Toscana, connesso con la formazione di un sistema di faglie distensive a orientamento appenninico.

Tutte le principali mineralizzazioni, infatti, sono impostate in corrispondenza ad alti strutturali, delimitati da faglie di distensione spesso di notevole entità, formatesi nel corso della messa in posto di ammassi magmatici di tipo granitico.

La pirite si origina per la risalita di fluidi pneumatolitico-idrotermali legati al succitato magmatismo acido terziario evidente a Gavorrano, Niccioleta, Campiglia e nell’Arcipelago Toscano lungo un sistema di faglie che interessa le rocce triassiche della Serie Toscana (scisti filladici, anidriti di Burano, calcare cavernoso). Gli ammassi di pirite si localizzano in particolare al contatto tra filladi e calcare cavernoso, oppure all’interno delle evaporiti intercalate nelle filladi, formandosi quindi per sostituzione metasomatica delle rocce carbonatiche o solfatiche della serie evaporitica triassica (calcari e dolomie, anidriti).

Nelle zone profonde dei giacimenti si segnala la presenza di rocce a skarn, che evidenziano la interazione metasomatica tra sedimenti calcareo-argillosi e masse magmatiche profonde, analoghe a quelle presenti in affioramento a Gavorrano.

Nel giacimento di Niccioleta, in particolare, si distinguono ammassi al contatto filladi-cavernoso e ammassi nelle filladi, con passaggio netto filladi-pirite nel caso di contatto stratigrafico, più diffuso con pirite disseminata quando il contatto è per faglia. Ancora più disperso e graduale è il contatto pirite-cavernoso.

Anche per quanto riguarda i solfuri misti, le maggiori mineralizzazioni (Boccheggiano, Fenice Capanne, Accesa-Serrabottini) sono impostate su alti strutturali, formati da calcare cavernoso con sottostanti filladi, interessati da faglie distensive in cui risalgono fluidi idrotermali mineralizzati a rame, zinco e piombo.



Giacimenti di solfuri misti in area apuana


Le mineralizzazioni sono ospitate prevalentemente nelle formazioni del basamento paleozoico e in corrispondenza dei contatti tettonici fra le rocce paleozoiche e i Grezzoni [2] , in misura minore invece all’interno dei Grezzoni e lungo il contatto Grezzoni-Marmi.

Recenti ricerche hanno evidenziato l’esistenza di tre principali eventi metallogenici nell’area apuana: fase paleozica, fase mesozoica medio-triassica, fase cenozoica oligo-miocenica.

Quest’ultima (25÷20 Ma), connessa alla formazione dell’orogene appenninico, è considerata come responsabile dell’attuale assetto delle mineralizzazioni nell’area, tutte ubicate lungo contatti tettonici che caratterizzano la zona dello Stazzemese.

Le deformazioni dei minerali e delle ganghe che li contengono dimostrano che le mineralizzazioni si sono formate quando la tettonica era ancora attiva.


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[2] Formazione costituita da dolomie grigie e grigio scure di ambiente periditale, di epoca norica (Trias superiore, 215÷205 Ma); nell’area di Stazzema sono rappresentate da dolomie cataclastiche con cemento carbonatico.


Evoluzione temporale dell'attività

In fig. 2 è mostrata l'evoluzione temporale del numero di concessioni di minerali metalliferi articolata in funzione delle tipologie di minerali estratti.

Fig. 2 - Evoluzione temporale del numero di concessioni attive di minerali metallici in Toscana, articolata nei principali gruppi presenti in Regione

Dall'istogramma risulta una forte anomalia in corrispondenza all’intervallo 1920÷1925, caratterizzato da un forte aumento dei siti dovuto più a ragioni che si possono definire “burocratiche-amministrative” che a un reale sviluppo dell’attività estrattiva in “senso stretto”.

Prima del RD 1443/1927, in gran parte della Regione Toscana [3] vigeva, infatti, il regime fondiario che consentiva l’apertura di miniere per Diritto di Proprietà; in questo quadro, in corrispondenza del periodo bellico, come per il caso dei combustibili fossili e senza nemmeno lo stimolo di un’istituzione preposta (vedi CGCN), vennero aperti in questo modo 58 siti, di cui 42 non furono confermati con relativa concessione dopo l’emanazione del RD 1443, aggiungendosi ad altri 19 siti aperti in precedenza e non confermati.

Tenendo conto di ciò e non considerando l’anomalia precedentemente descritta, l’evoluzione temporale dell’attività estrattiva dei minerali metalliferi assume un andamento di tipo gaussiano con un massimo nel 1945 pari a 60 siti (19 cinabro e antimonite, 17 minerali del ferro, 19 pirite e solfuri misti, 5 minerali del manganese).

Dopo quell’anno è cominciata la discesa, dapprima lenta e poi, dalla metà degli anni ‘70, più rapida, soprattutto a causa della chiusura dei siti di coltivazione del cinabro.

Attualmente tutti i siti sono dismessi, salvo cinque (Abbadia S. Salvatore per il cinabro, Gavorrano, Niccioleta, Fenice Capanne e Accesa Serabottini per pirite e solfuri misti), comunque inattivi, le cui concessioni risultano tuttora vigenti per garantirne la bonifica e il recupero ambientale.


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[3] Nelle province di Grosseto, Siena, Arezzo, Firenze, Pisa, Livorno e in parte delle province di Lucca e Massa-Carrara (vedi Legislazione mineraria)