Recupero museale in Veneto

I siti musealizzati

Nella tabella che segue è riportata la lista dei siti minerari oggetto di recupero museale, in atto o in progetto al 2019, la cui distribuzione a livello comunale è mostrata in fig. 1.

A questi siti va aggiunto il museo geom-minerario di Agordo associato all’Istituto tecnico-minerario Follador.

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Fig. 1 - Distribuzione territoriale a livello comunale dei siti musealizzati in Veneto


Il Centro Minerario della Valle Imperina, ubicato nel Comune di Rivamonte Agordino ed incluso nel Parco Naturale delle Dolomiti Bellunesi, con i suoi resti antichi in fase di lento recupero fornisce una testimonianza storica di fondamentale importanza per comprendere il passato economico della valle.

La Val Imperina si sviluppa lungo la cosiddetta Linea della Valsugana, una faglia inversa che dalla provincia di Trento arriva fino al Cadore, il cui movimento ha facilitato la formazione di anomalie metalliche nel sottosuolo, dando luogo a giacimenti sfruttati già a partire dalla metà del VI secolo d.C. , tesi avvalorata da numerosi ritrovamenti di monili di rame nelle tombe latine della Conca Agordina.

Proprio la grande disponibilità di rame del territorio sembra contraddire quanto finora sostenuto dagli storici, ovvero che nella Conca Agordina si vivesse di sussistenza fino al XVII secolo; la disponibilità economica derivata dal commercio del rame sarebbe stata, invece, notevole, come testimoniano scritti latini del periodo che paragonano il valore del rame a quello dell’oro negli scambi economici .

Il Centro minerario, fortemente industrializzato a partire dal 1910 con l’avvento della Montecatini e la costruzione di diverse centraline idroelettriche e di una linea ferroviaria privata (fig. 2), abbandonato già nel 1962, subì un definitivo colpo di grazia con la tremenda alluvione del 1966, che colpì duramente l’Agordino e lo Zoldano distruggendo gli insediamenti metallurgici situati in prossimità dei corsi d’acqua.

Solo in tempi recenti ne è stata riscoperta l’importanza storica, politica, culturale, a partire, nel 1989, dall’acquisto del sito da parte del Comune di Rivamonte Agordino (vedi § 2.4.2.1.3 del pdf scaricabile).

Da quella data il sito minerario è stato oggetto di massicci lavori di ristrutturazione che hanno restituito al pubblico numerosi e imponenti edifici del complesso, tra cui i magnifici forni fusori, la Centrale Elettrica, l’Ostello della Gioventù, il Pozzo Capitale, la Galleria Magni, il Complesso delle Stalle, la Sede CRAL e la Galleria Santa Barbara.

La tempesta Vaia, che ha devastato il nordest italiano tra il 26 e il 30 ottobre 2018, ha purtroppo ritardato il completamento dei lavori di recupero, portandosi via la strada d’accesso da Ponte Alto e seminando distruzione anche in alcuni fabbricati appena ristrutturati.

Fig. 2 - Locomotiva della linea ferroviaria privata della Miniera di Val Imperina esposta nell’area di parcheggio del Centro Minerario

Fig. 3 - Mappa del Centro Minerario

L'itinerario all'interno del Centro minerario Val Imperina (fig.3)

Partendo dal parcheggio sulla ex SS203, ora SR203 (Strada regionale agordina), dove è esposta la vecchia locomotiva (fig. 2), si attraversa un ponte di legno sul torrente Cordevole che porta all’ingresso del Centro minerario (Ostello della gioventù).

Attraversato il ponte sul torrente Imperina si incontra l’imponente complesso dei forni fusori (fig. 4) e poche centinaia di metri più a valle si arriva al Centro visitatori “Uomini di Valle Imperina”, ospitato in un elegante edificio di inizio ‘900, originariamente adibito a centrale idroelettrica a servizio delle miniere, che espone un allestimento dedicato agli uomini che hanno abitato la valle e al loro lavoro, con una sezione, la prima, dedicata al minatore e agli effetti delle passate attività minerarie e metallurgiche sul paesaggio e l’ambiente circostante.

Dal Centro visitatori inizia il sentiero tematico denominato “Via degli Ospizi”, che si sviluppa per 20 km circa lungo il torrente Cordevole e raggiunge la Certosa di Vedana.

Tornando indietro, si prende il sentiero in salita che parte dal piazzale dei forni fusori, dove è posizionato anche un imponente camion da cava.

Lungo la salita è molto facile imbattersi in frammenti di scarti dei forni fusori disseminati in terra e il terreno è colorato di un rosso acceso data la presenza di rocce metallifere ossidate.

Raggiunto il primo pianoro, dopo circa 10 minuti, ci si imbatte nella interessante ricostruzione di una rosta di torrefazione [1] protetta da una tettoia (fig. 5), in un piccolo bacino idrico e in ruderi del sito minerario.

Più avanti, superato un piccolo ponte di legno, s’incontra la porta d’accesso a un tunnel minerario (Galleria S. Barbara, fig. 6), pieno di acqua che, dato il contatto coi minerali, si tinge di un rosso acceso.

Salendo ancora si giunge a una suggestiva cascata seminascosta da una parete rocciosa e al Pozzo Capitale (fig. 7), struttura restaurata che custodisce il pozzo della miniera.

Il pozzo Capitale si apre all’interno di un edificio di origine settecentesca che ospitava anche una grande ruota idraulica, che permetteva di trasportare il minerale su per il pozzo con due secchi di legno detti “kibel”, dal tedesco “kübel”, che significa mastello.

Continuando verso monte lungo il sentiero si possono, quindi, ammirare il Pozzo Donegani e l’accesso alla Galleria Magni.

Da qui iniziano, anche, le indicazioni per il Sentiero Tematico “La Montagna Dimenticata”, un tracciato di circa 40 chilometri compreso nell'area tra Forcella Moschesin (comune di La Valle Agordina) e le ex miniere di mercurio di Vallalta.


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[1] Le roste servivano al pre-arricchimento del minerale più povero, non inviato direttamente ai forni fusori; nelle roste tale minerale subiva un arrostimento lento, che provocava l’arricchimento in rame del cuore dei pezzi di minerale, mentre l’esterno formava una crosta ossidata (solfato di rame --> CuSO4). Il nucleo interno veniva mandato ai forni fusori, mentre la crosta subiva ulteriori trattamenti (lisciviazione in acqua con aggiunta di rottami di ferro) da cui si otteneva rame, inviato ai forni, e solfato di ferro (vetriolo verde --> FeSO4) utilizzato per le tinture e gli inchiostri.

Fig. 4 - Forni fusori (Foto Pasqualini)

Fig. 5 - Ricostruzione di una rosta di torrefazione (Foto Pasqualini)

Fig. 6 - Ingresso Galleria S. Barbara (Foto Pasqualini)

Fig. 7 - Edificio del Pozzo Capitale (Foto Schena)


La sede storica dell’Istituto tecnico-minerario Follador (fig. 8) ospita il Museo Geom-Minerario, la cui collezione mineralogico-geologica, che oggi consta di circa 3000 reperti, è andata costituendosi a partire dagli anni ’20 del secolo scorso a seguito di donazioni successive da parte dei periti minerari di Agordo e di alcuni privati.

La sezione mineralogica comprende minerali di interesse industriale, con i loro associati più comuni, provenienti dalle principali miniere italiane e da tutto il mondo: elementi nativi, solfuri, aloidi, ossidi, nitrati, carbonati, solfati, molibdati, cromati, wolframati, fosfati, arseniati, vanadati, minerali di torio e uranio, silicati.

Una sistemazione particolare hanno ricevuto i minerali provenienti dai siti minerari storici dell’Agordino (Val Imperina, Valle di San Lucano, Valle di Gares, miniera di Caprile, miniera di Colle Santa Lucia “Fursil”, miniera del Passo Giau).

In un corridoio al primo piano sono collocate vetrine con la collezione di minerali della zona istriana, carsica e friulana, dono del triestino Giorgio Rimoldi.

Completano la collezione due stereogrammi raffiguranti le miniere bellunesi di Val Imperina (Agordo) e di Salafossa (San Pietro di Cadore), ormai abbandonate.

La sezione petrografica raccoglie una collezione ben assortita di rocce appartenenti alla serie stratigrafica dolomitica e articolate secondo le tre principali categorie genetiche: magmatiche, sedimentarie e metamorfiche.

Sono presenti anche fossili, riferiti in particolare alla serie stratigrafica-dolomitica, che risalgono all’Era Mesozoica e Cenozoica, di cui sono ben rappresentati i periodi Triassico, Giurassico, Cretacico, Paleogene e Neogene.

http://agordinodolomiti.it/it_IT/index.php/cosa-vedere/storia/miniere-del-fursil/

Fig. 8 - Il museo Geom-Minerario nella sede storica della Scuola mineraria di Agordo


Le miniere di ferro (Siderite, ematite manganesifera) del Fursil, in Valle dell’Agnello nel territorio del comune di Colla Santa Lucia, sono state storicamente un importante punto di riferimento economico per la zona agordina, tanto da essere state oggetto di contese e tensioni tra il Tirolo, dove erano storicamente ubicate, e la Repubblica veneziana, al cui confine erano molto vicine.

La forte presenza di manganese nel minerale ferroso faceva sì che, una volta lavorato, il ferro che se ne ricavava aveva caratteristiche simile all’acciaio: grande resistenza e bassa ossidabilità.

Il ferro del Fursil era, quindi, utilizzato soprattutto per fare spade e oggetti da taglio, tanto che spade forgiate con questo metallo sono state trovate tra le cose possedute da famiglie nobili spagnole e inglesi.

La prima traccia storica conosciuta risale al 5 settembre 1177 quando Federico I “Barbarossa” concesse le miniere all’Abazia di Novacella.

Lo sfruttamento sistematico ebbe probabilmente inizio verso il XIII secolo e assunse grande importanza nel 1316 quando le miniere vengono acquisite dalla famiglia agordina degli Avoscani, che richiamano una gran quantità di minatori veneti.

La massima importanza fu, però, raggiunta tre secoli più tardi grazie alle raffinate tecnologie utilizzate in tutte le fasi del processo industriale.

Risale a quel tempo la grande fama acquisita dai prodotti lavorati in loco, armi da taglio e da punta ben conosciuti in tutta Europa con il marchio del “Ferro dell’Agnello”, stemma del Vescovado di Bressanone (fig. 9).

Nello stesso periodo, per il trasporto della siderite manganesifera all’interno del territorio tirolese venne realizzata una strada speciale, la cosiddetta “Strada da la Vena” che ancora oggi collega le Miniere del Fursil al Castello di Andraz (fig. 10), dove si trovava un forno fusore, e più su fino alla Val Badia attraverso il Passo Valparola.

Tuttavia, dopo un periodo di grande sviluppo, l’esaurimento del giacimento decretò la decadenza di tutta l’attività indotta e la chiusura delle miniere che avvenne intorno alla metà del XVIII secolo.

Nei secoli successivi furono fatti vari tentativi di rilancio dell’attività mineraria, tutti falliti in breve tempo.

L’ultimo, più consistente, fu effettuato dalla ditta Breda di Milano nel periodo 1938-1943 con la ricerca e il recupero di alcuni antichi cunicoli e la realizzazione di due nuove gallerie.

Ma anche questo fallì e la definitiva chiusura avvenne nel 1945.


A partire dal 2010 le miniere sono oggetto di lavori di recupero e valorizzazione da parte del Comune di Colle Santa Lucia che ha avviato un progetto per la messa in sicurezza e lo sfruttamento a fini turistico-culturali della galleria realizzata dalla società Breda nel secolo scorso.

Il progetto, del costo previsto di 1,580,000 € finanziato al 93.51% della Regione, prevede il «recupero di un tratto di m. 300 di galleria con ripristino del percorso esterno a binari rotabili fino alla partenza del trenino elettrico; del consolidamento e recupero del tratto di galleria per raggiungere l'antica camera di coltivazione, dove allestire un cantiere didattico di scavo; infine, costruzione di parte dell’edificio per centro visite e realizzazione di opere di collegamento»[1].

Nel carosello di immagini che segue sono mostrati i rendering di come appariranno l’imbocco (a) e l’interno (b) della galleria e la camera di arrivo (c) del trenino a lavori ultimati.


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[1] Da Sviluppo Locale Programmazione decentrata Cofinanziamento di interventi infrastrutturali

Fig. 9 - Stemma del Principato Episcopale di Bressanone

Fig. 10 - Castello d’Andraz

Maggiori descrizioni e approfondimenti su questi siti sono riportati nel pdf scaricabile.