Miniere di pirrotina nichelifera della Valle Strona

Giacimentologia e mineralogia


Nei dintorni di Campello Monti (fig. 1), in alta Valle Strona (VB), sono localizzate due distinte mineralizzazioni di Pirrotina nichelifera con caratteristiche analoghe, cui corrispondono altrettante concessioni di cui una, Pennino Grande, è situata nel vallone del Rio dei Dannati, alla base del Monte Capio nei pressi dell’alpeggio Balma, mentre l’altra, Alvani, più importante come mineralizzazione e storia, è localizzata sull’altro versante della valle a sovrastare il piccolo paese (fig. 2).

Il giacimento si sviluppa tra le quote 1300 e 1600 circa, con diversi cantieri, alcuni su più livelli, all’interno di rocce ultrabasiche di tipo pirossenitico-peridotitico della Zona Ivrea-Verbano, delimitate a Ovest e Nord dalle miloniti della Linea Insubrica, a Sud da anfiboliti e a Est da granuliti.

Le rocce mineralizzate sono in maggioranza pirosseniti, talora oliviniche o serpentinizzate più o meno estesamente, intensamente fratturate e fagliate, con presenza prevalente di pirrotina, pentlandite e calcopirite.

Come minerali accessori si ritrovano marcasite, pirite, ilmenite, magnetite, ematite, cromite, blenda e grafite.

L’ammasso roccioso è interessato da una fitta rete di fratture e faglie dovute alla prossimità del grande lineamento tettonico insubrico.

I corpi mineralizzati presentano generalmente morfologia lenticolare o irregolare con forme e dimensioni molto variabili, in cui i minerali metallici sono distribuiti irregolarmente in vene, mandorle o piccole lenti contigue tra loro, con strutture a rosario aventi direzione N-S, immersione sub-verticale e sviluppo di alcune decine di metri, oppure, più frequentemente, sono minutamente disseminati nella roccia.


Metodi di coltivazione


Oltre alle normali difficoltà connesse alla coltivazione di un giacimento, in questo caso aggravate dalla struttura e tessitura della mineralizzazione, oltre che dalla durezza delle rocce incassanti, la miniera di Alvani presentava ulteriori problemi a causa della propria ubicazione.

La roccia mineralizzata è, infatti, situata su un versante molto scosceso, sostanzialmente inaccessibile, quasi privo di vegetazione e attraversato da numerosi canaloni, che nel periodo invernale sono il corridoio preferenziale per le tante valanghe che giungono fino alla strada.

In queste condizioni già l’approccio all’area utile, con la costruzione di sentieri, ponticelli e piazzali per il deposito del materiale e lo scorrimento dei carrelli, si rivelò particolarmente difficile

La rigidità dell’inverno e l’abbondanza delle precipitazioni nevose, inoltre, ostacolavano notevolmente i lavori in quella stagione, limitandoli ai cantieri inferiori.

Inoltre, dal punto di vista geologico-tecnico, come già accennato, la mancanza di un sistema di filoni mineralizzati e la notevole durezza della roccia rendevano particolarmente costoso e lento l’abbattimento, che doveva procedere principalmente con perforazioni meccaniche e con una ricerca delle concentrazioni utili “a vista”, cioè seguendo le mineralizzazioni già affioranti, a causa delle difficoltà logistiche che rendevano impraticabili, o poco utili, i normali mezzi di prospezione geofisica esistenti al tempo, a cavallo tra XIX e XX secolo.

Secondo la documentazione storica, il tenore in nichel dell’abbattuto, che a fine attività era diminuito fino allo 0.5%, si attestava su una media del 2% raggiungendo nel concentrato, risultato finale del processo di arricchimento per flottazione, un valore pari al 5-6%.

Fig. 1 - Veduta di Campello Monti

Fig. 2 - Mappa delle miniere di Campello Monti (Zanoletti, 2005)

Cenni storici


La presenza di una diramazione della Strada Settimia che congiungeva Genova con il Sempione fa ritenere, secondo fonti storiche locali, che lo sfruttamento dei giacimenti di minerali metallici, in particolare di ferro e rame, in Valle Strona possa risalire all’epoca romana.

Notizie certe, verificabili con documentazione storica, si hanno, però, solo a partire dal 1472, quando Galeazzo Maria Sforza iniziò la coltivazione di una miniera di ferro sita nei pressi di Luzzogno.

Un vero sfruttamento intensivo, nonché estensivo, delle ampie risorse minerarie della valle partì dalla metà del XVIII secolo, sotto il governo sabaudo, quando l’interesse verso l’attività mineraria si collegò al progressivo sviluppo delle tecniche metallurgiche, soprattutto in ambito militare.

Fino all’occupazione napoleonica della Savoia del 1800, durante la quale le miniere furono sottoposte alla legge mineraria francese del 28 luglio 1791 e poi alla legge napoleonica del 21 aprile 1810, lo sfruttamento delle stesse non era sottoposto a nessun vincolo legislativo o economico, a meno che non si estraesse oro, nel qual caso era dovuto un terzo del ricavato ai conti Borromeo che avevano in giurisdizione la maggior parte delle miniere dell’Alto Novarese.

L’applicazione delle suddette leggi portò a riorganizzare l’attività estrattiva e la lavorazione del materiale estratto: le concessioni furono ora assegnate chiedendo in cambio garanzie di continuità dei lavori e di adeguamento delle modalità estrattive e si intervenne in modo di ottimizzare l’utilizzo di tutti gli impianti di lavorazione e di trasporto per evitare inutili sprechi di risorse finanziarie da parte dei concessionari.

Venendo a tempi più recenti e alla miniera di Alvani, la prima notizia certa da un punto di vista amministrativo è del 1867, anno in cui fu rinnovata la concessione di sfruttamento al Sig. Arienta e soci, che già vi estraevano minerale dal 1865.

Dal 1874 al 1907 le miniere passarono al Notaio Giovanni Ferrari, già socio del citato Arienta, cui seguì, come concessionaria, la moglie, unica erede.

Furono anni difficili, in cui l’attività estrattiva subì diverse battute d’arresto, probabilmente dovute agli alti costi di coltivazione, e l’intera area mineraria fu abbandonata quasi completamente, finché nel 1907 venne emesso un decreto di revoca della concessione, in quanto non erano state rispettate alcune norme fondamentali che regolavano il permesso di estrazione.

Nel 1911 le miniere Alvani e Pennino Grande furono messe all’incanto e aggiudicate entrambe al Barone Viktor von Hartogensis di Berlino per la somma di £ 10,050 ciascuna.

Nel 1913 fu concesso ufficialmente il permesso di iniziare i lavori di estrazione, sempre sottostando alla allora vigente legislazione mineraria del 1859.

Nel 1922 il Prefetto di Novara decretò il sequestro delle miniere alla vedova del Barone per inadempienza al decreto di concessione rilasciato al suo defunto marito. Contemporaneamente, per iniziativa dell’Ing. Vitali, ripresero alcuni lavori, ma limitatamente alla miniera Alvani.

Nel 1928 la vedova von Hartogensis rinunciò definitivamente alla concessione delle miniere di Campello Monti, che passarono nel 1935, con concessione trentennale, all’Ing. Giulio Dolcetta di Vicenza (DM 10 settembre 1935 in GU 272/1935), che diede inizio a uno sfruttamento intensivo delle miniere, nonostante le numerose difficoltà logistiche e tecniche.

Già in una relazione del 1934, contenente una programmazione di massima dei lavori che si intendevano eseguire, si accennava alle difficoltà estrattive dovute alla notevole durezza della roccia e alla problematica ricerca con metodi geofisici del minerale utile, sottolineando anche le ricerche necessarie per individuare un sistema di lavorazione del minerale che ne permettesse la massima resa (separazione magnetica, flottazione, arrostimento e fusione per metalline, elettrolisi, trattamento per lega ferro-nichelio...).

Nel 1936, con DM 14 luglio (GU 196/1936), la concessione passò alla Società Azioni Nichelio e Metalli Nobili (S.A.N.M.N.) e nel 1943, con DM 10 gennaio (GU 43/1943), alla Società Azioni Miniere Nichelio Italiano (S.A.M.N.I.), assorbita pochi mesi dopo dalla Azienda Minerali Metallici Italiani (A.M.M.I.) che la mantenne fino al 1947, anno in cui, viste le difficoltà della lavorazione e il basso tenore di minerale utile nelle rocce mineralizzate, assolutamente non concorrenziale sul mercato con le nuove miniere in Nuova Caledonia e Canada, la stessa Azienda fece domanda di revoca della concessione, di cui aveva, comunque, abbandonato la coltivazione già dal 31 ottobre 1945.

Ufficialmente l’attività estrattiva a Campello Monti, sia per la miniera di Alvani che per quella di Pennino Grande, terminò il 25 agosto 1949 con Decreto Ministeriale di accettazione della rinuncia della concessionaria (GU 251/1949).