Talco in Sardegna

La distribuzione dei siti a livello territoriale

In fig.1 è mostrata la distribuzione territoriale, articolata a livello comunale, dei 15 siti di coltivazione di talco, concentrati nella Barbagia nuorese in territorio del comune di Orani e dei comuni limitrofi (Orotelli, Sarule).

Fig. 10 - Distribuzione territoriale a livello comunale dei siti di coltivazione del talco in Sardegna

Inquadramento geologico e giacimentologico


Dal punto di vista geologico (fig. 2), l’ossatura della zona è costituita da terreni paleozoici, correlabili all’orogenesi ercinica, suddivisibili in grandi linee in rocce granitoidi e metamorfiti (micascisti, calcari metamorfosati).

I granitoidi sono arealmente più diffusi e, nel mettersi in posto, hanno indotto un metamorfismo di contatto nei terreni sedimentari preesistenti, attribuibili al periodo Siluriano-Devoniano.

Successive ai termini paleozoici sono le litologie legate al ciclo orogenico alpino, rappresentate da una spessa serie vulcano-sedimentaria costituita da lave e complessi ignimbritico-tufacei. Il quadro geologico è completato da alluvioni e detriti di pendio quaternari.

Quanto al meccanismo genetico della mineralizzazione a talco, si ritiene che all’origine vi sia un metasomatismo sodico da attribuirsi a fluidi rilasciati durante l’importante attività tettonica terziaria (40÷10 Ma), che si sono diffusi attraverso le vie preferenziali costituite da fratturazioni e faglie, di origine ercinica ma riattivate durante il ciclo orogenetico alpino, raggiungendo sia i granitoidi sia i micascisti che vengono, di conseguenza, albitizzati secondo le reazioni schematizzate in tab. 1, mentre il fluido cambia di composizione, arricchendosi in Ca, K, Fe, Al e Mg. Il contatto con le rocce carbonatiche induce anche l’aumento della concentrazione di CO2 e del valore di pH.

Dopo l’albitizzazione il metasomatismo prosegue verso la cloritizzazione (tab. 2), testimoniata dalla diffusa presenza di clorite entro i corpi albitici, per poi innescare il meccanismo di formazione retrograda del talco (tab. 3).

Nel giacimento di Sa Matta, che è il principale dell’area, sono state individuate tre zone differenziate per tipologie di minerale e situazioni geologiche:

  • Vecchio Sa Matta: in cui corpi talcosi sono ospitati all’interno delle rocce carbonatiche, in forma di ammassi lentiformi o filoniani.

I primi, economicamente più interessanti, non hanno una distribuzione omogenea, ma si presentano irregolarmente all’interno della roccia incassante, di cui spesso conservano al loro interno dei massi, più o meno mineralizzati a talco, la cui dimensione spazia da pochi decimetri fino a superare il metro; è molto comune anche la presenza di ammassi di calcite spatica di evidente ricristallizzazione.

Il talco di queste lenti è bianco o debolmente grigio verde per la presenza di clorite, sia diffusa che concentrata in piccoli frammenti. Prevalentemente microcristallino, si presenta compatto oppure scaglioso, con i piani di fissilità solitamente concordanti con le giaciture della roccia incassante; talvolta è polverulento e fortemente inquinato da calcite spatica.

In associazione con il talco ci sono la grafite, la clorite, la calcite, mentre tra gli accessori si trovano la titanite, macroscopicamente riconoscibile e le cui dimensioni possono raggiungere il centimetro; la grafite è comune e si concentra in ammassi o in piani arealmente estesi, con potenza fino al decimetro.

Gli ammassi filoniani sono strettamente legati alle giaciture delle rocce carbonatiche, sviluppandosi spesso lungo le loro discontinuità, e hanno potenza variabile da pochi centimetri fino a qualche metro.

Nonostante il talco sia generalmente molto bianco, sono difficilmente coltivabili per la scarsa potenza e la presenza inquinante della grafite.

Anche i granitoidi hanno un loro ruolo in questo tipo di mineralizzazione, in quanto sono osservabili dei contatti diretti con gli ammassi talcosi, che si esplicano con una cloritizzazione progressiva dei granitoidi, fino ad arrivare ad una fascia di clorite, con potenza da pochi centimetri fino al metro, che separa il talco vero e proprio dallo sterile.

  • Logorgai: alla periferia geografica e metamorfica dell’area coltivata, da sempre è stata oggetto di attività estrattiva subordinata, tenuto conto della prevalenza della clorite sul talco, a causa della forte presenza di granitoidi profondamente alterati. Sono coltivabili anche le estese fasce cataclastiche, costituite da un breccia di minerale immersa in una matrice molto fine, costituita anch’essa da una mescolanza di talco e clorite.

Il talco, a struttura microcristallina, è presente sotto forma di piccole concentrazioni o disperso in esili venette nella massa della clorite, anche se localmente può arrivare a concentrazioni del 50%; le masse di clorite spesso celano numerose cavità, il cui volume può raggiungere e superare il decimetro cubo e al cui interno si trovano in abbondanza quarzo, calcite e talco lamellare bianco disposto lungo la superficie delle cavità.

Nella clorite massiva sono stati rinvenuti anche alcuni piccoli cristalli globulari e ottaedrici di pirite.

  • Massa Pierino: è la parte del giacimento più importante per qualità e quantità, geometricamente assimilabile a un cilindroide con pendenza di 45° verso NW, in cui le rocce incassanti sono sempre micascisti e granitoidi (fig. 3).

A tetto si trovano generalmente granitoidi sani che si cloritizzano più intensamente con l’approssimarsi della massa mineralizzata, per poi lasciare il passo a una sequenza di transizione che vede la scomparsa graduale della clorite a favore del talco. I micascisti si posizionano di solito a letto e, analogamente ai granitoidi, nei pressi del contatto la roccia mostra un aumento della clorite.

Il talco di questa zona è compatto, spesso laminato con la frequente presenza di cristalli lamellari da millimetrici a centimetrici disposti a ventaglio in aggregati sferoidali. Il talco bianco è predominante, salvo quando sfuma verso il grigio-verde per la presenza di clorite, comunque molto subordinata. In alcune parti si può ritrovare la grafite, concentrata in ammassi compatti e, pertanto, di facile eliminazione.

All’interno della massa talcosa possono trovarsi massi carbonatici di dimensioni quasi sempre superiori ai cinquanta centimetri, oltre a una certa abbondanza di livelli carbonatici relitti talchizzati in vario grado.

Dall’esame della documentazione storica costituita dalle relazioni minerarie annuali e relativi piani di miniera in sotterraneo [1] risulta esplicitamente l’esistenza di una vena mineralizzata che unisce la “Vecchia Sa Matta” alla “Massa Pierino” al livello 380, corrispondente alla quota 400 s.l.m., in cui il minerale presenta i caratteri di entrambe le mineralizzazioni, essendo però più vicino alla mineralizzazione tipica della “Vecchia Sa Matta”.


Per quanto riguarda il secondo giacimento per importanza dell’area, Su Venosu, situato a poco più di 4 km a WNW di Sa Matta, la mineralizzazione è costituita da un banco di talco cloritico immergente con circa 30° in direzione Nord, interposto tra uno zoccolo di granodioriti, a letto, e una formazione di marmi bianchi saccaroidi a tetto del giacimento; più a E, sempre a tetto della mineralizzazione, si trovano i micascisti.

La mineralizzazione presenta caratteri più cloritici in prossimità del contatto di letto con le granodioriti, che non è netto ma transizionale e di origine metasomatica, mentre al contatto di tetto la mineralizzazione si presenta più talcosa.

Il carattere metasomatico del giacimento è, inoltre, visibile nei relitti ovoidali a zonatura concentrica presenti nei tipi più cloritici, a testimonianza della graduale trasformazione della granodiorite in clorite ad opera di fluidi circolanti.

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[1] Fino al 1966 la coltivazione avveniva anche in sotterraneo.

Tab. 1 - Reazioni di albitizzazione dei minerali preesistenti

Tab. 2 - Reazioni di cloritizzazione

Tab. 3 - Reazioni di formazione del talco

Fig. 3 - Sezioni longitudinale e trasversale della Massa Pierino (Marini, 2000)

Evoluzione temporale dell'attività mineraria


In fig. 4 è riportata l'evoluzione temporale del numero di concessioni vigenti di talco in Sardegna, di cui due ancora attive (Sa Matta e Su Venosu).

Come si osserva dall'istogramma, l’attività estrattiva ufficiale parte dopo l’approvazione del RD 1443 del 29 luglio 1927 e raggiunge il massimo delle concessioni attive (9÷10) tra il 1940 e il 1955, per calare a 5÷6 fino agli inizi degli anni ‘90; successivamente il numero delle concessioni attive si riduce prima a 3 e poi, dal 2000, alle 2 concessioni tuttora attive: Sa Matta, in particolare, con scadenza rinnovata fino al 2035.

Fig. 4 - Evoluzione temporale delle concessioni attive di talco in Sardegna

La miniera di Sa Matta

Dopo le prime ricerche effettuate dalla seconda metà degli anni ’20 del XX secolo dalla Società Anonima Enrico Tron e C., titolare della concessione limitrofa denominata Logorgai, alla stessa società venne assegnata in perpetuo la concessione Sa Matta con DM del 7 maggio 1934, pubblicato in GU 137 del 12 giugno 1934, per un estensione di 45.09 ettari.

Con DM del 26 marzo 1940, pubblicato in GU del 27 maggio 1940, la concessione venne, quindi, trasferita alla Società Talco & Grafite Val Chisone.

In avvio i lavori minerari si svilupparono a cielo aperto con la realizzazione di scavi imbutiformi gradonati e gallerie per il trasporto del minerale ai piazzali esterni. Successivamente la miniera venne strutturata per la coltivazione in sotterraneo con lo scavo del livello 392 “Annalisa”, lungo circa 600 m, che attraversava la dorsale di Sa Matta e, fungendo da galleria principale di carreggio, consentiva il trasporto del minerale estratto verso il lato Sud, dove vennero realizzati impianti di frantumazione e cernita e silos di stoccaggio.

La coltivazione avveniva per trance montanti e ripiena sciolta al piede: le trance avevano dimensioni 2x2 m ed erano normalmente armate con quadri in legno.

L’abbattaggio del minerale veniva effettuato a mano e la cernita in cantiere, con un rendimento di circa il 50%, mentre gli scarti venivano utilizzati per la ripiena con l’integrazione di sterili provenienti dallo scavo di gallerie di prestito.

Nel 1963, con DA n. 435 del 25 ottobre, l’area della concessione fu ampliata a 246.33 ettari, mentre la concessione stessa perse la perpetuità e venne assegnata per 50 anni; contemporaneamente, nell’ipotesi di un approfondimento delle coltivazioni venne iniziato, dal lato nord, lo scavo del liv. 380 “Tron”.

A inizio 1966 le coltivazioni erano ormai giunte al liv. 392, al cui piede vennero posti dei lastroni prefabbricati in cemento, nell’ipotesi di un’inversione per trance discendenti del sistema di coltivazione.

Tuttavia, nel maggio dello stesso anno si decise di passare alla coltivazione a cielo aperto e, con comunicazione al Distretto Minerario, i lavori in sotterraneo vennero fermati.

Il passaggio alla coltivazione a cielo aperto portò un incremento immediato della produttività, che passò dalle circa 10,000 ton/anno estratte in sottosuolo alle 28,000 tonnellate a cielo aperto, mediamente estratte dal 1970 in poi.

Nel 1982 concessione venne ampliata a 400 ettari, sulla base di un verbale di riperimetrazione redatto in data 11 marzo.

Dal 1990 alla Società Talco e Grafite Val Chisone subentrò il gruppo francese Talc de Luzenac - Luzenac Val Chisone, mentre nel 1991, con DA n° 117 31 maggio, la concessione fu trasferita alla Soc. Talco Sardegna, del gruppo EMSA.

Tra il 1996 e il 1997 la politica di privatizzazione dell’EMSA consentì il trasferimento di quote della concessione prima alla società Hoechst, poi alla società Luzenac Val Chisone, che nell’ottobre 1997 acquisì il pacchetto di maggioranza.

Con DA n° 91 del 20 febbraio 2002 il titolo venne, quindi, trasferito alla Soc. Luzenac Val Chisone S.p.A., da cui passò alla Imi Fabi Sardegna Srl con Determinazione n. 875 del 22 dicembre 2008, pubblicata in BURAS n. 2 del 20 gennaio 2009.

In corrispondenza alla scadenza prevista per il 25 ottobre 2013, la concessione venne prorogata con due determinazioni successive, la n. 396 dell’8 luglio 2014 per 1 anno fino al 25 ottobre 2014 (BURAS 34 del 17 luglio 2014) e la n. 594 dell’11 novembre 2014 per 6 mesi con scadenza 25 aprile 2015 (BURAS 55 del 20 novembre 2014).

Infine, con Determinazione n. 14 del 21 gennaio 2015 (BURAS 16 del 9 aprile 2015) la concessione è stata rinnovata per anni 20 dalla data della determinazione, con riduzione dell’area a 206.92 ettari.

Complessivamente, si stima che dalla concessione Sa Matta siano state estratte circa 1,200,000 tonnellate di talco di cui 150,000 tonnellate circa dalla coltivazione in sotterraneo.