Minerali piombo-zinciferi (Valli Seriana, Brembana)

Cenni storici

Come per le miniere di ferro, la tradizione fa risalire la coltivazione delle mineralizzazioni a piombo e zinco all'epoca romana, quando per i lavori minerari si faceva ricorso ai condannati “ad metalla”. A quel tempo la VaI Brembana era famosa per l’estrazione di minerali, in particolare la “Cadmia”, oggi “Calamina”, con cui si realizzavano ottoni anche se non si conosceva ancora il metallo base, lo zinco.

A partire dall'età medievale l'attività mineraria delle Valli Brembana e Seriana si è poi sviluppata attraverso i seguenti eventi principali:

  • il 29 luglio 1026, il vescovo di Bergamo, Ambrogio, scambiò i propri possedimenti in territorio di Torino, Pavia e Milano con i beni che la canonica di S. Martino di Tours aveva nella Bergamasca, in seguito a una donazione che aveva ricevuto secoli prima da Carlo Magno. Cominciò così la dominazione vescovile nell'area, che determinò anche le vicende minerarie successive;

  • tra l’XI e il XIII secolo alcune miniere “argentiere”, da cui si estraeva galena argentifera, furono al centro di vivaci diatribe tra i valligiani, il vescovo e la Città di Bergamo, in quanto i metalli preziosi erano considerati proprietà esclusiva dei principi, in particolare di quelli della Chiesa, i vescovi, in palese conflitto con gli interessi dei valligiani;

  • nel 1229, il nuovo podestà di Bergamo, il ghibellino Rubaconte da Mandello, emanò i capitoli minerari, secondo i quali tutti i prodotti minerari estratti nel territorio di Bergamo «dovevano essere condotti alla città, non potevano essere venduti fuori dalla città a persona che non fosse della giurisdizione di Bergamo, come solo in Bergamo poteva essere affinato l’argento di provenienza del territorio...». Ciò scatenò, nei decenni successivi, una serie di controversie tra Comune ed Episcopato;

  • nelle dispute intorno alle miniere argentifere i valligiani, organizzati in comunità e forti della loro professionalità in campo minerario, difesero il loro diritto alla libera estrazione e lavorazione dei metalli, mantenute per le miniere di ferro, ma limitate per gli altri metalli, in ciò precorrendo l'esperienza delle libertà comunali;

  • tra il 1427 e il 1428 il territorio bergamasco passò sotto il controllo della Repubblica di Venezia, che si adoperò «con zelo e fervore allo scoprimento delle miniere ... acciò che non restino sepolti li doni concessi dal Signore al Suo Serenissimo Stato». La repubblica veneta regolò l’attività estrattiva e metallurgica con lo Statuto minerario del 1488, affidandole al Consiglio dei Dieci che, a sua volta, le delegava a un Vicario generale, che curava le concessioni esistenti, mentre la riscossione dei proventi [1] veniva fatta dal Magistrato alle acque;

  • tuttavia, la possibilità della Repubblica veneta di rifornirsi presso miniere più vicine (Carnia, Friuli, Tirolo, Balcani) e probabilmente più ricche, causarono l’abbandono delle miniere bergamasche di piombo e zinco, dove invece ressero quelle di ferro, metallo allora indispensabile in guerra e pace. La scoperta dell'America e le conseguenti importazioni di oro e argento segnarono la definitiva chiusura delle miniere meno produttive;

  • nel 1797 la Repubblica veneta cadde e il territorio di Bergamo, dopo un periodo di alternanza tra austriaci e francesi, passò sotto il controllo dei primi;

  • tra il 1808 e il 1809, il chimico belga Jean Jacques Daniel Dony scoprì un processo termico per estrarre zinco puro dalla calamina che veniva coltivata nella miniera di Moresnet al confine tra Belgio, Olanda e Germania. Era l’origine di una delle più grandi imprese industriali dello zinco, la Società de La Vieille Montagne, costituitasi con tale nome nel 1837, che sarà una delle principali Società protagoniste delle attività estrattive zincifere in Lombardia e Sardegna;

  • nel 1860, l’ing. Signorile, inviato a dirigere l'Ufficio Montanistico di Bergamo, dopo aver analizzato i risultati delle ricerche svolte nell’area di Bondione, Fiumenero e Oltre il Colle prospettò la possibile coltivazione della Blenda;

  • nel 1888, la società English Crown Spelter Company, che già nel 1883 aveva rilevato le miniere di Gorno e Oneta dalla Ditta Richardson, arrivò a prendere il controllo di tutte le miniere piombo-zincifere delle Valli Seriana e Brembana, tranne una (Casa Conti) allora inattiva, che fu affittata dalla Vieille Montagne, che tra il 1892 e il 1894 scoprì numerosi giacimenti in Val Brembana;

  • mantenendosi favorevoli le condizioni del mercato dello zinco, le attività minerarie ebbero grande impulso cosicché, nel 1900, la produzione raggiunse le 25,887 tonnellate con una forza lavorativa forte di 1,676 occupati (fig. 1 e tab. 1), di cui 141 donne e 41 minori (31 maschi e 10 femmine);


[1] I proventi consistevano nel pagamento, da parte delle concessionarie, di una decima, corrispondente appunto alla decima parte del minerale estratto.

Fig. 1 - Grafico della produzione di minerali zinciferi e e occupati nella Bergamasca (1884-1977)

Tab. 1 - Produzione di minerali zinciferi e occupati nella Bergamasca (1884-1977)

  • seguendo le oscillazioni del prezzo di mercato dello zinco nel mercato internazionale, l'attività mineraria continuò con vicende alterne fino al 1914, quando lo scoppio della 1^ Guerra Mondiale instaurò un periodo di grande incertezza nell'attività mineraria lombarda, poiché tutte le Società Concessionarie appartenevano a nazioni belligeranti. Ma, mentre la English Crown Spelter Company e la Società Vieille Montagne superarono in breve tempo tale difficoltà, la Società Austro-Belga (in seguito Belga) non riuscì a riattivare le proprie miniere che nel 1915;

  • 1919 le concessioni della Società Belga (Corna Rossa, Cespedosio, Dossena Gialla, San Pietro d’Orzio-Dossena e San Pietro d’Orzio) passarono alla Società Prealpina Orobica, ma solo le ultime tre furono riattivate con produzione modesta;

  • nello stesso anno la Società Vieille Montagne iniziò la ricostruzione delle proprie officine belghe che, a causa della guerra, erano cadute in rovina, mentre la English Crown Spelter Co., dopo un iniziale rilancio della produzione di calamina, subì le conseguenze congiunte del deprezzamento dello zinco e della difficoltà dei trasporti dalle miniere fino a Genova e da Genova via nave per Swansea in Galles, causate dagli scioperi scoppiati in Italia nel cosiddetto biennio rosso (1919-1920) che coinvolsero pesantemente i portuali genovesi. Di conseguenza, il 30 giugno 1920 la società inglese chiuse le sue miniere, che due anni dopo furono acquisite dalla Soc. Vieille Montagne;

  • la nuova dirigenza, capitanata dall'Ing. Luigi Noble, più competente e meglio organizzata, produsse una svolta che si concretizzò con il passaggio dal processo termico a quello elettrolitico per la produzione dello zinco, sfruttando lo stabilimento francese di Viviez che dal 1924 diventerà la destinazione principale del minerale bergamasco;

  • anche gli impianti della miniera furono riammodernati, mentre venne ampliato il villaggio di Campello che diventò sempre di più il centro direttivo delle miniere zincifere bergamasche, il cui complesso prese il nome di Miniere di Gorno e fu diviso in due gruppi: Valle Seriana, a est della direttrice Crocetta-Sinelle del Colle di Zambla, Valle Brembana, a ovest;

  • furono anni di di grande rilancio della produzione di zinco che tornò sopra le 10,000 tonnellate già nel 1923 raggiungendo la quota di 13,054 ton nel 1925. L’anno successivo l’attività mineraria, in genere destinata all’esportazione, fu duramente colpita dal deprezzamento di mercato dello zinco e dalla questione della rivalutazione della lira, voluta da Mussolini a “quota 90” lire/sterlina, contro le 153,68 fissate dal mercato valutario. Di conseguenza, la produzione delle miniere zincifere bergamasche crollò a 9,764 ton (-25.20%);

  • tuttavia, gli ammodernamenti della laveria e del sistema di trasporto per teleferiche rilanciarono la produzione che, alla vigilia della grande crisi scoppiata a fine ottobre 1929, tornò sopra le 15,000 tonnellate salendo anche l'anno successivo a 17,113 tonnellate, prima di risentire nel 1931 gli effetti della crisi del '29, con una produzione scesa a 11,217 tonnellate (-34.45%), che continuò nei due anni successivi quando le miniere furono sostanzialmente chiuse fino all'accordo tra la Vieille Montagne e le autorità politiche nazionali e locali definito il 19 agosto 1933;

  • il 1935 è l’anno delle sanzioni all’Italia in seguito all’invasione dell’Etiopia e della conseguente politica autarchica fascista, che intensificò l'utilizzo delle risorse naturali nazionali, così l’occupazione nelle miniere bergamasche tornò ad assestarsi intorno alle 600 unità con una produzione di 8,378 tonnellate di calamina e 392 di galena;

  • fino al 1939 la produzione continuò ad aumentare arrivando a 15,400 tonnellate di minerali di zinco, in cui per la prima volta la blenda (8,950 ton) prevaleva sulla calamina (6,450 ton);

  • con l'entrata in guerra dell'Italia, nel 1940 il governo fascista attraverso il prefetto di Bergamo espropriò di fatto le miniere bergamasche assegnando le concessioni alla S.A. Nichelio e Metalli Nobili del gruppo A.M.M.I. (Azienda Minerali Metallici Italiani) che si sarebbe occupata della gestione diretta delle miniere e del loro finanziamento (fig. 2).

Fig. 2 - Decreto prefettizio di esproprio delle miniere Vielle-Montaigne

  • Dopo alcune vicende giudiziarie tra la Società belga e lo Stato italiano conclusesi con un accordo, nel 1942 fu fondata la S.A.P.E.Z. (Società per Azioni Piombo E Zinco), partecipata da S.A. Nichelio e Vieille Montagne, che rilevò le attività minerarie e ne proseguì la gestione, ancora sotto la direzione dell'Ing. Noble;

  • durante la guerra, la produzione continuò in misura ridotta fino al 1944, per chiudere nei due anni successivi e riaprire solo nel 1947, tornando a superare le 10,000 tonnellate nel 1949;

  • tra il 1947 e il 1950 furono potenziate le installazioni ad aria compressa, fu costruita la teleferica da Oltre il Colle a Riso integrando un sistema già esteso (Fig. 5), fu installato un gruppo Diesel ad integrazione delle tre centrali idroelettriche esistenti, furono eliminate le laverie gravimetriche di Oltre il Colle e di Oneta per concentrare tutto il trattamento del minerale in un unico grande impianto di flottazione nei pressi di Gorno, denominato “laveria il Riso”, con una capacità massima di trattamento di 700 ton/giorno;

  • poiché il numero di concessioni per un unico grande complesso minerario creava notevoli difficoltà amministrative, il Distretto di Bergamo riuscì ad ottenere, con DM del 29 settembre 1952 (GU 291/1952), il raggruppamento in due sole grandi concessioni che, riprendendo la suddivisione del 1924, furono denominate “Val Seriana” (comprendente le concessioni: Riso, Costa Jels, Casa Conti, Grina-Golla-Splazzi, Belloro e Monte Trevasco, per un totale di 4,826 ettari) e “Val Brembana” (comprendente le concessioni: Ortighera-Parina-Lavaggio-Culmine, Vaccareggio, Monte Zambla-Monte Arera, Vallavaggio, Vedra-Pizzadello e Zambla, per un totale di 3,319 ettari) ;

  • in seguito, l'A.M.M.I. acquistò il 30% delle azioni della Vieille Montagne e alla fine del 1954 trasferì sotto la propria ragione sociale le due grandi concessioni della S.A.P.E.Z., passaggio ratificato con DM del 10 dicembre 1955 (GU 47/1956 e 57/1956).

  • gli anni '60 furono ancora anni di produzione e ricerca, ma con gli anni '70 si assistette a una graduale sospensione dei lavori nelle miniere dei due gruppi per eseguire delle importanti opere di ristrutturazione e provvedere ad un nuovo accertamento delle consistenze;

  • tra il 1972 e il 1973 fu sospesa l'attività produttiva nel Gruppo Miniere Val Brembana e il personale fu impiegato in lavori di ricerca (gallerie e sondaggi nelle sezioni di Val Vedra);

  • nel 1973 anche il Gruppo Miniere Val Seriana iniziò la fase di ristrutturazione e la maestranza fu impiegata nella sistemazione e nel riarmamento della grande galleria Riso-Parina che doveva in seguito consentire il collegamento con la sezione Val Vedra della miniera VaI Brembana;

  • nello stesso anno l'A.M.M.I. S.p.A., insieme ad altre società, fu trasferita all'E.G.A.M. (Ente Autonomo di Gestione per le Aziende Minerarie Metallurgiche), a sua volta soppressa nel 1977 con conseguente passaggio delle miniere in questione all'ENI (DL 7 aprile 1977, n. 103), che per la loro gestione costituì la S.A.M.I.M. (Società Azionaria Minerario-Metallurgica), cui furono intestate le due concessioni con DM del 16 febbraio 1981 (GU 142/1981). Solo tre anni dopo, tuttavia, con DM del 2 febbraio 1984 (GU 147/1984) fu accettata la rinuncia della S.A.M.I.M. alle due concessioni.

Le miniere di Gorno

Pionieri in Val Seriana dell'attività mineraria in forma industriale furono, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, Pietro Ferrari e Bortolo Perani di Casnigo, centro della Val Gandino situato 10 km circa a sud di Gorno, che possono essere considerati i “riscopritori della calamina”.

I due, già nell’ottobre del 1852, richiesero all’Imperiale Regia Delegazione di Bergamo un permesso di scavo per le due miniere denominate Grem e Ronco (fig. 1).

Negli anni successivi le vicende politiche, economiche e sociali, connesse con il passaggio dell'area dall'Impero austroungarico al Regno d'Italia, impedirono a Ferrari e Perani di trovare finanziatori, costringendoli a uscire di scena, sostituiti dall'avvocato genovese Giacomo Sileoni, sostenuto dai banchieri Mazzoni, genovese, e Garnier, francese.

Dopo un inizio faticoso, caratterizzato dai contrasti con il Comune di Gorno, proprietario dei terreni a pascolo nell'area dei permessi di ricerca accordati (Grina-Golla e Splazzi e Costa Jels) e dal fallimento dei banchieri finanziatori, la svolta avvenne nel 1870 con l'ingaggio di un tal Lanzi, proveniente dalle miniere della Sardegna, che intervenne sullo scavo e la lavorazione, privilegiando la calamina, più friabile, scavabile e separabile dalla ganga, alla blenda, con ulteriori risparmi in fase di calcinazione, grazie al minor impiego richiesto di carbone.

La blenda, considerata alla stregua dello sterile, rimase per anni ammucchiata nelle discariche e solo molto più tardi la flottazione permise di recuperarla, almeno in parte.

All’epoca i minerali di zinco estratti nell’area bergamasca e nel resto d’Italia erano esportati all’estero in forma grezza, per mancanza di fonderie atte a estrarne il metallo.

Fu proprio il Sileoni ad ottenere, nel 1872, il permesso per costruire un forno per l’estrazione dello zinco a Ponte Nossa (3 km a E di Gorno), in una località che da allora prese il nome di “Calamina”.

Sempre nel 1872, con R.D. del 17 settembre, il Sileoni ottenne la concessione della «miniera di calamina sita nel territorio di Gorno e Oneta e precisamente nelle località denominate Pozza Pozzetta e Costa Jels», ma il 27 novembre di quello stesso anno morì improvvisamente a Ponte Nossa, lasciando le miniere in eredità alla giovane figlia Artemisa, ancora minorenne e sotto tutela della madre Luigia Porcella.

Il cambio di proprietà riattizzò i contrasti con il Comune di Gorno, portando gli Eredi Sileoni a cedere le concessioni Costa Jels, Belloro, Grina-Golla e Splazzi alla londinese Richardson & C di Avanis Richardson.

Negli anni successivi, la continua oscillazione dei prezzi di mercato dello zinco causò una crisi che, il 23 ottobre 1883, portò la Richardson & C. alla cessione delle miniere e degli impianti alla londinese English Crown Spelter Company Limited, che dal 1884 acquisì tutte le concessioni dell'area (Monte Trevasco, Monte Arera e Zambla, Vaccareggio, Dossena Gialla, San Pietro d’Orzio, Laghetto di Polzone), anch'esse gravate dalla crisi e sull'orlo del fallimento.

Solo la concessione Casa Conti, aggiudicata il 7 novembre 1888 all’asta a un tale Angelo Beretta, fu da questi ceduta in affitto alla società di Liegi Vieille Montagne: si affacciava, così, nell’area una delle più importanti compagnie del mondo per la produzione e il trattamento dello zinco, che nel 1891 chiese il permesso di costruire ed esercitare una fornace di calcinazione della calamina a Gorno, in sponda sinistra del torrente Riso.

Intanto, dopo anni di decrescita del prezzo di mercato, nel 1877 i produttori europei di zinco decisero di fare “cartello” provocando così la risalita del prezzo del metallo che arrivò alle 23 sterline/ton nel 1890.

A tale risalita corrispose, naturalmente, un rilancio dell’attività estrattiva, cui si accompagnò un analogo sviluppo nel campo dei servizi con la realizzazione della ferrovia di collegamento tra Ponte Selva e Bergamo [1] passando per Ponte Nossa (fig. 3), di teleferiche per il trasporto del minerale, di una nuova laveria a Oltre il Colle, in località Fucina Scolari, e di altri forni per la calcinazione del minerale.

Nel periodo 1891÷1894 la miniera di Costa Jels si affermò come la più produttiva dell'area, arrivando a produrre nel 1892 fino a 5,500 ton di minerale di zinco, pari a quasi il 50% del totale, mentre veniva scoperta la miniera di Vedra e Valle Vedra, concessionata dalla Vielle Montagne.

Del 1894 è pure la realizzazione del villaggio minerario di Campello (Gorno) in cui abitavano dirigenti, sorveglianti e tecnici della miniera di Costa Jels.

Gl ultimi anni del XIX secolo furono ancora caratterizzati da forti oscillazioni del prezzo di mercato dello zinco (da 14.5 sterline/ton nel 1895 a 25 nel 1899) che condizionarono l'attività estrattiva.

In questo quadro la miniera di Costa Jels rimaneva sempre la più produttiva dell’area, mentre le miniere della Val Brembana passarono in parte alla Vielle Montagne e in parte alla Società Austro-Belga.

Il nuovo secolo portò un incremento generale della produzione e degli occupati, che raggiunsero il massimo con 25,877 tonnellate e 1,676 occupati, di cui 141 donne e 41 minori (31 maschi e 10 femmine) [2].

Ma già l'anno successivo (fig. 1 e tab. 1) la nuova caduta del prezzo di mercato provocò una riduzione di produzione (-33%) e occupati (-29%).

Il 1907 fu caratterizzato dall'introduzione dei sistemi ad aria compressa e dall’avvio dello scavo della galleria che esplorava i giacimenti di Riso e Costa Jels, che prese il nome di Ribasso Riso- Parina e diventò la più lunga e importante galleria di servizio dell’intera area.

In quegli anni (1908÷194) la produzione della miniera Riso superò quella di Costa Jels, ottenuta in particolare grazie al recupero del minerale dalle vecchie coltivazioni, mediante le nuove tecniche di arricchimento messe a punto.

Gli anni della 1a Guerra Mondiale si caratterizzarono da un lato per un aumento delle domanda per scopi bellici, dall'altro per la scarsa disponibilità della mano d'opera e degli esplosivi necessari all'estrazione.

Alla lunga prevalsero gli l'aspetti negativi e la produzione fu in gran parte concentrata nella spoliazione dei vecchi cantieri già coltivati, diminuendo fino alle 7,343 tonnellate del 1918 con soli 450 occupati.

La ripresa successiva alla fine della guerra fu di breve durata e si scontrò con le conseguenze economiche e sociali della guerra: svalutazione monetaria, grande inflazione, riconversione industriale da militare a civile, disoccupazione e problema dei reduci.

Gli anni 1919 e 1920, ricordati come il biennio rosso, videro l’esplosione di scioperi, dimostrazioni e agitazioni che coinvolsero, seppure indirettamente, anche le miniere dell’area a causa degli scioperi dei portuali di Genova, con i conseguenti ritardi e impedimenti nella spedizione del minerale agli stabilimenti gallesi della Crown Spelter, che portarono tale società alla determinazione di chiudere le miniere bergamasche in cui all’epoca lavoravano 700 persone.

Nonostante l’intervento del governo italiano, le miniere chiusero il 30 giugno 1920.

Nel 1921 la produzione era calata a 3,620 ton di calamina occupando 260 addetti, in gran parte nelle miniere gestite dalla Vielle Montagne, con cui, quello stesso anno, la Crown Spelter avviò una trattativa per la cessione delle concessioni da essa gestite, fortemente incoraggiata dalle amministrazioni locali, dato il grave problema occupazionale che si era aperto con la chiusura delle miniere.

La Vieille Montagne, meglio strutturata della precedente concessionaria e con tecnici del settore migliori, decise da subito di modificare il metodo di estrazione del minerale, passando dal vecchio processo termico a quello elettrolitico, realizzato nello stabilimento francese di Viviez, che diventerà il luogo di destinazione principale del minerale bergamasco.

Fu ampliato anche il centro minerario di Campello, dove confluirono sempre di più le funzioni amministrative e organizzative delle attività.

Già in quell’anno il complesso delle miniere concessionate alla Vielle Montagne prese il nome di Miniere di Gorno, suddivise in due gruppi dalla direttrice Crocetta-Sinelle del Colle di Zambla: Val Seriana a Est e Val Brembana a Ovest.

Nel 1923 fu risistemata la miniera di Costa Jels e ne fu rilanciata la ricerca, in particolare nella zona compresa tra la strada Gorno-Oneta e il torrente Riso.

I lavori di riammodernamento generale delle miniere, all’interno e all’esterno (laverie, impianti di trattamento, trasporti), proseguirono intensamente fino al 1927, consentendo alle miniere dell’area, meglio organizzate e con costi di produzione ridotti, di fare fronte sia alla diminuzione del prezzo dello zinco in sterline che alla rivalutazione della lira voluta da Mussolini, passata d’ufficio nel 1927 da 150 a 90 lire/sterlina (quota 90) .

Le laverie Riso 1 (Oneta), ristrutturata e potenziata, e Riso 2 (Gorno) permettevano, inoltre, il trattamento di minerali calaminari e blendosi con tenori bassi (10÷17%), consentendo un aumento della produzione fino a 12,575 ton, soprattutto a carico delle lavorazioni di spoglio di vecchie coltivazioni.

L’onda lunga della crisi economica mondiale del ’29 raggiunse il comparto dello zinco in modo drammatico nel 1930, quando il prezzo del metallo scese ai minimi storici, inferiori anche a quelli del 1885 (13 sterline/ton).

Tutte le miniere dell’area ne risentirono e in molte di esse si fermarono i lavori di scavo e di ricerca.

Solo quelle concessionate alla Vielle Montagne resistettero, anche se in alcuni casi i lavori furono sospesi (Vaccareggio, Ortighera, Monte Musso) o abbandonati (Vallavaggio).

Nonostante ciò la produzione aumentò a 17,113 ton e l’occupazione si mantenne a livello di 961 unità, anche se a costo di grandi sacrifici economici dei lavoratori, i cui sindacati concordarono con la concessionaria una riduzione dei salari del 30%, 8% subito e il resto dall'anno successivo.

La crisi raggiunse il suo apice produttivo e sociale nel 1931, quando a luglio anche la Vielle Montagne decise di sospendere i lavori in miniera e negli impianti di trattamento, lasciando occupati solo gli addetti alla manutenzione e alla costruzione delle centrali idroelettriche di servizio alle miniere.

Solo nell’agosto 1933 venne raggiunto un accordo per la graduale riapertura delle miniere, a partire da quelle di Costa Jels e Riso, riapertura collegata anche a impegni del Governo per aiuti al settore e sgravi fiscali.

Non avendo il Governo rispettato tali impegni e proseguendo la crisi del settore zincifero, con il prezzo sceso a 11.73 sterline/ton, la Vielle Montagne minacciò una nuova chiusura nel 1934, tamponata dalla conferma del Governo a mantenere gli impegni presi e non ancora rispettati.

Con RD del 28 febbraio 1935 fu, quindi, istituito un «premio a favore delle miniere di zinco, continuando ad essere l’esercizio delle miniere estremamente difficile poiché il prezzo del metallo sui mercati esteri non copre i costi di estrazione ed arricchimento, mentre la sua domanda sul mercato italiano è quasi nulla per mancanza di impianti industriali e per le successive lavorazioni e trasformazioni».

Il triennio 1936-1939 fu caratterizzato da un sempre maggiore sviluppo della produzione di minerali di piombo, più favorevoli come prezzi di mercato e, soprattutto, maggiormente richiesti nel regime autarchico italiano di quegli anni.

In termini assoluti, comunque, la produzione dell’area fu sempre prevalentemente di minerali di zinco, con la blenda (8,950 ton) che per la prima volta sopravanzò la calamina (6,400 ton).

Lo scoppio della 2a guerra mondiale (1939) e l’entrata in guerra dell’Italia (1940) causò molti cambiamenti nell’attività mineraria dell’area.

Innanzitutto, l’occupazione nazista del Belgio e della Francia, paesi di riferimento della Vielle Montagne, privò l’azienda dei principali mercati di destinazione del minerale grezzo.

In secondo luogo, l’essere l’azienda concessionaria di nazionalità franco-belga, quindi di paesi nemici, fornì al Governo italiano il pretesto per l’espropriazione a favore dell’AMMI (Azienda Minerali Metallici Italiani).


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[1] La ferrovia, completata nell’agosto 1885, procurò un forte risparmio di costi e tempo per il trasporto del minerale trattato a Genova.


[2] Solo nel 1902 la legge n. 242 regolamentò il lavoro in miniera di donne e minori vietandone, tra l'antro, il lavoro in sotterraneo.

Fig. 1 - Richiesta di permesso di ricerca di Ferrari e Perani (dall’Archivio Comunale di Gorno)

Fig. 3 - Ferrovia a Ponte Nossa (1885)

Fig. 4 – Manifesto di reclutamento nell’ambito del protocollo Italia-Belgio

Gli anni successivi si caratterizzarono per le controversie giudiziarie tra la Vielle Montagne e l’AMMI, risolte nel 1942 con un atto di transazione, mediante il quale la società franco-belga rinunciò ad ogni pretesa dietro la cessione di un credito di 8 milioni di lire.

Successivamente l’AMMI costituì la SAPEZ (Società Anonima Piombo E Zinco) cui affidò la gestione delle concessioni.

Nonostante le sollecitazioni governative e le esigenze belliche, la produzione cominciò a calare, in particolare per la galena che perse circa il 30% arrivando a 660 ton prodotte.

Gli anni 1943-1944 furono caratterizzati più dalle vicende belliche e dalle loro conseguenze che dagli aspetti produttivi.

Le miniere della bergamasca si trovavano nell’area sotto occupazione tedesca e l’11 aprile 1944 i giovani minatori delle classi 1920÷1925, una settantina circa, furono deportati in Germania a lavorare nelle fabbriche e miniere tedesche, in particolare in una fabbrica di aerei sotterranea, ricavata nella miniera di sabbia porcellanica di Kahla.

Tuttavia, la produzione di galena riprese attestandosi nel 1944 a 1,254 ton, mentre per i minerali di zinco fu concentrata sulla blenda, di cui furono prodotte 9,826 ton.

La fine della guerra portò con sé l’esplodere di tutti i problemi produttivi, economici e sociali che le vicende belliche avevano fatto maturare.

Nel 1945 nel gruppo Val Seriana rimaneva attiva la sola miniera Riso, mentre a fine anno le nuove commissioni interne sindacali si accordarono con la Direzione per una riduzione del personale da 1,139 a 680 unità.

La crisi occupazionale proseguì anche nel 1946, con soli 120 occupati alla manutenzione per turni settimanali di sole 24 ore e 70 unità per le ricerche e le preparazioni limitatamente al trimestre Marzo÷Maggio.

Il 23 giugno 1946 fu firmato tra i governi italiano e belga un trattato di “scambio” tra carbone belga (200 kg/minatore) e forza-lavoro italiana (50,000 operai sotto i 35 anni) (fig. 4)

Tra questa forza-lavoro ci furono anche minatori della Bergamasca, mentre altri ripresero la via dell’emigrazione verso le miniere d’oro australiane, come già all’inizio del secolo.

Le vicende della guerra avevano causato problemi anche per le metodologie di coltivazione in senso stretto delle miniere.

La necessità di produrre piombo per le esigenze belliche aveva portato a uno sfruttamento irrazionale, “di rapina”, mentre era stato abbandonato qualsiasi piano organico di ricerca e sfruttamento, tanto che secondo il giudizio dei tecnici sarebbe stato «sconsigliabile qualunque tentativo di ripresa delle coltivazioni».

Tuttavia, la SAPEZ, anche a causa delle perdite che comunque proseguivano anche a miniere inattive, diede avvio a un programma di lavorazioni ridotte, affiancate da ricerche, nuovi programmi di coltivazione e modifiche degli impianti di trasporto e di trattamento.

Il biennio 1947-1948 fu quello del cosiddetto “Piano Marshall”, con cui gli Stati Uniti sostennero la ripresa economica dei paesi europei usciti sconvolti dalla guerra.

In questo Piano furono comprese anche le miniere italiane e nella Bergamasca l’occupazione salì a 444 unità nel 1947.

La produzione fu di 26,716 tonnellate di materiale grezzo estratto, con tenori in zinco variabili tra 9 e 13% e in piombo tra 0.8 e 2%.

Le nuove ricerche, anche su vecchi cantieri abbandonati, portarono allo scoperto 425,000 tonnellate di minerale, stimandone una presenza complessiva di più di 700,000 tonnellate.

Particolarmente importante fu l’aver inserito all’interno degli interventi previsti dal Piano Marshall la realizzazione di una fonderia elettrolitica per lo zinco a Ponte Nossa (vedi paragrafo seguente), con una capacità di trattamento di 10,000 ton/anno, che avrebbe, finalmente, svincolato l’Italia dalla necessità di esportare tutto il minerale grezzo per reimportare il metallo lavorato.

Gli anni successivi (1949-1950) furono di crescita e di stabilizzazione sia della produzione che dell’occupazione, mentre il 1951 si caratterizzò per l’emergere di nuove tensioni sociali per ragioni salariali e per questioni legate al futuro dei lavoratori impiegati nella costruzione della fonderia di Ponte Nossa, che fu ultimata nel 1952 (fig. 4).

Quello stesso anno, con DM del 29 settembre (GU 291/1952), si arrivò alla decisione di raggruppare tutte le Miniere di Gorno in sole due concessioni:

  • Val Seriana, di 4,826 ettari con 442 operai, comprendente le vecchie concessioni di “Riso”, “Costa Jels”, “Casa Conti”, “Grina-Golla e Splazzi”, “Belloro”, “Monte Trevasco”;

  • Val Brembana, di 3,319 ettari con 198 operai, comprendente le vecchie concessioni di “Monte Arera e Monte Zambla”, “Vedra, Pizzadello e Valle Vedra”, “Vallavaggio”, “Zambla”, “Vaccareggio e Cascina Vecchia”, “Ortighera Parina Lavaggio e Culmine”.


Fu cambiato anche il metodo di coltivazione, abbandonando quello tradizionale di seguire le vene mineralizzate a favore dell’abbattimento di grandi quantità di minerale.

Naturalmente questo comportò una drastica diminuzione del tenore di zinco (da 40% a 4%) e l’aumento della quantità di sterile.

Nel 1953 la nuova diminuzione del prezzo di mercato dello zinco provocò un ridimensionamento delle miniere controllate dall’AMMI attraverso la SAPEZ, che, però, riguardò solo le miniere sarde più in crisi (Monte Agruxau, Nebida, Masua e Acquaresi).

Il 1954 si caratterizzò per la definitiva acquisizione delle miniere di Gorno da parte dell’AMMI (due DM del 10 dicembre 1952, in GGUU 47/1956 e 57/1956) che incorporò al suo interno la SAPEZ, comprese le azioni ancora possedute dalla Vielle Montagne, la cui uscita di scena segnò, in qualche modo, l’inizio della decadenza delle miniere bergamasche, non più sostenute dalla potenza finanziaria, economica, produttiva e organizzativa della società franco-belga.

La fine degli anni '50 fu caratterizzata da una sostanziale stabilità di produzione e occupazione, ma con il passaggio a forme di coltivazione sempre più meccanizzate cominciò la discesa dell'occupazione.

Nel 1960 furono abbandonati i vecchi cantieri ormai esauriti, mentre le ricerche promosse non rilevarono mineralizzazioni economicamente sfruttabili.

Solo nella miniera di Monte Trevasco le ricerche del triennio 1961÷1963 portarono alla scoperta di una nuova lente mineralizzata a calamina (50x25x20 m) con tenore stimato del 5%, per coltivare la quale fu approntato un sistema a livelli e sottolivelli.

Dalla metà degli anni ’60 il declino delle miniere di Gorno si fece irreversibile.

Molte furono le ragioni alla base di questo esito: l’esaurirsi delle mineralizzazioni, i prezzi di mercato dei metalli, la scoperta di nuovi giacimenti nel mondo, più grandi, facilmente coltivabili e in paesi dalla manodopera più a buon mercato.

A tutto ciò va aggiunto il gigantismo dell’AMMI, sempre più elefantiaca a causa del proliferare di consigli di amministrazione e poltrone dirigenziali, occupate da persone caratterizzate più dall’appartenenza politica che dalle competenze professionali in materia.

Nonostante i tentativi di ripresa e i finanziamenti erogati, il 1969 fu l’ultimo anno in cui i cantieri funzionarono a pieno regime producendo circa 180,000 ton di grezzo.

Ma già alla fine di quell’anno cominciarono le chiusure dei vecchi cantieri, nonostante l’opposizione dei sindacati e delle Amministrazioni comunali.

Gli anni ’70, caratterizzati da un’alternanza di promesse e delusioni, videro l’entrata in campo dell’ennesimo carrozzone, l’EGAM (Ente Gestione Attività Minerarie), già costituito nel 1958 ma diventato operante solo nel 1971.

Dopo pochi anni di gestione fallimentare, nel 1976 l’EGAM venne commissariata e affidata a Ugo Niutti, dirigente ENI.

Il Niutti, anch’esso incompetente in materia, decise la liquidazione delle miniere bergamasche.

Le reazioni successive portarono il Governo a emanare un DL che rivedeva l’intera questione, convertito in Legge n. 48 del 26/02/1977, che a sua volta generò un nuovo DL (n. 103 del 7 aprile 1977) che soppresse l’EGAM affidando le aziende minerarie all’ENI, che a sua volta costituì per la gestione la SAMIM (Società Azionaria Mineraria Metallurgica).

Il programma messo a punto dalla SAMIM per le aziende minerarie puntava, seppure in forma mascherata, alla liquidazione delle stesse, anche perché l’ENI, di fatto il deus ex macchina, non considerava come proprio mestiere occuparsi di miniere.

E tra tutte le aziende minerarie, quelle di Gorno rappresentavano una specie di vaso di coccio di manzoniana memoria, per la perifericità e la ridotta estensione dell’area e perché non ci fu un sostegno univoco da parte delle Amministrazioni locali.

Così il 7 ottobre 1981 la SAMIM comunicò ai sindacati che a partire dal 12 ottobre avrebbe sospeso tutti i lavori minerari [3].

Nonostante i tentativi di resistenza alla chiusura, la SAMIM perseguì il suo obiettivo e gli ultimi 19 minatori abbandonarono le miniere il 31 dicembre 1982.

L’accettazione della rinuncia alle concessioni Val Seriana e Val Brembana fu ratificata con DM del 2 febbraio 1984 (GU 147/1984).


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[3] Si deve sottolineare che quando a gennaio 1981 la SAMIM cominciò a sospendere i lavori in Val Vedra solo allora si accorse di non avere la titolarità delle miniere, che le fu concessa solo con DM del 19 febbraio 1981 in seguito a domanda. Il che la dice lunga sulle condizioni in cui si operava.

La fonderia elettrolitica di Ponte Nossa


«Data la prevalente produzione di minerali di zinco in Italia in confronto alla capacità delle officine di trattamento, nel 1948 il Governo italiano, chiamato dall'E.C.A. e dallo O.E.C.E. a redigere il così detto programma(*) a lungo termine, ha proposto tra l'altro la installazione di una nuova unità per la produzione di circa 15 mila tonnellate annue di zinco elettrolitico. La costruzione di tale impianto è stata consentita alla S.A.P.E.Z. in relazione alla sua notevole produzione mineraria ed alle possibilità produttive dei giacimenti in concessione. L'impianto è stato approvato dal Comitato dei metalli non ferrosi dell'O.E.C.E. nell'ottobre 1949. Nella seduta del 28 marzo 1950 il problema è stato riesaminato dal Comitato interministeriale per la ricostruzione (C.I.R.) che si è espresso favorevolmente.

La costruzione dell'impianto di Nossa nel bergamasco, portata a termine nel maggio del 1952, ha necessariamente richiesto un grande sforzo finanziario. La spesa ha raggiunto circa 5 miliardi, di cui oltre 700 milioni coperti con autofinanziamenti e 3,250 milioni con finanziamenti a medio ed a lungo termine, tra i quali una anticipazione dell'E.C.A. di 1,400 milioni al favorevole tasso del 2.50 per cento.

Purtroppo la depressione congiunturale del piombo, dello zinco e dell'antimonio, delineatasi nella primavera del 1952 ed accentuatasi alla fine dello stesso anno, non ha consentito di far fronte con autofinanziamenti all'ulteriore copertura delle spese per Nossa.

L'impianto marcia ora a pieno regime. Negli ultimi mesi è stata superata una capacità produttiva prevista in 50 tonnellate al giorno. Larga parte della produzione è esportata negli Stati Uniti, sia in pagamento dei mutui E.C.A. sia per normali esportazioni. La marca S.A.P.E.Z. elettrolitico è nota ed apprezzata nei principali mercati mondiali ed è in corso di registrazione tra le primarie marche internazionali al London Metal Exchange». (Senato della Repubblica — II Legislatura Commissione Finanze e Tesoro 26 novembre 1953).

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(*) Programma di investimenti all’interno del cosiddetto Piano Marshall

Fig. 4 - Fonderia elettrolitica di Ponte Nossa nel 1952

Lo stabilimento entra in esercizio nel maggio 1952 per la produzione di zinco elettrolitico (35,000 t/a) ed acido solforico (40,000 t/a).

Negli anni 1968/69, per incrementare la produzione di zinco, viene installato un forno a letto fluido per il trattamento delle blende, in sostituzione dei forni a piani. Inoltre, vengono ristrutturati la centrale elettrica, la sala elettrolisi e il reparto fusione, dove si installano lingottatrici automatiche nonché una linea di produzione leghe e si aggiunge una nuova catalisi all’impianto di acido solforico.

Nel 1971, al fine di diversificare le lavorazioni, si costruisce il reparto “Polvox” per la produzione di polvere di Zn e ossidi di Zn, utilizzando come materie prime sia lo zinco elettrolitico che le “matte” di zinco provenienti dalla zincatura (circa 4,000 t/a). Nel 1982 viene fermato il trattamento dei minerali zinciferi e quindi anche la produzione dell’acido solforico. Entra in funzione un nuovo impianto di sgranellatura per la macinazione di scorie da fusione di zinco e ottone.

Nel 1985, il gruppo ENI installa ed avvia un impianto per il trattamento dei fumi d’acciaieria e la produzione di ossido Waelz(**), riconvertendo le strutture e il vecchio impianto per il trattamento dei minerali provenienti dalle miniere zincifere della zona, ormai in esaurimento. La produzione di zinco elettrolitico viene sospesa l’anno successivo, per gli alti costi di produzione e delle materie prime.

Nel 1992 viene fermata la produzione dei sali di zinco e rame, rimanendo in funzione solo l’impianto ossidi di zinco e il forno Waelz.

Nel 1994 l’impianto è ceduto ad azionisti privati e nasce la Pontenossa S.p.A., che ne prende in carico la gestione. La produzione di polvere di zinco distillata e soffiata viene interrotta, mentre l’azienda si va specializzando nel recupero dei metalli presenti nei residui in polvere derivati dalla produzione di acciaio in impianti siderurgici, affiancando la maggior parte delle acciaierie del Nord Italia, cui offre una continuativa attività di ritiro e recupero. Le polveri vengono poi commercializzate sotto forma di ossido Waelz. Durante gli oltre venticinque anni di funzionamento ininterrotto il processo di recupero è stato via via incrementato passando da 70,000 t di polveri trattate annualmente alle odierne 155,000 t, che corrispondono a circa il 70% della produzione italiana di fumi di acciaieria.


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(**) Il processo Waelz consente il riciclo delle polveri di acciaieria producendo una materia prima secondaria largamente impiegata nell’industria dello zinco

Le miniere di Gorno negli anni 2000


Alta Zinc Ltd, società mineraria australiana focalizzata nella ricerca e coltivazione dello zinco e dei metalli di base, è titolare, tramite Energia Minerals Italia, di una concessione mineraria (Monica), dieci permessi di ricerca per metalli comuni e sei istanze di permesso inerenti il Progetto Zinco Gorno.

Nonostante le miniere di Gorno abbiano cessato le attività nei primi anni '80, durante l’ultimo periodo di apertura le ricerche effettuate al di fuori delle aree minerarie storiche, tramite gallerie di prospezione e carotaggi in sotterranea, hanno individuato significative mineralizzazioni di zinco, piombo e argento in diverse aree, tra cui il giacimento Colonna Zorzone.

Le ulteriori ricerche intensive, realizzate dal gennaio 2015 su tale giacimento hanno confermato i dati storici esistenti e sono alla base della realizzazione di uno Studio di Fattibilità Definitivo (DFS) relativamente al riavvio delle attività minerarie, che prevedono il trasporto del materiale estratto da Colonna Zorzone, attraverso il tunnel Riso-Parina fino all’impianto di trattamento da realizzarsi vicino a Gorno, dove già si trovava l’impianto originale.

Il calcolo, mediante kriging ordinario, delle risorse minerarie al maggio 2017 a livello di cut off dell’1% di zinco è mostrato in tab. 2.

Tab. 2 - Gorno: risorse minerarie calcolate mediante krigaggio (maggio 2017)

A rendere il Gorno Zinc Project di particolare interesse, oltre a volumi e qualità attesi e la favorevole fase ciclica dello zinco, è la rapidità con la quale può essere avviato, anche se la partenza inizialmente prevista a fine 2018 non è stata rispettata.

L’investimento previsto di 50 milioni di euro consentirà alla miniera, una volta a pieno regime, di impiegare 250 addetti.

Vi è inoltre la possibilità che si sviluppino sinergie con il vicino complesso industriale di Ponte Nossa.