Le miniere di Allumiere

Geologia e giacimentologia

Il comprensorio Tolfetano-Cerite-Manziate, a cui appartiene il territorio di Allumiere, è racchiuso da un quadrilatero ideale delimitato dal corso del Fiume Mignone, da quello del Fosso della Mola e dal Mar Tirreno (fig. 1).

La presenza di colline alte oltre 600 m è dovuta alla più antica attività vulcanica laziale, risalente a circa 3 milioni di anni fa, che, per età e composizione chimica dei prodotti emessi, è affine alla Provincia Magmatica Toscana.

Il basamento delle formazioni vulcaniche è costituito, in prevalenza, da formazioni sedimentarie di origine marina che, con il vulcanismo, evolvono verso ambienti lagunari e continentali.

A partire da circa 1 milione di anni fa inizia l’attività della Provincia Comagmatica Romana con gli apparati Vulsino, Sabatino, Albano e della Provincia Napoletana con il Somma Vesuvio ed i Campi Flegrei.

Dal punto di vista stratigrafico, la successione dei terreni presenti nell’area inizia con i calcari marini del Complesso Basale, di età triassica-giurassica, che affiorano solo in piccolissimi lembi isolati tra Tolfa e Ladispoli o che sono stati incontrati nel corso di sondaggi profondi effettuati nell’ambito di ricerche geotermiche.

Le rocce maggiormente affioranti nell’area sono quelle del Complesso del Flysch, di età cretacica-oligocenica, costituito da terreni eterogenei sia per granulometria (da sabbia ad argilla) che per composizione (da calcareo-marnosa a quarzosa).

A partire dal Miocene (ca. 23 Ma) si passa, lentamente, dalle argille, tipiche di bacini profondi, alle argille sabbiose e quindi, alle sabbie ed alle ghiaie.

Le ricostruzioni fatte in base ai microfossili presenti ed alle strutture e sequenze sedimentarie, permettono di individuare, ad oriente di Tolfa, un bacino sedimentario subsidente colmato da flussi detritici; mentre, a ovest di Allumiere, si estendeva, probabilmente, una propaggine meridionale del Bacino di Tarquinia.

Alla fine del Pliocene (ca. 3 Ma) inizia l’attività vulcanica tolfetana, caratterizzata dall’emissione di lave viscose che tendono a formare strutture e domi vulcanici, che costituiscono l’ossatura dei Monti della Tolfa e dei Monti Ceriti.

Il sollevamento indotto dal vulcanismo è evidente nelle quote dei sedimenti pliocenici che sono stati portati fino a 400 m s.l.m.

In concomitanza e successivamente all’attività vulcanica si innescano imponenti fenomeni di circolazione idrotermale con formazione di giacimenti di solfuri e solfati.

Per quanto riguarda i depositi più recenti, rivestono particolare importanza i sedimenti riferibili al Pleistocene che affiorano tra Civitavecchia, Allumiere e Tarquinia, dalla costa fino alla media valle del Fiume Mignone.

Si tratta di depositi con granulometria variabile da argilla fino a ghiaia e ciottoli in funzione dell’ambiente di formazione, contenenti, nei termini argilloso sabbiosi, paleofaune che consentono di collocare stratigraficamente i terreni e di fare ricostruzioni paleo ambientali.


Il minerale più caratteristico coltivato in quest’area è l’Alunite (o Allumite), solfato di potassio e alluminio KAl3(OH)6(SO4)2, che si forma, insieme alla caolinite, come prodotto dell’alterazione delle rocce vulcaniche, a composizione da intermedia ad acida, da parte di fluidi idrotermali contenenti acido solfidrico (H2S) e dalla loro interazione con acque di falda e superficiali.

Normalmente si forma in cristalli di dimensioni di alcuni millimetri, solo nei Monti della Tolfa le dimensioni arrivano anche a superare il centimetro.

Dall'alunite, mediante la sua lavorazione in forni, si ottiene l'allume, in passato molto importante e insostituibile nelle industrie tessili (come fissatore per colori e per la lavorazione della lana), nella realizzazione delle stampe su pergamena, nella concia delle pelli, nella produzione del vetro e in medicina (come emostatico).

Fig. 1 - Geologia della regione Tolfetana-Cerite (Brancaleoni, 2010)

Cenni storici

Su un'eventuale presenza di miniere o di attività estrattive nella zona dei Monti della Tolfa le prime indicazioni si trovano in un elenco di stilato a Tuscania nel 1371, in cui si fa riferimento a un terreno ubicato oltre il fiume Marta vicino alle cave (ultra Martam, iuxta cavas).

Anche se non ci sono indicazioni circa la tipologia delle cave, tuttavia la localizzazione al di là del fiume Marta, secondo la prospettiva di chi stava scrivendo l'atto a Tuscania, permette di collocare il terreno nei pressi di quello che diventerà il borgo della Farnesiana, la prima area in cui si trovavano le cave vecchie di allume.

A quei tempi l’allume era una materia prima indispensabile nella tintura dei tessuti, la sola che garantisse un buon fissaggio del colore mediante un bagno preliminare.

Fino al 1264 le manifatture tessili europee dipesero dalle importazioni da vari giacimenti del Mediterraneo orientale; dopo questa data i profitti derivanti dal commercio dell’allume orientale passarono per intero ai genovesi, che si erano impadroniti delle miniere di Focea, poste sulla costa occidentale dell’Asia minore vicino a Smirne.

Il monopolio genovese dell’allume cessò due anni dopo la conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II, quando nel 1455 Focea fu presa dagli ottomani, con la conseguente espulsione dei mercanti italiani dal mar Nero e dall’Oriente e il passaggio del controllo monopolistico dell’allume in mano ottomana .

Con l’allume più caro e più raro, il mercato dei tessuti dovette prepararsi ad affrontare una difficile crisi.

Fortunatamente, pochi anni dopo, intorno al 1460, Giovanni Da Castro, commissario dello Stato Pontificio, individuò nel territorio dei Monti della Tolfa delle piante di agrifoglio che, secondo l’esperienza che aveva maturato lavorando in Oriente nel settore tessile, segnalavano la probabile presenza di alunite: piccoli scavi nel terreno confermarono la scoperta in prossimità dell'attuale centro abitato di La Bianca, nato poco dopo intorno a uno stabilimento per la lavorazione del caolino, da cui derivò il nome.

Già nel 1462 il Da Castro riuscì a ottenere dallo Stato Pontificio la concessione per l'estrazione dell'alunite con scavo a cielo aperto, tecnica che praticata per quasi tre secoli ha alterato la fisionomia del paesaggio a causa degli enormi scavi praticati sul territorio per estrarre il minerale.

Da quel momento quella della Tolfa fu per 100-150 anni la più grande industria europea, arrivando a contare a metà XVI secolo più di 700 operai, una concentrazione veramente inconsueta per l’epoca, sfruttando anche l’appoggio “politico” dello Stato Pontificio che arrivò a minacciare di scomunica chi, in Occidente, si fosse approvvigionato con l’allume di provenienza orientale.

La svolta nella produzione dell'allume si ebbe all'inizio del XVI secolo, ad opera in particolare di Agostino Chigi, detto il Magnifico, che, da appaltatore delle cave di alunite dal 1500 al 1520, spostò gli impianti di produzione ai piedi di Monte Roncone, oggi Monte delle Grazie, costruendo lo stabilimento per la lavorazione del minerale, un acquedotto e un villaggio minerario per gli operai.

Tutto il complesso acquisì il nome di "Le allumiere" e su esso crescerà poi l'attuale paese di Allumiere.

Vennero aperti numerosi fronti di cava sulle pendici a est di Monte Roncone, la Cava della Paura al margine dell'attuale località del Castagneto e la Cava del Moro o Cava del Silenzio.

Agostino Ghigi morì prematuramente nel 1520 e la produzione subì un calo, per poi riprendersi arrivando fino a 1,800÷1,900 tonnellate annue nel periodo 1560-1590, quando la Tolfa rivaleggiava per il primato produttivo con la miniera spagnola di Mazzaron, presso Cartagena, che nello stesso periodo arrivò a produrre una media 1,300 tonnellate annue.

Tra il 1578 e il 1626 l'appalto delle cave passò ai fratelli Olgiati, che ampliarono il villaggio con nuove costruzioni (la fontana Tonna) e nuovi alloggi per i sempre più numerosi operai e minatori.

Dal 1580 nuovi siti estrattivi (Cava Grande, della Gregoriana, e della Cavetta) vennero scoperti in tutta la zona del Castagneto lungo l'attuale strada che porta alla località Le Cave, dove nacque un nuovo villaggio di minatori di cui oggi sono visibili solo le rovine e che visse fino al 1700, contando una popolazione di circa 200 persone.

Nel 1702 venne aperta la cava Clementina sempre nella zona del Castagneto.

Nel 1737 al villaggio di Le allumiere fu edificato il Fabbricone, un imponente edificio a uso abitazione per più di 40 famiglie, ancora oggi abitato e in perfetto stato conservativo (fig. 2).

Sempre alle pendici dei monti del Castagneto, che risulterà poi la zona con i più ricchi giacimenti dei Monti della Tolfa, dal 1745 fu scoperta l'alunite alla Castellina, alla Cava dei Romani e a Rotella.

Nel 1750 le prime tre cave aperte al Castagneto si esaurirono, ma non prima di aver realizzato la massima produzione con scavo a cielo aperto.

Tra il 1719 e 1743, ebbe l'appalto per l'estrazione, Fortunato Gangalandi, che diede il via nel 1725 allo scavo di un nuovo filone presso la Cava Gangalandi, oggi meglio conosciuta come Cavaccia, la più imponente di tutte, così grande che negli anni '60 fu impiegata come set cinematografico per film western, poichè si presentava come un canyon con pareti verticali di oltre 50 metri d'altezza.

Nel 1788, l'industria dell'allume dei Monti della Tolfa, ebbe un nuovo tracollo per via della scoperta dell'allume artificiale ad opera del francese Jean Antoine Chaptal, conte di Chanteloup (figg. 3, 4).

Per recuperare in competitività, nel 1815 venne abolito il sistema di scavo a cielo aperto, ritenuto ormai troppo dispendioso (inutili movimenti di terra e impiego di troppi operai e animali da tiro), e si decise di passare allo scavo in galleria, che avrebbe permesso un migliore sfruttamento dei filoni con poco materiale di scarto, oltre a garantire la continuità temporale dell’estrazione, che non sarebbe più stata condizionata dalle condizioni meteorologiche avverse.

A tale scopo venne assunto alla direzione delle cave Paolo Masi, già direttore di alcune miniere di zolfo in sotterraneo in Romagna, il quale, accettando l'incarico, portò con se alcuni operai romagnoli per istruire i minatori locali alla nuova tecnica estrattiva.

In un primo momento gli operai di Le Allumiere si rifiutarono di scendere in sotterraneo, malgrado le istruzioni e le rassicurazioni sulla sicurezza da parte dei colleghi romagnoli; solo successivamente, vinta la paura, gli allumieraschi cominciarono a lavorare in galleria.

Il primo lavoro in profondità, di cui si hanno notizie, fu quello di pozzo Gustavo, realizzato prima del 1850 a 400 metri a sud/ovest della parete della Cava Gangalandi, sulle pendici di Monte Urbano.

Dal pozzo, profondo poco più di 50 metri, fu scavata una galleria (denominata Cesarina) che a 100 metri di distanza intercettò un filone di alunite che, sviluppandosi in modo obliquo, portò i minatori nuovamente all'aria aperta in direzione della Cava Gangalandi.

A partire da questa prima, il sottosuolo venne percorso in tutte le direzioni e su più livelli da numerose gallerie, alcune delle quali, per migliorare la ventilazione, fecero capo al Pozzo Gustavo o alla Cava Gangalandi o a piccoli pozzi sparsi nell'attuale bosco del Faggeto.

La miniera, dapprima chiamata Masi in onore dell'ingegnere romagnolo primo appaltatore dell'attività in sotterraneo, fu in seguito denominata Miniera di Santa Barbara.

Altre miniere in galleria vennero aperte nelle vicinanze: in Val Perella, sui fronti della Cava Gangalandi e della più antica Cava Grande al Castagneto.

Nel 1868 Adolfo Klitsche De La Grange, commissario delle miniere, inviato dalla Reverenda Camera Apostolica, scoprì tre nuovi giacimenti sul versante ovest della località Le Cave, denominati Provvidenza, Trinità e Nord.

Nel 1870, con il passaggio dell’area sotto il controllo dello Stato italiano, l'intera industria dell'allume passò alla Societè Financière de Paris, che trasferì lo stabilimento di produzione a Civitavecchia.

All’epoca, tuttavia, la produzione si era già notevolmente ridotta rispetto al boom di quasi un secolo prima, a causa dell'ormai bassa richiesta di mercato.

Con il nuovo regime minerario instaurato dal RD 1443 del 29 luglio 1927, le concessioni La Bianca, già concessione vaticana dal 16 febbraio 1857 assegnata alla Società Romana Caolini A. Tagliacozzo e C. per anni 50 e successivamente prorogata fino al 9 gennaio 1932, e Provvidenza, aggiudicata in seguito ad asta pubblica del Regio Demanio il 22 settembre 1873 alla Compagnie General de l'Allum Romain, furono confermate con la facoltà di estrarre oltre all’alunite anche il caolino, la prima con DM del 3 ottobre 1930 per anni 50 a partire dal 9 giugno 1932 (GU 264/1930), la seconda in perpetuo con DM del 10 giugno 1930 (GU 214/1930), entrambe trasferite a favore della Società Italiana per le industrie minerarie e chimiche.

Fig. 2 - Il Fabbricone ad Allumiere

Fig. 3 - Frontespizio del manuale di chimica di Chaptal

Fig. 4 - Metodo di produzione dell’allume artificiale (da Elementi di Chimica di Luigi Brugnatelli, Venezia 1800)


Successivamente, il nuovo stabilimento e le due concessioni, con DM del 12 dicembre 1939 (GU 25/1940), vennero trasferite alla "Montecatini, Società generale per l'industria mineraria e chimica", che nel 1941 decise di cessare la produzione di allume e chiudere definitivamente tutte le miniere e le cave sui Monti della Tolfa.

Dal punto di vista amministrativo, tuttavia, le concessioni Provvidenza e La Bianca rimasero vigenti e vennero trasferite alla società Italcementi con DM del 12 settembre 1956 (GU 278/1956), con la facoltà di estrarre oltre all’alunite anche il caolino.

Da quella data le due concessioni sono state oggetto dei seguenti atti amministrativi:

  • La Bianca:

- Decreto dell'Ingegnere capo del Distretto minerario di Roma del 2 novembre 1983 di riduzione dell’estensione da 1579.60 a 290 ettari, con proroga della concessione per 30 anni dall'8 giugno 1982

- Determinazione del Direttore del Dipartimento economico e occupazionale della Regione Lazio, n. 826 del 22 aprile 2008, di accettazione della rinuncia della concessionaria, presentata con istanza 11 gennaio 2005.

  • Provvidenza:

- Determinazione del Direttore del Dipartimento economico e occupazionale della Regione Lazio, n. 781 del 1° aprile 2009, con cui cessa la perpetuità della concessione per cui viene fissata la scadenza al 9 giugno 2029, salvo proroghe, e ne viene ridotta l’estensione da 3133 a 280 ettari.