Miniere e lotta partigiana

in Friuli

1-2 maggio 1945: i tragici fatti di Ovaro


Nel 1941 durante l'invasione dell'Unione Sovietica, le forze armate tedesche e italiane incorporarono alcune decine di migliaia di volontari cosacchi nella Wehrmacht, nelle Waffen-SS e nel Regio Esercito. In cambio essi avrebbero goduto di ampie autonomie nei territori di provenienza, e provvisoriamente anche in altre parti d'Europa, qualora gli eventi bellici avessero reso "temporaneamente" impossibile il rientro sulle loro terre.

Una di queste aree ("Kosakenland in Norditalien") promesse dai tedeschi fu individuata nella Carnia dove i cosacchi parteciparono alla repressione della Resistenza antinazista, replicando nei villaggi la loro organizzazione sociale, gli stili di vita e le cerimonie religiose. Tolmezzo divenne la sede del Consiglio cosacco, il comune di Verzegnis quella del capo supremo delle forze cosacche, l'atamano Pëtr Nikolaevič Krasnov, mentre alcuni paesi vennero ribattezzati con i nomi delle città russe (Alesso fu ribattezzata in Novočerkassk, Trasaghis in Novorossijsk, Cavazzo in Krasnodar).

Le vicende della guerra presero, però, una piega diversa e la sconfitta dei nazifascisti in Italia e nel resto d’Europa segnò anche la fine della “Repubblica cosacca”, segnata da un episodio tuttora controverso.

Il 1° maggio 1945, le truppe cosacche di stanza nel paese di Ovaro intavolarono una trattativa con i gruppi partigiani[1] locali per stabilire la fine formale delle ostilità.

L’accordo raggiunto prevedeva la resa del presidio cosacco e la consegna delle armi, ma al momento stabilito, invece di cedere le armi, i cosacchi aprirono il fuoco su quanti erano convenuti all’appuntamento.

«I partigiani decisero quindi di far valere le proprie ragioni con la forza e programmarono di attaccare il contingente cosacco il giorno seguente.

All’alba del 2 maggio 1945 fu minata la caserma cosacca di Chialina, una frazione di Ovaro, nella quale avevano trovato alloggio anche donne e bambini; dopo l’esplosione si contarono 42 morti e 26 feriti gravi; altre fonti attestano la morte di 23 vittime.

Forti di questa prima vittoria i partigiani si diressero verso Ovaro e qui cominciò una vera e propria battaglia, con lanci di bombe incendiarie sul municipio nel quale si erano asserragliati i cosacchi.

La notizia del combattimento raggiunse in breve tempo il comando cosacco di Tolmezzo che inviò prontamente un reggimento di cavalleria in rinforzo al presidio di Ovaro», strategicamente importante dato il suo posizionamento sulla direttrice prevista per il ripiegamento di tutto il contingente verso l’Austria.

Le truppe cosacche sopraggiunte presero i partigiani alle spalle li misero in fuga, rimanendo totalmente padroni del campo.

Rabbiosi per l’attacco partigiano e i suoi esiti, disperati per non avere più una patria futura, i cosacchi iniziarono una feroce azione punitiva a danno della popolazione locale ritenuta complice dei partigiani.

«Vennero uccisi 26 abitanti di Ovaro, furono date alle fiamme molte case e saccheggiate un centinaio di abitazioni. La repressione proseguì nei paesi che si succedevano lungo il percorso della ritirata cosacca verso l’Austria, come a Comeglians dove per rappresaglia vennero uccise ancora altre persone»[2].

Tra i morti di Ovaro ci fu l’ing. Rinaldo Cioni, partigiano e Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale della Val di Gorto, nonché Direttore della locale miniera di carbone (Cludinico), ruolo in cui era sempre riuscito ad assicurare il proseguimento dell’attività estrattiva e nello stesso tempo il sostegno alle forze partigiane, sia per i rifornimenti che per la possibilità di ricovero e lavoro nei mesi invernali, quando la sopravvivenza in montagna diventava impossibile.


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[1] Secondo alcune testimonianze non si trattava di partigiani regolari inquadrati nei gruppi resistenti locali, ma soprattutto di personaggi, anche maggiorenti locali, comparsi dal nulla, che non avevano partecipato alla Resistenza e volevano guadagnare meriti attraverso un'azione eccezionale per saltare sul carro dei vincitori.

[2] I periodi in corsivo sono tratti dalla scheda Ovaro dell’Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia