Trabia - Tallarita

Cenni storici e giacimentologici

Derivata dall’unificazione delle zolfare Trabia e Tallarita, l’omonima miniera, detta anche “Solfara Grande”, è situata sulla SS 190, tra Riesi e Sommatino, circa 8 km a NO di Riesi, in corrispondenza del fiume Salso che divide il bacino solfifero in due parti, Trabia a Ovest e Tallarita a Est.

Pur se i primi scavi nell’area risalgono probabilmente al XVII secolo, quando è segnalata una forte immigrazione di lavoratori da altri comuni siciliani, il primo atto ufficiale risale al 14 luglio 1823 quando fu emanato il Decreto di Aperiatur a favore del Principe Fuentes per la zolfara Tallarita, mentre per la zolfara Trabia, aperta per diritto di proprietà dal Principe di Trabia, non si segnala un Decreto di Aperiatur, anche se è certa un’attività estrattiva significativa a partire dal 1830.

Quest’ultima si articolava in tre zone di lavoro - Solfara Perrerella (Solfarella), Solfara Galleria Ercole e Solfara Grande - che insieme formavano la più grande e importante miniera della Sicilia, dando lavoro a circa 1,000 operai già nella seconda metà del XIX secolo.

I tre cantieri appartenevano allo stesso giacimento, pur se divisi da “ammurrature” [1], rappresentate da uno strato sterile di rocce tra Solfarella e Galleria Ercole, e da un brusco ripiegamento con rottura che separava Solfara Grande dalle altre due.

La formazione solfifera era completa, andando dal Tripoli a letto ai trubi a tetto.

I tenori di zolfo erano elevati in presenza di ganga gessosa, mentre diminuivano quando compariva l’arenaria, chiamata dagli zolfatari “Arenazzulu”.

Il giacimento solfifero si presentava in affioramento lungo la cresta della montagna, per poi affossarsi con pendenza quasi verticale che si attenuava gradualmente fino a 40°-50° circa.

Di conseguenza, dopo i primi lavori eseguiti sugli affioramenti, si cominciò a scavare in profondità fino a sotto la quota del fiume, con i conseguenti problemi di infiltrazione delle acque.

Durante i lavori in affioramento, a Solfara grande si sviluppò un enorme incendio che trasformò tutto il sottosuolo in un enorme “calcarone”, originando un’illimitata colata di zolfo fuso che per molti decenni permise l’estrazione di questo minerale allo stato puro.

Nel 1883 si arrivò a scavare il quarto livello, a circa 16 metri dalla bocca del pozzo “Vitello Vittorio” e a una profondità di 100 metri; la ventilazione avveniva in modo naturale dal pozzo S. Luigi che, al secondo livello, si collegava alla scala di riflusso, denominata “Trabia”.

Nella miniera lavoravano circa 160 picconieri divisi i due turni e quasi 500 trasportatori, pagati “a cottimo” o, come dicevano gli stessi minatori, “a partito”.

In seguito al tragico incendio avvenuto il 27 luglio 1883, che causò la morte di 39 minatori, la miniera venne temporaneamente chiusa, per essere riaperta nel 1888 in affidamento al sig. Arcarese che ne assunse la direzione insieme al capomastro sig. Scalia.

Nel 1889 alla Solfarella gli scavi avevano raggiunto la profondità di 130 metri e da essi si estraeva lo zolfo insieme alle rocce incassanti.

A seconda dei tenori in zolfo si distinguevano quattro tipologie:

  • “vanella” o “vaniddruzza”: zolfo ricco con tenori > 24%;

  • “ranni”: zolfo di media ricchezza con tenori tra 16 e 24%;

  • “mpitrata”: zolfo povero con tenori tra 10 e 16%;

  • “bastarda”: calcare insolforato con tenori < 10%.


Per estrarre lo zolfo puro si usavano i calcaroni, che dal 1850 avevano sostituito le calcarelle, inefficienti e troppo inquinanti, ma dal 1898 risultava presente in miniera anche un forno Gill a quattro celle.

Il materiale residuo dopo la cottura, denominato “ginisi”, veniva disperso lungo le rive del fiume Salso, mentre i pani di zolfo, la cosiddetta “basula”, dopo il 1904 erano inviati con la funicolare alla stazione ferroviaria di Ravanusa, caricati sul treno e trasferiti al porto di Licata da cui, tramite piroscafi e navi cisterne, venivano esportati in tutto il mondo.

Dalla fine del 1890 la gestione della miniera venne affidata alla Ditta del mantovano Gedeone Nuvolari, che aveva maturato notevoli esperienze nel settore dei lavori di costruzione dei tunnel alpini e già operato nella miniera Trabonella.

A collaborare con Nuvolari venne chiamato l’ing. Giuseppe Luzzatti che nel 1900 succedette allo stesso Nuvolari, il quale mantenne, fino al 1913, la gestione della teleferica Trabia - Stazione di Ravanusa.

Il progetto di allacciare le zolfare di Trabia-Tallarita con la stazione di Campobello-Ravanusa per mezzo di una linea funicolare aerea fu presentato dalla ditta Nuvolari all’inizio del 1900 e approvato entro il 1902.

I lavori di costruzione durarono circa 2 anni e il 24 aprile 1904 fu inaugurata la funivia, che aveva le seguenti caratteristiche:

  • un unico allineamento della lunghezza di 9,800 metri;

  • 75 castelletti in ferro, alti tra 6 e 25 metri e distanziati da un minimo di 50 metri a un massimo di 600 metri;

  • cavi con diametro da 26 a 29 mm per il tratto in andata con benne piene, 21 mm per quello di ritorno;

  • 170 benne pesanti 200 kg a vuoto e capaci di portare 250 kg, distanziate di 1.20 m con avanzamento alla velocità di 2 m/min

  • due motori a vapore Seilbahn di Kassel, ciascuno con potenza pari a 60 HP, posti alla stazione di arrivo Campobello-Ravanusa.

Dal 1907 al 1920 la miniera passò alla gestione della Società Mineraria Siciliana, che nel 1926 cambierà denominazione e si chiamerà Imera e successivamente Società Val Salso.

Intanto, a seguito del RD 1443/1927, furono confermate le concessioni di Tallarita (DM 16 novembre 1934 in GU n. 4 del 5 gennaio 1935), con annessa la solfara Principessina (Aperiatur 6 gennaio 1906 a favore del Principe Fuentes), a favore dei condomini rappresentati dal principe Sosthenes Pignatelli de Aragon, e Trabia (DM 10 aprile 1936 in GU n. 115 del 18 maggio 1936), a favore delle signore Donna Giulia Florio, Donna Giovanna Lanza Branciforti Principessa di Paternò e Donna Sofia Lanza Branciforti Principessa Borghese, rappresentate dal Principe Gian Giacomo Borghese.

Successivamente, con Decreto Assessoriale del 21 novembre 1948 le miniere Trabia e Tallarita furono concesse per 30 anni alla succitata alla Soc. Mineraria Val Salso.

Nel 1952 cominciò la costruzione dell’impianto di flottazione che, dal 1955, che sostituì i vecchi impianti di arricchimento dello zolfo tramite fusione.

Il 20 agosto 1957 la miniera fu sede di un altro drammatico incidente [2] causato dallo scoppio di una sacca di grisou, che causò la morte di 12 lavoratori, tra cui il giovane ingegnere Giuseppe Catalano, trentenne vice direttore della miniera (fig. 1).

Il disastro provocò l’abbandono della coltivazione nei livelli più profondi e l’unificazione, a partire dal 1960, della gestione delle due miniere, comunicanti attraverso i livelli 33° di Tallarita e 24° di Trabia.

Passata all’Ente Minerario Siciliano (EMS) in data 27 agosto 1964 a norma della L.R. 2 dell’11 gennaio 1963, poi dal 1967 alla Società Chimico-Mineraria Siciliana (SO.CHI.MI.SI SpA) collegata all’EMS, l’attività cessò nel 1975 in osservanza della L.R. n. 42 del 6 giugno.

Prima della definitiva chiusura, venne costituito un istituto per la formazione e l’addestramento professionale dei minatori, denominato C.A.M. (Centro Addestramento Minatori).


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[1] Interruzioni della mineralizzazione a zolfo dovute a faglie, fratture, isterilimenti.

[2] «...dall’aprile 1957 al 14 febbraio 1958, solamente nelle miniere di zolfo della provincia di Caltanissetta, si sono avuti circa trenta morti e oltre 95 feriti...» (dall’interrogazione del deputato Scalia ai Ministri dell’Industria e del Lavoro, 19 febbraio 1958).

Fig. 1 - La pagina dell’Unità con la notizia dell’esplosione del 20 agosto 1957 a Trabia-Tallarita

La ferrovia Canicattì-Riesi-S. Michele di Ganzaria

Concepita per collegare alla rete ferroviaria principale le tre miniere più importanti della zona (Grasta, Trabia-Tallarita, Gallitano) e togliere dall'isolamento in cui versavano i comuni attraversati, il lavori per il tratto Canicattì-Delia-Sommatino cominciarono nel 1914 ed erano quasi ultimati, quando ci fu la prima interruzione a causa della Prima Guerra Mondiale.

Ripresi sotto il regime fascista tra gli anni Venti e Trenta, fu costruito il tratto fra Sommatino e Riesi.

Anche questa volta però, nel 1940, a lavori quasi ultimati, l’Italia entrò in guerra, il ferro divenne strategico per la Patria e così i binari non furono mai posati. Terminato il conflitto i lavori furono ripresi, ma il destino dell’opera, con l’inarrestabile declino dell’industria zolfifera siciliana, era ormai segnato.

Fu completato solo il tratto da Canicattì a Riesi, mentre il rimanente tronco del progetto originario, Riesi-Mazzarino-San Cono-San Michele di Ganzaria, rimase solo sulla carta.

Allo stato attuale, il tracciato Canicattì-Delia è quasi interamente sparito, cancellato dall’antropizzazione del territorio.

Nell'abitato di Delia la stazione è facilmente rintracciabile, per quanto in totale stato di abbandono, e il seguente tratto fino a Sommatino, ancora interamente esistente, attraversa le contrade Grasta e Mercato Bianco, senza presentare punti di particolare interesse, sia ambientale che costruttivo.

Passata Sommatino, la cui stazione è in evidente stato di degrado, e proseguendo verso Riesi s’incontrano, invece, molte opere d'ingegneria e l’imponente miniera di Trabia.

In soli 21 km (fig. 2), il percorso della ferrovia attraversa 15 gallerie e 11 viadotti, scavalca 6 valloni, supera il fiume Salso, descrive una spirale su sé stessa, coprendo in galleria un dislivello complessivo di più di duecento metri.

L’elemento più significativo dell'intera tratta è proprio questa galleria elicoidale, lunga 1200 m, non facilmente individuabile, essendo i due accessi seminascosti dalla vegetazione, sul versante sud-ovest del Monte Stornello.

Per quanto riguarda la possibilità di recupero della ferrovia a scopo turistico-ecologico, i rilievi effettuati nel 2004 dall’associazione Greenways hanno evidenziato criticità economiche a causa del totale abbandono e della mancanza di manutenzione dell’opera con conseguenti crolli di gallerie e viadotti, che potrebbero essere bypassati solo da lunghi e impervi percorsi alternativi.

Per queste ragioni, nella lista degli itinerari cicloturistici da realizzare la Canicattì-Riesi è stata inserita nelle linee di secondo piano dalla Provincia di Caltanissetta.

Fig. 2 - Percorso del tratto ferroviario Delia-Riesi