Zolfo in Sicilia

La distribuzione dei siti a livello territoriale e l'evoluzione temporale dell'attività estrattiva

In fig.1 è mostrata la distribuzione territoriale, articolata a livello comunale, dei 661 siti di estrazione dello zolfo in Calabria, distribuiti tra le province di Agrigento (264 siti), Enna (172), Caltanissetta (162), Palermo (48), Catania (13) e Messina (2).

Rimandando alla pagina di Storia dello zolfo in Sicilia gli approfondimenti, in fig. 2 è mostrata l’evoluzione temporale del numero di concessioni vigenti, in cui si osserva come l’attività estrattiva, già in atto in tempi storici (109 concessioni attive al 1870), aumenti costantemente fino all’emanazione del RD 1443 del 29 luglio 1927 (409 siti nel 1925).

Come specificato in premessa, dopo il 1927 sono stati registrati nel database solo i siti successivamente confermati con concessione. Ciò spiega la brusca riduzione di siti che nel 1930 sono solo 209, in aumento fino ai 267 siti del 1940.

Pur in discesa, il numero di siti rimane elevato (183) fino al 1965, anno del DPR 1713/1965 (GU 151/266) che trasferisce la proprietà delle miniere e delle loro pertinenze dallo Stato alla Regione Autonoma siciliana.

La forte diminuzione del numero di siti tra il 1965 e il 1970 (21 siti) è dovuta alla scelta di porre il 1965 come data di chiusura dei siti trasferiti con il DPR 1713/1965, di cui non si ha traccia di attività successiva.

Da questa data la crisi dello zolfo siciliano diventa irreversibile e, in un difficile equilibrio tra dismissioni dei siti e misure di difesa e mantenimento dell'occupazione (vedi Storia), si arriva all definitiva chiusura delle miniere di zolfo, sancita dalla L.R. n. 34 dell'8 novembre 1988.


Fig. 1 - Distribuzione territoriale a livello comunale dei siti di estrazione dello zolfo in Sicilia

Fig. 2 - Evoluzione temporale del numero di concessioni vigenti di zolfo in Sicilia

Geologia e giacimentologia

La crisi di salinità del Messiniano


Nel 1961 una campagna di rilevamento sismico del fondo del Mediterraneo rivelò l’esistenza di un livello sismico fortemente riflettente a una profondità compresa tra 100 e 200 m al di sotto del fondo marino, con caratteristiche di elevata velocità delle onde sismiche; quasi dieci anni dopo, nel 1970, le trivellazioni eseguite dalla nave oceano-grafica Glomar Challenger rivelarono trattarsi di un livello di sedimenti evaporitici, con spessore fino a 3 km, depositatisi nel tardo Miocene, piano Messiniano (5.9÷5.3 Ma), nel corso di un evento cui fu dato il nome di crisi di salinità del Messiniano.

A distanza di quasi 60 anni dalla scoperta, l’interpretazione dell’evento è ancora controversa; tuttavia, partendo dall’esistenza di dati non ambigui circa l’ambiente di deposizione di mare profondo per i sedimenti pre-evaporitici, che testimoniano dell’esistenza di un bacino mediterraneo profondo pre-crisi, e le caratteristiche delle evaporiti, tipiche di ambienti di acqua bassa, il modello oggi prevalente (Marco Roveri et al., 2014) è quello “deep-basin shallow-water”, di seguito descritto (Kenneth J. Hsü, 1977).

All’inizio del Miocene, dopo la congiunzione di Eurasia e Africa alla fine del Cretacico, esisteva ancora una connessione tra Atlantico e Indo-Pacifico che andò sparendo tra Miocene iniziale e medio (ca. 16 Ma).

Nello stesso periodo i movimenti tettonici, che portarono alla fusione tra Eurasia e Africa, sollevarono le montagne (Alpi dinariche ed elleniche) provocando la separazione del Mediterraneo da un mare interno dell’est europeo, la Paratetide (14-15 Ma).

Dopo la chiusura della connessione con la Paratetide, il Mediterraneo fu privato degli apporti di acqua corrente da parte dei fiumi euroasiatici e nello stesso tempo non poté più scaricare in Paratetide l’eccesso di evaporiti disciolte nelle sue acque.

Per quanto riguarda le connessioni del Mediterraneo con l’Oceano Atlantico ad Ovest, le ultime furono gli Stretti Betic e Rif, che cominciarono a chiudersi alla fine del Miocene medio (fig. 3).

Con la chiusura [1] finale delle aperture con l’Atlantico nel tardo Miocene (5.9 Ma), l'isolamento e il conseguente serio deficit idrografico resero inevitabile la crisi di salinità del Mediterraneo.

Le campagne sismiche hanno evidenziato la presenza di due strati di evaporiti: le Evaporiti inferiori su cui poggiano in discordanza le Evaporiti superiori, (costituite in prevalenza da dolomite, gesso e anidrite) e le marne.

I dati siciliani, in particolare, suggeriscono un’evoluzione a due stadi della crisi di salinità messiniana, tipica anche di altri bacini mediterranei.

Dopo una prima essiccazione, le evaporiti inferiori sono precipitate, nell’ordine di solubilità Calcite → Gesso e Anidrite Salgemma Sali di magnesio e potassio, fino all’accumulazione di spessi depositi di salgemma e sali potassici e magnesiaci sui fondali più profondi dei bacini mediterranei.

Verso la fine della deposizione del salgemma, essendo cessato l’apporto di soluti a causa del completo isolamento del Mediterraneo dall’Atlantico, le relative concentrazioni crollarono a causa della deposizione mentre aree estese delle periferie dei bacini emersero.

Le acque continentali e quelle meteoriche locali formarono ruscelli salini erodendo il sale primario e alimentando le acque dei centri dei bacini ancora sommersi, creando così le condizioni per nuovi depositi di sale secondario al centro dei bacini salini, in discordanza con la serie evaporitica sottostante.

Come dimostrano i dati geologici raccolti, l’ambiente deposizionale subì un drastico cambiamento nel tardo Messiniano prima dell’inondazione marina Pliocenica che riempì nuovamente il Mediterraneo.

Piccole variazioni di concentrazioni portarono a condizioni di sedimentazione ciclica, mentre gli ultimi sedimenti del tardo Messiniano furono marne deposte in corpi acquatici stagnanti.

Esistono dati di questo periodo che testimoniano di ambienti di alta salinità; allo stesso tempo esistono testimonianze della presenza di una serie di laghi di acqua dolce e/o salmastra. Per questa ragione è stato proposto il termine “Lago Mare” per descrivere l’ambiente mediterraneo nel tardo messiniano prima della sedimentazione marina pliocenica.


Si ritiene che l’apparizione di tali corpi di acqua dolce, abbastanza rapida e in assenza di fattori climatici scatenanti, sia da collegarsi a una riorganizzazione del sistema idrogeologico europeo, in particolare all’inondazione del mediterraneo da Est da parte di acque della Paratetide, come indicato dall’improvviso comparsa di acque dolci o salmastre e dalla presenza in Mediterraneo di fauna tipica di quell’area.

I sedimenti pliocenici del mediterraneo posti sopra il Messiniano, sono di ambiente marino profondo emipelagico (1,000-1,500 m), la qual cosa conferma la fine della crisi di salinità con l’inondazione pliocenica.

La essiccazione del Mediterraneo di 5.5 milioni di anni fa non ha generato solo un enorme deposito di evaporiti ma ha avuto anche un grande impatto sul mondo moderno, sul paesaggio mediterraneo, sul cima globale e regionale, sull’evoluzione e distribuzione di piante e animali.

L’attuale fauna mediterranea, infatti, è simile a quella del Pliocene, ma molto diversa da quella del Miocene.

Le periodiche conversioni di mari interni in terre emerse permise la migrazione di animali terrestri, come testimoniano numerosi ritrovamenti di scambi tra Europa e Africa nel Messiniano. Con l’inondazione pliocenica gli animali bloccati nelle isole mediterranee rimasero isolati e svilupparono endemismi.

Analogamente, i cambiamenti climatici associati alla crisi di salinità [2] hanno provocato evoluzioni più sottili ma altrettanto significative nelle piante.

Infine, gli studi biochimici suggeriscono che la separazione evolutiva scimmia-uomo cominciò nel Messiniano 5 o 6 milioni di anni fa, periodo in cui in Kenya apparve il primo ominide.

Ci si può chiedere, quindi, se questa «sia una coincidenza o se l’espansione di ambienti tipo savana al tempo della crisi di salinità abbia promosso l’evoluzione dell’ominide?...» (Kenneth J. Hsü et al., 1977)



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[1] La chiusura fu dovuta alla coesistenza di diverse cause, tra cui il movimento delle placche terrestri avrebbe svolto un ruolo, ma non esclusivo. Secondo una recente teoria (Ohneiser et alii, 2015), basata sui risultati di 60 perforazioni effettuate lungo i bordi del continente antartico e nell'Oceano meridionale, durante il Messiniano vi fu un importante aumento di ghiaccio sul continente antartico e questo avrebbe progressivamente ridotto il livello degli oceani, facendo emergere i fondali marini più superficiali, tra cui le barriere rocciose che dividevano la Spagna dall’Africa (Gibilterra).

[2] In particolare, uno spostamento verso una maggiore aridità delle aree circum-Mediterranee.

Fig. 3 - Connessioni Atlantico-Mediterraneo nel Miocene medio

Formazione gessoso-solfifera


La successione stratigrafica messiniana composta dalle evaporiti deposte durante la crisi di salinità precedentemente descritta, viene denominata Formazione gessoso-solfifera”, che in Italia si ritrova, più o meno completa, in tutte le aree che sono state interessate dalla crisi di salinità: principalmente in Sicilia, Calabria, Marche e Romagna, ma anche in Lazio, Campania, Puglia, Abruzzo, Toscana e Piemonte.

Nel Bacino Centrale Siciliano (Fossa di Caltanissetta), dove ha raggiunto la sua maggiore espansione e diffusione, come testimoniato dalla distribuzione geografica delle miniere di zolfo (fig. 1), la serie gessoso-solfifera assume l’aspetto rappresentato schematicamente in fig. 4, con a letto la formazione tripoli (Messiniano pre-evaporitico), costituita da un’alternanza ritmica di strati diatomitici e marnoso-calcarei di spessore da decimetrico fino a metrico, e a tetto i sedimenti di ambiente “Lago-mare” e i trubi, formazione del Pliocene inferiore costituita da depositi marnosi-argillosi-calcarei di ambiente marino aperto.

Più esplicitamente, la Serie Gessoso-Solfifera è costituita, dal basso verso l’alto, dalle seguenti unità litologiche:

  • Calcare di Base, costituito da calcari evaporitici, sottilmente laminati di colore bianco o grigio chiaro, con presenza abbondante di zolfo;

  • Gesso inferiore (Formazione di Cattolica), del tipo balatino (alabastro), costituito da straterelli di gessi microcristallini e argille;

  • Salgemma e Sali di potassio e magnesio, in forti banchi nelle aree marginali dei bacini di deposizione

  • Gesso superiore (Formazione di Pasquasia), caratterizzato da più cicli di gessi alternati ad orizzonti argillosi nei quali si intercalerebbero localmente corpi olistostromici, ascrivibili a paleoambienti lagunari e di salina con attigue foci fluviali.



Fig. 4 - Sezione tipica della formazione gessoso-solfifera nel Bacino Centrale Siciliano (Ziegenbalg, 2010)

La formazione dello zolfo nativo


La presenza concomitante di sostanza organica nella formazione tripoli e del sovrastante gesso è all’origine dello zolfo nativo.

In condizioni povere di ossigeno, la sostanza organica produce idrocarburi, tra cui il metano, che tende a migrare verso l’alto finché giunta nei sovrastanti gessi (CaSO4 2H2O), in ambiente più ossigenato, innesca alcune di reazioni chimiche (1) che portano alla formazione di 2 molecole di calcite (CaCO3) e 2 di zolfo nativo (S) a partire da due molecole di gesso, spiegando così la presenza di zolfo nel calcare.

2(CaSO4•2H2O)+2CH4 → Ca(HS)2+CaCO3+CO2+7H2O 2CaCO3+2H2S+6H2O | 2H2S+O2 → 2S+2H2O (1)


Mentre è generalmente accettata la genesi diagenetica dello zolfo a partire dalla trasformazione (riduzione) del solfato in calcite e zolfo nativo (calcare solfifero), molto più dibattuto è, allo stato attuale, il momento in cui sarebbe avvenuta tale trasformazione rispetto al tempo della deposizione dei solfati.

Si definiscono, infatti:

  • epigenetici i depositi caratterizzati dal rimpiazzamento dei minerali di solfato con zolfo secondario e carbonati in conseguenza del processo di dissoluzione delle acque meteoriche e l’azione di solfobatteri successiva alla prima diagenesi e al compattamento delle rocce sedimentarie;

  • singenetici quelli che si formano per processi similari durante la sedimentazione o nelle prime fasi diagenetiche.


Secondo alcuni studiosi (Wessel 1994) la deposizione di zolfo per via singenetica può verificarsi solo in ambienti sedimentari confinati, sia marini che lacustri, e non è, pertanto, economicamente significativa.

Al contrario, per Dessau (1962) i depositi siciliani economicamente significativi sono principalmente se non esclusivamente, di origine singenetica.

Tuttavia, recenti studi (Ziegenbalg, 2010 [3]), basati sulla composizione isotopica di zolfo, ossigeno e calcio (34S, 18O, 13C) dei calcari solfiferi e dei solfati hanno individuato in campioni di roccia solfifera siciliana entrambi le origini (fig. 5):

  • epigenetica nei punti 1 (Monte Drasi) e 2 (Monte Muculufa)

  • singenetica nei punti 4 (Contrada Gaspa) e 5 (Monte Capodarso)

  • entrambe le origini nel punto 3 (Cozzo Disi)

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[3] Formation of secondary carbonates and native sulphur in sulphate-rich Messinian strata, Sicily.

Per una sintesi delle conclusioni si veda il pdf scaricabile.

Fig. 5 - Campionamento per l’analisi isotopica delle rocce solfifere nel bacino centrale siciliano