Lotte sindacali

nelle Marche

1950-1960: un decennio di lotte sindacali contro la chiusura delle miniere di Cabernardi e Percozzone


Nell'immediato dopoguerra, tra il 1947 e il 1949, la produzione delle miniere di Cabernardi e Percozzone riprese a crescere, tornando quella di Cabernardi ai valori pre-bellici.

Nel secondo semestre del 1950, lo scoppio della guerra di Corea e la conseguente concentrazione dello zolfo americano sul mercato interno, liberarono lo spazio per lo zolfo italiano sul mercato internazionale, tanto che l’O.E.C.E. (Organizzazione Europea di Cooperazione Economica, antesignana dell’UE) chiese quasi il raddoppio della produzione italiana entro il 1952 (400,000 tonnellate).

Tuttavia, le miniere di Cabernardi e Percozzone non poterono trarre grande beneficio dalla situazione, dato il livello di esaurimento a cui era giunto il giacimento, secondo le ricerche prive di significativi risultati effettuate dalla Montecatini nelle aree circostanti il giacimento in coltivazione.

Le conseguenti prospettive di riduzione dell’attività e dell’occupazione suscitarono un naturale malcontento e uno stato di agitazione sindacale e sociale, vista l’importanza che la miniera aveva avuto negli ultimi decenni, rappresentando sostanzialmente l’unica occasione di lavoro sicuro per tutta l’area circostante.

Tutte le forze politiche locali (DC, PCI, PSI, PSDI, PRI) e sindacali si ersero, quindi, a difesa della miniera costituendo comitati cittadini e il 2 luglio 1950 i sindacati indissero la 1^ Conferenza di Produzione di Cabernardi, in cui venne definita la linea da seguire per la difesa e il potenziamento delle risorse minerarie locali.

In assenza di una volontà di confronto da parte della Montecatini, a metà marzo 1951 iniziò quella che fu definita la “lotta dei 100 giorni”, una forma di non collaborazione attuata con sospensione del lavoro a turno che causò una forte riduzione della produzione (-35%).

La Società rispose decurtando i salari del 10% e togliendo la 14a mensilità ai sorveglianti che avevano aderito alla protesta, che, tuttavia, non si fermò fino al 12 luglio, giorno in cui si conclusero le trattative di natura squisitamente sindacale: riforma del cottimo, aumento salariale, 48 ore di lavoro settimanale per tutti.

Rimanevano invece irrisolte le questioni relative alla miniera e al suo futuro e la Montecatini era sempre decisa a mollare non solo la miniera di Cabernardi ma lo zolfo in quanto tale, avendo individuato nella chimica legata al petrolio il proprio futuro, come testimoniava l’apertura a Ferrara nel 1950 del primo complesso petrolchimico europeo.

Il 3 maggio 1952 la Montecatini pubblicò un rapporto in cui si affermava che l'area mineraria era in via di esaurimento e si prospettava una riduzione della produzione e quindi della manodopera; l'optimum sembrava essere un quantitativo di 400-500 tonnellate giornaliere, che implicava la decisione di procedere a 860 licenziamenti, corrispondenti a più del 50% della manodopera occupata a fine 1951 (1,630 unità).

Nonostante la conseguente sollevazione sindacale e popolare, la Montecatini proseguì nella sua politica di smantellamento e l'attività di Percozzone cessò di fatto nel 1952, mentre quella di Cabernardi proseguì con occupazione ridotta: 400 minatori furono licenziati e 500 progressivamente trasferiti tra il 1952 e il 1964 ad altri impianti e/o miniere della Montecatini (stabilimento petrochimico di Pontelagoscuro a Ferrara, miniere siciliane, miniere di pirite in Toscana, miniere trentine) .

Nel 1954 erano rimasti in miniera 200 minatori che produssero 9,455 tonnellate di zolfo.

Negli anni seguenti la manodopera e la produzione andarono via via a ridursi, fino alla chiusura definitiva del 5 maggio 1959.

La definitiva accettazione della rinuncia avverrà solo nel 1963 con DM del 3 settembre (GU 303/1963) riguardante le tre concessioni di Cabernardi, Percozzone e Caparucci.