Organizzazione del lavoro nelle miniere di zolfo del XIX secolo

Gestione del lavoro e contratti di esercizio nel XIX secolo

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È probabile che le prime zolfare siano state scoperte e lavorate dagli stessi contadini, che a poco a poco giunsero a creare una speciale categoria di lavoratori che provvedeva a tutte le operazioni di estrazione, fusione e trasporto dello zolfo.

Nei primi decenni del XIX secolo l’organizzazione dei lavori era in gran parte affidata ai cosiddetti “picconieri-partitanti” [2] che consegnavano lo zolfo fuso un tanto a cantaro.

I modesti capitali necessari all’impresa mineraria venivano forniti dagli amministratori delle terre, la scoperta e la lavorazione dei giacimenti restavano affidate agli operai, picconieri e loro carusi, mentre intermediari, denominati speculanti, curavano il trasporto e la vendita degli zolfi.

Le zolfare venivano lavorate manualmente a cielo aperto o a piccola profondità con il semplice uso dei picconi, mentre l’esplosivo [3] sarà introdotto solo dopo il 1850, usando la barramina per realizzare i fori da mina e limitandolo ai casi in cui la ganga era un calcare durissimo.

A metà del XIX secolo la profondità media delle zolfare era di soli 19 metri, ma crebbe rapidamente ai 50 metri del 1870 e agli 80 metri del 1890, con un massimo di 195 metri raggiunto in sole due miniere [4].

I primi lavori di ricerca consistevano in gallerie fortemente inclinate ma percorribili, dette buche o scale, scavate per lo più nelle rocce del tetto fino a incontrare il presunto strato zolfifero.

I campi minerari venivano bucherellati senza regola e attraverso questi vuoti si eseguiva il trasporto del minerale che necessariamente quindi doveva essere eseguito “a spalla”.

Verso la metà del secolo XIX quella che divenne la celebre miniera Trabonella non era che un labirinto di caverne e di buchi di talpa e la grande Lucia un campo immenso tormentato in mille punti.

Fino ad oltre la prima metà del secolo XIX non esistevano piani di lavorazione, non si scavavano, se non eccezionalmente, pozzi e gallerie, non si impiantavano macchine per l’eduzione delle acque e l’estrazione del minerale.

Tantomeno la coltivazione avveniva sulla base di una conoscenza geologica e giacimentologica, così quando i giacimenti coltivati erano interrotti da fratture, faglie, pieghe, isterilimenti, denominate “ammurrature”, venivano abbandonati.

Isolata nelle zone centrali dell’isola, dove mancavano le strade ferrate e rotabili, affidata a persone che non avevano nessuna di quelle cognizioni che formano il normale corredo di ogni ricercatore e coltivatore di miniere, l’industria zolfifera siciliana rimase a lungo estranea a qualsiasi progresso tecnico.

Anche il trasporto dello zolfo dalle miniere ai porti d’imbarco si compiva esclusivamente a dorso di mulo, per distanze che in qualche caso raggiungevano i 70-80 chilometri.

Ad eccezione di Palermo, Catania e Messina, gli altri punti d’imbarco (Porto Empedocle, Siculiana, Terranova di Sicilia, Licata e Palma Montechiaro) non erano porti ma semplici spiagge, in cui i caricatori erano costretti, anche d’inverno, a entrare nell’acqua fino al petto portando “a spalla” lo zolfo da caricare sulle barche che lo trasportavano ai velieri sui quali veniva trasferito alla rinfusa.

Insieme con l’approfondimento delle coltivazioni, si diversificarono le attività degli operatori minerari tra esterno e interno della miniera.

All’esterno operavano gli addetti alla fusione dello zolfo, articolati in caricatori, arditori addetti all’accensione e scaricatori dello zolfo fuso; all’interno, oltre ai picconieri, i trasportatori dello zolfo all’esterno, spesso ragazzini in tenera età, i cosiddetti “carusi”.

Contemporaneamente, l’intermediario speculante si trasformò in imprenditore, organizzatore dell’impresa che prendeva in affitto la miniera dietro corrispettivo di una quota della produzione [5].

Tra i minatori cominciò ad affermarsi, invece, la figura dei capomastri, che, in assenza di tecnici ed esperti minerari, venivano chiamati dai proprietari o dai gabelloti ad assumere il ruolo di direttore delle miniere.

Ancora negli anni ‘60 del XIX secolo, solo le zolfare con esercenti esteri (Colle Croce, Gebbiarossa, Grottacalda, Colle Madore) e, tra le miniere con esercenti locali, Sommatino e Floristella facevano ricorso a tecnici minerari, in attesa che dalla Scuola mineraria di Caltanissetta, inaugurata nel 1864, cominciassero a uscire i periti minerari locali.

L’ingegner Brunfaut [6] notava che il modo di trasporto del minerale fuori della miniera “era ancora il medesimo di quello usato in Etruria prima dell’occupazione romana, con questa differenza essenziale che in Etruria il trasporto si effettuava a dorso di uomo e in Sicilia si faceva a dorso di fanciulli”.

In effetti, ancora nel 1865 erano solo quattro le miniere provviste di gallerie di carreggio: Montagna Vecchia (Aragona), Sangiovannello e Montelongo (Casteltermini), Galleria Ercole (Sommatino)

Tuttavia negli anni l’industria zolfifera siciliana si evolse: vennero installati i primi impianti a vapore per l’eduzione delle acque e, a partire dagli anni 1867-1868, nelle più importanti zolfare si realizzarono i primi pozzi verticali, con profondità da 60 a 120 metri, dando inizio al mutamento del sistema di estrazione.

Nel 1875 apparve il primo macchinario a vapore destinato all’estrazione del minerale, installato nel piano inclinato della solfara Sartorio di Lercara, cui seguirono quelli di Giona, Tumminelli, Gibellina, Lucia ed altri; nel 1898 nella zolfara Tallarita venne attivato il primo impianto di estrazione con motore elettrico, seguito, un anno dopo, da quello allestito nella miniera Trabonella.

L’evoluzione tecnologica fu, comunque, lenta e difficile, ostacolata dalle condizioni del sottosuolo, interessato dalle precedenti caotiche coltivazioni.

Costretta a passare ai lavori in sotterraneo, l’industria zolfifera siciliana adottò il metodo delle coltivazioni per camere e pilastri, seguito dall’abbattimento dei pilastri e degli archi da questi sostenuti, metodo di facile esecuzione nel primo periodo di lavorazione, ossia mentre si tracciavano negli strati vergini le gallerie alle quali si dava un’ampiezza che variava secondo la natura del minerale.

Naturalmente, estendendosi il campo di lavorazione cresceva notevolmente la pressione su ciascun pilastro, diminuiva la loro resistenza e la lavorazione della miniera diveniva pericolosissima, rendendo impossibile il loro abbattimento regolare. Se si poterono evitare, e non sempre, grandi disastri fu solo perché, riconosciuto il pericolo, gli operai si ritiravano in tempo.

Con il franamento dei pilastri si verificavano spesso incendi determinati dallo sfregamento dei blocchi di minerale in caduta, in particolare quando le rocce incassanti erano molto silicee.

Vi erano operai specializzati, detti “picconieri di cadute”, che, dopo il franamento dei pilastri e del tetto, si occupavano di recuperare lo zolfo contenuto nelle frane, operazione che prendeva il nome di “spigolamento”.

Questo recupero non era episodico, ma strutturale, e poteva durare anche decine di anni, attraverso un reticolato di gallerie, ricavato nelle frane per asportare il minerale rimastovi.

Senza tale recupero il rendimento della miniera non avrebbe superato il 33% del minerale esistente.

Il metodo a camere e pilastri permetteva l'inizio immediato della coltivazione di un giacimento appena scoperto, si adattava al carattere di provvisorietà che ebbero per lungo tempo le coltivazioni di molte zolfare siciliane, permetteva la coltivazione di giacimenti di qualsiasi inclinazione, potenza e tenore, non richiedeva l'impiego di capitali per impianti e per la preparazione, né di legname e neppure la spesa per riempimenti, mentre quella per l’eduzione veniva fatta solo mano a mano che si abbatteva nuovo minerale.

Ma questo sistema comportava gravi problemi. Oltre all’intrinseca pericolosità (tab. 1), la produzione subiva variazioni continue: bassa nella fase di tracciamento delle gallerie di un nuovo pannello, aumentava con l’estendersi del lavoro di tracciamento fino al massimo durante il periodo di coltivazione dei pilastri, nulla in seguito al franamento e nel periodo di assodamento delle frane, ricominciava con il recupero dello zolfo nelle frane.

Si è già accennato in premessa all’estrema frammentazione delle miniere di zolfo siciliane, originata dallo sminuzzamento della proprietà superficiale e dal regime fondiario che regolamentava l’attività mineraria siciliana precedente al DPR 1443/1927, dalle condizioni geologiche dei giacimenti spesso affioranti e dalla loro frequente fratturazione di origine tettonica, dalla facilità iniziale delle coltivazioni.

Nella sua relazione per il 1886, l'ingegnere delle miniere di Caltanissetta pubblicò una carta dimostrativa (fig. 1) della zona zolfifera della Sicilia contenente l'indicazione di 567 zolfare delle quali 191 inattive, 72 coltivate in economia e le restanti 304 date in gabella.

Le 567 zolfare erano riunite dimostrativamente in 150 gruppi, ciascuno dei quali, secondo il relatore, avrebbe potuto essere convenientemente oggetto di gestione unica.

Quando, attorno al 1870, veri e propri industriali incominciarono a interessarsi alle zolfare, sembrò più economico pagare una rendita col sistema degli affitti che comprare le miniere, poiché l'acquisto avrebbe imposto fin dall'inizio un rilevante peso sotto forma di ammortamento e di interesse del capitale d'acquisto.

L'affitto delle zolfare veniva generalmente concesso dietro corrispettivo di una parte dello zolfo ottenuto dalla fusione del minerale estratto, denominata quota di gabella, variabile da un minimo del 12% a un massimo del 40% del prodotto, mediamente il 20% o il 22%, a seconda che si trattasse di un giacimento vergine o di una zolfara già coltivata, del grado di fertilità della miniera, dell'importanza degli impianti esistenti, delle prospettive del commercio dello zolfo, della distanza dai luoghi di imbarco.

Il sistema della rendita proporzionale alla quantità dello zolfo prodotto poté generalizzarsi con poche eccezioni, con preferenza sul sistema della rendita fissa e su quello della rendita proporzionale al valore, per la particolare composizione della massa dei coltivatori, per grande parte piccoli imprenditori, generalmente sprovvisti di mezzi finanziari, che preferivano corrispondere una quota del prodotto anziché direttamente una somma di denaro, fissa o proporzionale che fosse.

La durata dell’affitto era generalmente limitata (da 4 a 15 anni, in genere 9), anche se era frequente il rinnovo con lo stesso gabelloto ed era consentita, altresì, la cessione dell’esercizio, previo accordo con la proprietà.

Poiché nella maggioranza dei casi, come già ricordato, il canone era proporzionale alla produzione, era comprensibile che i proprietari spingessero perché questa fosse sempre al massimo, soprattutto nei periodi di alto prezzo dello zolfo sui mercati.

Questo produceva una sovrapproduzione nei periodi di alto prezzo che saturava il mercato, facendo, di conseguenza, abbassare i prezzi.

L'impossibilità di ottimizzare la produzione in funzione di una stabilità del mercato dello zolfo fu, quindi, fra le cause principali delle frequenti crisi che caratterizzarono l'andamento di questa industria.

Da parte del gabelloto, invece, c’era la tendenza di adeguare la coltivazione della miniera ai propri interessi, garantendosi l’estrazione del minerale più ricco, indipendentemente dall’ottimizzazione della gestione della miniera.

La condizione per la quale tutte le opere, anche esterne, costruite dal gabelloto dovevano passare gratuitamente alla fine della gabella ai proprietari della miniera, la breve durata della gabella, il frequente avvicendarsi dei gabelloti in una stessa miniera, l’oscillazione incessante dell'andamento economico dell’industria zolfifera siciliana, spiegano la scarsità delle costruzioni esterne e l'assoluta mancanza di alloggi per gli operai, anche nelle miniere distanti parecchi chilometri dai centri abitati.

Inoltre, per la scarsezza di capitale mobile nella generalità degli esercenti e la mancanza di forme associative degli imprenditori, dato il carattere dei siciliani generalmente diffidente e ribelle a ogni associazione industriale, le opere permanenti e gli impianti erano per lo più inadeguati a un normale esercizio minerario.

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[1] Il contenuto di questo paragrafo deriva in gran parte dal testo di Federico Squarzina “Produzione e commercio dello zolfo in Sicilia nel secolo XIX”, ILTE (Torino, 1963)

[2] Il picconiere-partitante o capopartito gestiva direttamente il contratto con l’esercente per conto di un gruppo di picconieri alle sue dipendenze.

[3] L’esplosivo usato prevalentemente era polvere pirica, spesso prodotta dagli stessi minatori. La dinamite sarà introdotta solo molti anni dopo e limitatamente alle grandi miniere, le uniche che avevano la possibilità di realizzare depositi secondo i dettami di legge.

[4] Negli stessi anni, nelle miniere di zolfo delle Marche e della Romagna, le profondità raggiunte erano molto maggiori arrivando a massimi di 276 metri in coltivazione e superando i 400 metri in ricerca.

[5] Gabella, da cui la denominazione di gabelloto per l’esercente della miniera.

[6] Jules Brunfaut, ingegnere francese che per qualche periodo lavorò presso la Société des Soufres de Girgenti, autore di un trattato enciclopedico dal titolo De l’exploitation des Soufres, pubblicato nel 1874.

Tab. 1

Fig. 1 - Distribuzione del numero di miniere di zolfo attive nel 1886 (da tab. XIX in Squarzina, 1963)

Il lavoro dei “carusi” nell’inchiesta Franchetti-Sonnino del 1876


Adduma Pe’

Io quann’era nico mi scantava allo scuro, la notte soprattutto coi temporali. Appena potìa me curcavo co’ papà e mammà, mi sintìa protetto, me parìa che me vulevano bene; invece iddri, proprio iddri a 7 anni me vendettero pe’ quattro soldi a u’ picconaro. E’ da sette anni che io, che me scantavo allo scuro, campo allo scuro, mangio allo scuro, dormo allo scuro, porto quello che ‘u picconaro scava, fino a 70 chili di petra de sulfaro int’ ‘a gerla in capo ‘e spalle. Me trascino in ginocchio fino ‘a nisciuta, scarico fora senza rapire l’uocchi, la luce du munnu me li può bruciare, poi scenno chiano ‘n quest’inferno. Simmo spettri ca p’ ‘o caldo travagliano nudi, respirano polvere, mangiano ‘n mezzo a mierda.

Io n’avessi a stare ‘ca, Peppe n’avesse a stare ‘ca, avessimo essere a jocare, a scola, avessimo essere vivi tra i vivi, se solo ci fosse giustizia, ma ‘na legge che ne protegge ancora non c’è e il nostro destino è di sparire allo scuro.

Astuta Pe’

Lamento di un caruso (Istituto ARCHIMEDE (Cammarata – S. Giovanni Gemini – Casteltermini)



Nel 1876 due politici toscani, ma di impronta meridionalista, futuri deputati nazionali, Leopoldo Franchetti [7] e Sidney Sonnino [8], redassero una relazione destinata a passare alla storia, intitolata Inchiesta in Sicilia, che rappresenta la prima indagine documentata sulle condizioni sociali ed economiche dell’Isola dopo l’Unità d’Italia.

Colpiti dalla miserevole condizione economica e sociale dei “carusi” delle zolfare, al termine della relazione vollero aggiungere un capitolo, definito appunto “Capitolo supplementare” e intitolato “Il lavoro dei fanciulli nelle zolfare siciliane”, spinti, come testualmente si afferma in avvio di capitolo, da un punto di vista umanitario.

Quello che segue è lo stralcio, pressoché completo, di tale capitolo.


Inquadramento della tematica


Non tratteremo nelle seguenti pagine delle zolfare siciliane dal punto di vista puramente economico o industriale, ma da quello umanitario, dicendo più specialmente del lavoro dei fanciulli che vi sono impiegati.

Il nostro intento è soltanto di recare una testimonianza di più a schiarimento dei termini di fatto di una questione già stata dibattuta nei giornali, e che il maledetto spirito di partito, che tutto infesta in Italia, ha fatto il possibile per intorbidare...

Esporremo soltanto e senza commenti i fatti che abbiamo veduto coi nostri occhi in parecchie miniere grandi e piccole situate in luoghi diversi delle due provincie di Girgenti e di Caltanissetta...fatti (che attestano, NdR) ... quello che avviene ogni giorno in centinaia di miniere al cospetto di tutti, e che in Sicilia non è ignorato da nessuno.

  • Le zolfare in Sicilia

Le miniere di zolfo in Sicilia variano moltissimo le une dalle altre... I metodi però di estrazione dello zolfo sono simili in quasi tutte le miniere, ed eguale è pure la condizione dei minatori, tanto uomini che ragazzi, così nelle zolfare grandi come nelle piccole. Solo in alcune poche e grandissime, si sono scavati pozzi verticali di estrazione per tirar fuori il minerale con macchine di vario genere; e talvolta pure vi si vede qualche rara galleria a leggiero declivio, per cui si estrae il minerale sopra carrette che corrono su rotaie, e che sono o spinte a braccia, o mosse per trazione funicolare da argani situati alla bocca della miniera.

  • Impiego dei fanciulli

Però anche nelle zolfare dove l’estrazione del minerale fino alla bocca della miniera si faccia in tutto o in parte con mezzi meccanici, il lavoro dei fanciulli si adopera per il trasporto dello zolfo dalle gallerie di escavazione fino al punto dove corrisponde il pozzo verticale o la galleria orizzontale; come pure sopra terra per il trasporto del minerale dal luogo ove resta ammucchiato in casse (mucchi di minerale di 2m di lato x 1 di altezza, NdR), fino al calcarone, ossia la fornace dove vien fuso... il lavoro di fanciulli consiste nel trasporto sulla schiena, del minerale in sacchi o ceste, dalla galleria dove viene scavato dal picconiere, fino al luogo dove all’aria aperta si fa la basterella (raccolta, NdR) delle casse dei diversi picconieri, prima di riempire il calcarone.

  • Contratti coi picconieri

Il lavoro dei picconieri... viene pagato a fattura, ossia a tanto per cassa, il picconiere dovendo consegnare il minerale sopra terra nella prossimità dei calcaroni, e ammucchiato sul luogo che gli vien designato dai capimastri della zolfara. Nelle zolfare maggiori l’amministrazione tratta però generalmente non coi singoli picconieri, ma con dei capipartito o partitanti; i quali alla loro volta stipulano patti diversi coi singoli picconieri. A questi partitanti si concede pure talvolta oltre il prezzo convenuto per le casse di minerale, una compartecipazione nello zolfo che si ritrarrà da quelle casse, finita la fusione nel calcarone. Ciò si fa per poter diminuire le spese di sorveglianza ed evitare le frodi, sia nella qualità del minerale di cui si formano le casse... Il partitante dà ai singoli picconieri lo stesso acconto che riceve lui sulle casse di minerale, riservando per sé il guadagno della compartecipazione nello zolfo fuso; o più spesso dà loro qualcosa di meno anche sul prezzo delle casse; oppure li paga a giornata, ma calcolando questa a tanti viaggi di ragazzo. Con quest’ultimo mezzo egli può meglio sindacare la quantità e la qualità del minerale che produce ogni picconiere, poiché volta per volta esamina la cesta del ragazzo, e lo rimanda indietro quando il contenuto non sia di sua soddisfazione: è poi naturalmente il ragazzo quello che ne busca.


Il lavoro dei carusi


Comunque sia di ciò, o che il padrone della miniera tratti direttamente coi picconieri, oppure coi partitanti, è sempre il picconiere che pensa a provvedere i ragazzi necessari per eseguire il trasporto del minerale da lui scavato, fino a dove si formano le casse. Ogni picconiere impiega in media da 2 a 4 ragazzi. Questi ragazzi detti carusi, s’impiegano dai 7 anni in su; il maggior numero conta dagli 8 agli 11 anni.

Essi percorrono coi carichi di minerale sulle spalle le strette gallerie scavate a scalini nel monte, con pendenze talora ripidissime, e di cui l’angolo varia in media dai 50 agli 80 gradi. Non esiste nelle gallerie alcuna regolarità negli scalini; generalmente sono più alti che larghi, e ci posa appena il piede. Le gallerie in media sono alte da circa metri 1.30 a metri 1.80, e larghe da metri 1 a metri 1.20, ma spesso anche meno di metri 0.80; e gli scalini alti da metri 0.20 a 0.40; e profondi da metri 0.15 a 0.20.

I fanciulli lavorano sotto terra da 8 a 10 ore al giorno, dovendo fare un determinato numero di viaggi, ossia trasportare un dato numero di carichi dalla galleria di escavazione fino alla basterella che vien formata all’aria aperta. I ragazzi impiegati all’aria aperta lavorano 11 a 12 ore. Il carico varia secondo l’età e la forza del ragazzo, ma è sempre molto superiore a quanto possa portare una creatura di tenera età, senza grave danno alla salute, e senza pericolo di storpiarsi. I più piccoli portano sulle spalle, incredibile a dirsi, un peso di 25 a 30 chili; e quelli di sedici a diciotto anni fino a 70 e 80 chili.

Ogni viaggio comprende l’andata e il ritorno. Il numero dei viaggi che fa ogni ragazzo in un giorno varia molto, secondo le profondità così diverse delle miniere e delle gallerie. Citiamo un esempio, che togliamo a caso dai molti che abbiamo appuntati. A G... visitammo una galleria di 44 metri di profondità verticale sotto il livello della bocca d’entrata. Per portar fuori il minerale i ragazzi percorrono 100 metri sotto terra, e 50 metri all’aria aperta. La discesa è in alcuni punti ripidissima, la galleria stretta, e gli scalini dei più incomodi. Un ragazzo fa in media 29 viaggi al giorno. La miniera essendosi incendiata, il calore dell’aria nel punto dove si raccoglie lo zolfo è di 38° Réaumur (47.5 °C, NdR). Assai spesso però la lunghezza del percorso giornaliero è molto superiore a quella che appare da questo esempio, nel quale l’altezza della temperatura nell’interno della miniera rende la fatica maggiore.

Il guadagno giornaliero di un ragazzo di otto anni sarà di L. 0.50, dei più piccoli e deboli L. 0.35; i ragazzi più grandi, di sedici e diciotto anni, guadagnano circa L. 1.50, e talvolta anche L. 2 e 2.50.

La vista dei fanciulli di tenera età, curvi e ansanti sotto i carichi di minerale, muoverebbe a pietà, anzi all’ira, perfino l’animo del più sviscerato adoratore delle armonie economiche... Ma lasciamo di dire di tali scene dolorose che pur si rinnuovano ad ogni passo, e torniamo alle cifre e ai fatti generali.

Un picconiere guadagna in media da 3 lire a 3.50 al giorno, pagate tutte le spese che a lui competono, di illuminazione, di salari ai ragazzi, ecc. In generale i partitanti anticipano un centinaio di lire ad ogni picconiere, il quale non essendo mai in grado di renderle, rimane sempre in uno stato di soggezione e di dipendenza di fronte al suo creditore. I picconieri alla lor volta nell’impegnare i ragazzi anticipano loro spesso una trentina di lire che vengono prese dalle famiglie, le quali pure non sono mai in grado di restituirle, onde il ragazzo rimane nelle mani del picconiere in una vera condizione di schiavitù. Se scappa, vien ripreso e riconsegnato al suo padrone, il quale può farne quello strazio che crede. Di quello che accade poi d’immoralità e di turpitudini in condizioni siffatte, in mezzo a gente viziata, corrotta e brutale come la classe degli zolfatari, non diciamo parola, perché ci ripugna fermarci sopra il pensiero; il lettore potrà figurarselo da sé. Alcuni ragazzi sono figli degli zolfatari: sono questi i meglio trattati, e guadagnano più degli altri. Molti sono orfani o figli naturali, e sono i peggio trattati, perché privi di ogni difesa. Gli altri sono figli di contadini.

Nelle miniere lontane dai paesi gli operai dormono sopra luogo da lunedì a sabato in appositi stanzoni, coricandosi sulla paglia; uomini e bambini insieme. I ragazzi non mangiano che pane solo: soltanto quando vanno a casa vi ricevono qualche minestra. Portano con sé da casa il pane per mezza settimana; e il quarto giorno tornano a casa a prendersi il pane, partendosi la mattina prima dell’alba per non perdere la giornata.

... un gran numero di bambini si ammala, e molti crescono su curvi e storpi: vanno specialmente soggetti alle ernie, e non è da meravigliarsene, visti i pesi che portano.

... Spesso l’aria nelle gallerie è viziata dall’idrogeno solforato e da altri gas deleteri o irrespirabili; ogni lavoro continuato in quegli ambienti poco ventilati, diventa allora assai nocivo alla salute degli operai. Naturalmente di scuola o d’istruzione elementare di qualsiasi specie, non vi è il più lontano sentore, e non più nelle zolfare grandi che nelle piccole.


La questione industriale del lavoro dei carusi


... Vi è modo di rimediare a tanto male, senza rovinare l’industria mineraria in Sicilia? Noi non siamo competenti quanto alla questione tecnica; accenneremo soltanto alle opinioni diverse che udimmo pronunziare sulla questione da parecchi direttori ed amministratori di grandi zolfare, e da alcuni capimastri, i quali se mancano di studi tecnici hanno però spesso tal copia di cognizioni pratiche da renderli competentissimi a dare un giudizio sulle quistioni minerarie.

Da una parte un amministratore di una vastissima zolfara si lamentava che il nuovo progetto di legge presentato al Parlamento, il quale mira a regolare il lavoro dei fanciulli nelle miniere, porterebbe infallibilmente alla rovina dell’industria degli zolfi. Qualunque miglioramento... s’introduca nei metodi di estrazione, il lavoro dei fanciulli sarà sempre indispensabile per portare il minerale dal luogo di escavazione al punto dove sbocca il pozzo di estrazione o la ferrovia inclinata. Di più sarebbe impossibile... non essendovi il tornaconto. Il numero dei ragazzi essere ora insufficiente al bisogno. Non essere possibile l’istituzione di scuole in prossimità delle miniere. Gli stessi genitori poi dei ragazzi si opporrebbero a qualunque diminuzione delle ore di lavoro, che portasse ad una diminuzione dei loro guadagni. La corruzione e la scostumatezza dei lavoranti nelle miniere esser cose deplorevoli, ma inevitabili.

Notiamo in parentesi che questo stesso amministratore osava affermare che i fanciulli attualmente non lavorano mai più di 4 o 5 ore al giorno, e non sono impiegati che dai dodici anni in su; e ciò diceva sulla bocca della sua zolfara. A parte l’inconseguenza del lamentarsi di disposizioni di legge che richiedono in fin dei conti quel che egli asseriva già esistente di fatto nelle zolfare siciliane, potemmo mezz’ora più tardi convincerci, nella visita di quella stessa sua miniera, dell’assoluta insussistenza delle notizie forniteci intorno alle ore di lavoro, e all’età dei ragazzi.

D’altra parte però siamo lieti di poter contrapporre l’opinione di parecchie persone competenti, e tra le altre del capo ingegnere di una delle maggiori zolfare dell’Isola. I filoni, egli ci diceva, delle miniere di zolfo, sono analoghi a quelli delle miniere di carbon fossile, ma con maggiori irregolarità di giacimento. Egli credeva che si potesse benissimo far di meno quasi del tutto del lavoro dei ragazzi, con un sistema bene ordinato di gallerie inclinate, unite al pozzo di estrazione mediante alcune gallerie orizzontali. Egli riteneva che il risparmio nel salario dei ragazzi compenserebbe largamente la maggiore spesa delle gallerie. Però nel caso di deviazioni forti nella direzione dei filoni, o di altri ostacoli, bisognerebbe talvolta per evitare una troppa spesa, fare delle gallerie irregolari come le attuali; e per quei tratti, converrebbe sempre adoperare il lavoro dei ragazzi, che resterebbe soltanto in via di eccezione, come accade nelle miniere di carbon fossile. La nuova legge quindi non gli faceva nessuno spavento.


Lavoro di mezza giornata


Certo è che anche se tali provvedimenti o altri simili non bastassero a togliere del tutto il lavoro dei fanciulli nelle miniere, diminuirebbero però di assai il numero necessario per l’andamento di una zolfara; onde sparirebbe la principale difficoltà... all’adottare sia per legge, sia volontariamente, il sistema del lavoro di mezza giornata per i ragazzi... già... introdotto in tutte le industrie inglesi. Intendiamo parlare del sistema di far corrispondere al lavoro di 10 ore degli adulti, due schiere di ragazzi di cui ognuna lavori sole 5 ore, l’una nelle ore del mattino, l’altra in quelle pomeridiane... Con questo sistema si riparerebbe allo sconcio attuale, tanto nelle grandi miniere, come in quelle piccole, in cui spesso non sarebbe possibile di sostituire con opere grandiose la forza meccanica al lavoro umano. Con qualunque provvedimento meccanico che diminuisca il bisogno generale di ragazzi nelle zolfare, si ottiene inoltre il vantaggio di poter senza difficoltà elevare il minimo dell’età che la legge richiede per l’impiego dei fanciulli nelle miniere.

Per queste ragioni ci sembra che anche considerata la questione dal solo punto di vista industriale — poiché per ogni altro riguardo una legge tutelatrice dei fanciulli è non solo utile, ma indubbiamente necessaria e indispensabile — una legge che determinasse il minimum dell’età a cui si possano impiegare i bambini nelle zolfare, e regolasse le ore di lavoro in modo da costringere gl’industriali a introdurre per i ragazzi il sistema inglese del lavoro alternativo, non produrrebbe gravi sconcerti nell’industria siciliana...

Non vi è poi ragione alcuna per cui non si abbia ad imporre, almeno alle amministrazioni delle grandi zolfare, l’istituzione di scuole che i ragazzi dovrebbero frequentare per un dato numero di ore al giorno, sotto pena di forti multe da imporsi alle amministrazioni stesse.

  • Questione umanitaria

Quanto poi alla ragione umanitaria che troviamo sempre in bocca degl’industriali, quella cioè che gli stessi genitori dei fanciulli si opporrebbero ad ogni intromissione dell’autorità a tutela di questi, la quale potesse diminuire i loro guadagni, non sappiamo annettervi nessuna importanza. I genitori non hanno il diritto di rovinare la salute fisica e morale delle loro creature per guadagnare di più, e nemmeno per campare: se si ammettesse una tal massima si sovvertirebbe ogni principio morale, poiché si dovrebbe ammettere pure che genitori facciano qualunque più turpe mercato o strazio dei loro bambini, se ne possono ricavare un guadagno, e il legislatore non dovrebbe mai averci che vedere.

  • Irregolarità nel pagamento dei salari

Non diremo qui dei gravi sconci che si verificano nelle zolfare siciliane, riguardo al pagamento dei salari ai minatori. Il salario convenuto è spesso più nominale che reale; l’imprenditore della miniera paga gli operai quando più gli piace, ogni quindicina, ogni venti giorni, o ogni mese, e si fanno continue partite di conto. E nemmeno ci fermeremo sopra alcuni altri inconvenienti che pur si riscontrano in qualche zolfara, dove l’amministrazione tiene una cantina, presso la quale gli operai debbono provvedersi di tutto. Non è forse questa talvolta l’ultima ragione per cui tanta parte dei guadagni dei minatori va spesa in vini e liquori. Si verificano insomma i soliti danni del truck-system [9] di cui si sono occupate in Inghilterra tante Commissioni d’inchiesta, e la cui repressione è stata oggetto speciale delle cure di quel Parlamento.

  • Responsabilità del padrone della miniera

Quello che non ci sembra poter dar luogo ad ombra di dubbio è che la legge dovrebbe stabilire chiaramente e seriamente la responsabilità del padrone della miniera per ogni danno che nell’esercizio di essa avvenga agli operai, qualunque sia la loro età. Con ciò non solo si provvederebbe più efficacemente che coi regolamenti e colle ispezioni preventive, ad assicurare i minatori dalle frane e dalle altre disgrazie che avvengono per l’imperizia e la trascuranza degli imprenditori, e che nelle zolfare siciliane sono di una frequenza che fa spavento; ma si provvederebbe pure in parte a garantire anche i ragazzi dai maltrattamenti, giacché il padrone della zolfara per coprire la propria responsabilità sarebbe costretto a vigilare a che i picconieri, o altri operai, non carichino pesi soverchi sui fanciulli da loro impiegati.


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[7] Leopoldo Franchetti (Livorno 31 maggio 1947, Roma 4 novembre 1917), economista e studioso meridionalista. Esponente della Destra storica, ma attento alle questioni sociali, fu deputato alla Camera dal 1882 al 1909 e Senatore del Regno dal 1909 al 1917.

[8] Sidney Sonnino (Pisa 11 marzo 1847, Roma 23 novembre 1922), politico, meridionalista, esponente dell’ala liberale della Destra storica, fu deputato alla Camera dal 1880 al 1919 e senatore a vita dal 1920. Fu Presidente del Consiglio 2 volte (dall’8 febbraio al 29 maggio 1906 e dall’11 dicembre 1909 al 31 marzo 1910) e Ministro degli Esteri dal 1914 al 1919. In questa veste firmò il Patto di Londra del 1915 (tra il governo italiano e i rappresentanti della Triplice Intesa, con i quali l’Italia si impegnò a scendere in guerra contro gli Imperi Centrali, durante la Prima guerra mondiale) e partecipò alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919. Amareggiato per la conclusione di tale conferenza, si ritirò dalla vita politica, anche se fu nominato senatore a vita l’anno successivo.

[9] Sistema secondo il quale buona parte del salario veniva erogato in forma di buoni da consumare nelle cantine (spacci) aziendali.