Monteponi

Geologia e giacimentologia

L’Iglesiente si caratterizza geologicamente per la presenza di una serie stratigrafica paleozoica (fig. 1) con spessori fino a 3,000 metri articolata in quattro formazioni.

Dal basso in alto:

Anche questa formazione è articolata in due membri:

L’ambiente di deposizione è marino neritico, corrispondente ad un mare epicontinentale poco profondo e poco ossigenato, con apporti ritmici di materiale terrigeno fine. Le facies nodulari sono da collegarsi alla deposizione su alti morfologici instabili, mentre quelle massive e laminari testimonierebbero l’esistenza di zone morfologicamente più stabili;

Fig. 1 - Serie stratigrafica paleozoica in Iglesiente

Le mineralizzazioni piombo-zincifere dell’Iglesiente sono situate nell’orizzonte calcareo (GNN2) della formazione cambriana di Gonnesa, definita per questo “Metallifero”, come risultato di una combinazione di ambienti sedimentari favorevoli ed eventi tettonici di età paleozoica.

Dal punto di vista della paragenesi metallica si possono individuare due principali tipologie di giacimento:

Originatisi come corpi stratiformi soggetti a successivi processi di riconcentrazione metallifera, appaiono come stratabound di età cambriana, interessati da intensi fenomeni deformativi a scala sia locale che regionale.

La tessitura è in gran parte di tipo massivo e a struttura prevalentemente brecciata, con marcata origine ercinica.

Frequenti sono i fenomeni di ossidazione e carsificazione: soprattutto i primi hanno avuto una grande importanza economica, trasformando il solfuro di zinco in carbonato (smithsonite) e silicato (calamina o emimorfite), mentre il solfuro di ferro ha dato origine a ossidi idrati e no (goethite e limonite).

Localizzate prevalentemente in strutture di sinclinale, sono ospitate nel “Metallifero” prevalentemente nella parte alta della sequenza stratigrafica.

Molti corpi minerari in cui si articolano le mineralizzazioni hanno prevalentemente giacitura concordante con quella della litofacies incassante,  geometria colonnare a sezione da circolare a ellittica, sviluppo verticale di 600-700 m e si susseguono lungo la direzione dell’asse della struttura ospitante.

La struttura e tessitura risentono della sovrapposizione di eventi diversi: tessiture primitive, di riconcentrazione lungo direttrici antiche e recenti, brecciazioni e cementazioni a calcite o a mineralizzazioni successive, diffusi fenomeni di ossidazione e  carsificazione.

Anche in questo gruppo, nelle porzioni più superficiali dei giacimenti si osservano estesi fenomeni di ossidazione, con formazione di calamina (emimorfite), limonite, goethite, smithsonite, cerussite.

 

Rimanendo ai fenomeni di ossidazione, che hanno interessato, come detto, entrambi le tipologie di giacimento, va ribadita e sottolineata l’importanza economica dei minerali derivati, in particolare delle calamine [1], tenendo conto che a Monteponi la loro produzione totale è stata maggiore della somma delle produzioni di blenda e galena.

Le relative mineralizzazioni, estese in profondità fino a centinaia di metri, sono il risultato, oltre che dell’ossidazione in situ di mineralizzazioni primarie a solfuri, di eventuali successive movimentazioni e rideposizioni come sedimenti in cavità carsiche o vuoti di dissoluzione, apparentemente indipendenti dalle oscillazioni del livello marino ma probabilmente correlate alle strutture geomorfologiche terziarie e quaternarie (fig. 2).

Il tenore di zinco nelle calamine dell’Iglesiente è assai diversificato, in funzione del grado di sostituzione dei solfuri originari, andando da poche unità percentuali al 20-24% nell’area di Campo Pisano.


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[1] Nel gergo minerario per calamine si intendono i prodotti di ossidazione dei solfuri di zinco a formare emimorfite (silicato di zinco), idrozincite (carbonato idrato di zinco) e smithsonite (carbonato di zinco) .


Fig. 2 - Sezione geologica della mineralizzazione di S. Benedetto a NNE di Monteponi (Aversa, 2012)

Cenni storici

Fino all’età moderna le vicende storiche e preistoriche della miniera di Monteponi non si differenziano da quelle già descritte per le precedenti miniere sarde.

Tuttavia, vale la pena, in questa sede, di approfondire le vicende minerarie legate all’occupazione pisana, in quanto connesse in maniera particolare con l’area di competenza della miniera di Monteponi, oltre ad avere avuto il merito di aver fatto fiorire l’industria mineraria sarda, che da allora sarà incentrata principalmente nell’area del Sulcis-Iglesiente.

Nel 1162, in seguito alla morte del giudice Costantino Lacon Serra che regnava sul Giudicato di Cagliari [2], il successore Pietro di Torres, genero di Costantino, diede corso a una politica favorevole alla Repubblica di Genova.

Pisa, che al pari di Genova aveva mire sul Giudicato, decise allora di occupare il sud dell’isola, scacciando Pietro e sostituendolo con Guglielmo Obertenghi, figlio Oberto, duca di Massa e anch’esso genero di Costantino, avendone sposato la figlia Giorgia.

In segno di riconoscenza per il ruolo svolto nell’occupazione, Guglielmo  assegnò ai Della Gherardesca alcuni possedimenti in Sigerro (Iglesiente) e Sulcis.

Nell’ambito della difesa di questi territori dalle mire di un’altra famiglia pisana, i Visconti, che avevano già acquisito il Giudicato di Gallura, nel 1232 sbarcò per la prima volta in Sardegna Ugolino della Gherardesca, conte di Donoratico, che venti anni dopo, nel 1252, divenne Vicario di Sardegna per conto del Re Enzo di Svevia e che, tra il 1256 e il 1258, fu impegnato assieme agli alleati sardi in varie guerre per difendere con successo il Giudicato di Cagliari  dal tentativo di occupazione da parte dei genovesi.

In seguito a ciò, nel 1258 il territorio del Giudicato fu spartito tra tre famiglie pisane: Visconti, da Capraia e della Gherardesca.

A questi ultimi fu concesso il feudo nella Sardegna sud-occidentale, completando i possedimenti già acquisiti nell’attuale Sulcis-Iglesiente, di cui Ugolino decise di occuparsi in pianta stabile.

Pensò prima di tutto a rafforzare le difese del territorio, costruendo vari castelli (Acquafredda, Villamassargia, Siliqua e Gonnesa) e cingendo con robuste mura dotate di quattro porte e venti torri un piccolo aggregato di modeste case intorno a una chiesa.

Dopo aver costruito un castello su un’altura all’interno della cinta muraria, denominò Villa di Chiesa quella che, in seguito alle ricerche intraprese e al conseguente sfruttamento minerario, sarebbe diventata la città più importante dell’isola dopo Cagliari.

L’attivismo di Ugolino si esercitò anche nel campo del Diritto, con la realizzazione di un compendio denominato “Breve di Villa di Chiesa” (fig. 3), in cui erano codificate le norme che regolavano i vari aspetti della vita cittadina, tra cui le operazioni legate all’industria mineraria. 

Si tratta del documento più importante custodito dall’Archivio Storico Comunale di Iglesias, un prezioso esempio di statuto cittadino, articolato in 4 libri introdotti da un indice (“Robrica”):

 

Terminata l’occupazione pisana, durante la dominazione aragonese l’attività mineraria subì un forte declino, tanto che dei 44 centri abitati nell’Iglesiente ne rimasero soltanto 8, soprattutto a causa dei grandi quantitativi d’argento che giungevano dall’America appena conquistata dagli spagnoli.

Più di un secolo dopo, un documento del 16 gennaio 1649 nominava per la prima volta la località di “Monteponi”, in riferimento alle miniere di “galança”, ossia la galena.

Un nuovo forte impulso all’attività mineraria fu dato durante il regno sabaudo, quando nel 1721 venne accordata una concessione generale di tutte le miniere sarde alla Società Nieddu e Durante, per la durata di vent’anni.

Allo scadere di tale concessione, il contratto non fu rinnovato, passando quindi ad un’altra società capeggiata dal nobile svedese Carlo Gustavo Mandel, che importò in Sardegna numerosi operai esperti, soprattutto fonditori, direttamente dalla Germania.

Dopo alterne vicende politiche e industriali, che portarono a una sostanziale regressione dell’attività mineraria in Sardegna, dove nel 1836 risultavano occupati i soli 86 dipendenti della miniera di Monteponi, si ebbe un nuovo impulso allo sviluppo in seguito all’unificazione con il Piemonte e alla successiva estensione (1848) alla Sardegna del Regio Editto del 30 giugno 1840, che prevedeva la separazione della proprietà del suolo da quella del sottosuolo considerato come patrimonio esclusivo dello Stato, successivamente confermata dalla successiva legislazione mineraria sabauda del 20 novembre 1859.

Il Governo mise all'appalto la miniera di Monteponi il 15 febbraio 1850, al canone base di 28,000 lire annue, per una durata trentennale della concessione (fig. 4).

L'asta fu vinta, con un'offerta di 32,000 lire annue, dal Signor Giuseppe Molinieri di Torino, il cui contratto di affitto della miniera, datato 6 giugno 1850, fu approvato con DM del 26 agosto dello stesso anno.

Nel frattempo, il 18 giugno, si era costituita la "Società di Monteponi, Regia Miniera presso Iglesias, in Sardegna per la coltivazione ed escavazione della Regia Miniera di piombo Argentifero situata in Sardegna, luogo detto Monteponi", con sede a Genova e presidente il Sig. Paolo Antonio Nicolay, che in pochi mesi riuscì a trasformare un’attività in decadenza in un complesso industriale destinato a crescere.

Al Nicolay succedette Giuseppe Galletti, tra i fondatori della Repubblica romana del 1849 ed esule in Piemonte, che però non riuscì a dare continuità al lavoro del predecessore.

Così, il 7 ottobre del 1852, fu nominato direttore della miniera l'ing. Giulio Keller che, essendo dotato di una preparazione tecnica specifica, s’impegnò personalmente nella redazione del primo piano generale della miniera in scala 1:500, che permise di studiare l'andamento delle vene mineralizzate e progettare al meglio le ricerche e le attività di coltivazione e trattamento dei minerali.

L’organizzazione avviata dal Keller fu confermata e ampliata dal nuovo direttore Conte Baudi di Vesme, che subentrò nel 1856.

Negli anni di Keller e Baudi di Vesme, vennero attrezzate con rotaie le gallerie Nicolay e Villamarina, si realizzarono nuove strade, piazzali, tettoie agli imbocchi delle gallerie, si iniziarono a costruire le prime case operaie.

A ottobre 1861 arrivò un nuovo direttore, l’ingegner Adolfo Pellegrini, appena ventitreenne ma già con una certa esperienza in campo ferroviario, che incrementò la produzione della miniera, sia ampliando le aree coltivate e di trasporto con la realizzazione del ribasso Vesme e del pozzo Vittorio Emanuele, sia ricorrendo al sistema dei cottimi e alla parificazione dei salari dei minatori sardi con quelli dei continentali, dando così una spinta all’impiego di manodopera locale.

Inoltre, avendo compreso l’importanza economica della presenza di calamina a tetto della mineralizzazione, nel 1867 definì un accordo con una società francese per la vendita di 1,000 tonnellate al mese di tale minerale.

A tal fine vennero anche acquisite le miniere di San Giorgio e Campo Pisano, scoperte nel 1870 e concesse con RRDD del 17 ottobre 1871 e 10 febbraio 1876, rispettivamente.

Tuttavia, nonostante tali acquisizioni, la produzione [4] non riusciva a coprire gli impegni di fornitura assunti, sia per la diminuzione di redditività della coltivazione all’aumentare della profondità di scavo, sia per le difficoltà nel trasporto del materiale estratto, che all’epoca avveniva mediante l’uso di carri a traino animale sulla strada Monteponi-Gonnesa-Portoscuso, spesso impraticabile nel periodo invernale.

Successivamente, i materiali erano caricati su barche a vela (fig. 27) a Fontanamare o Portoscuso per essere portati a Carloforte, da cui partivano per la destinazione finale su bastimenti a vapore o grossi velieri.

Per migliorare il sistema di trasporto fu deciso, quindi, di costruire, a spese della società, una linea ferroviaria privata con sbocco a mare, che venne inaugurata nell’agosto del 1871.

Un altro problema particolarmente gravoso che si dovette affrontare riguardava la grande presenza di acqua in miniera, poiché, come constatava lo stesso Pellegrini, “sotto il nostro attuale centro di produzione [5] l’acqua esiste ovunque”, non riducendosi a sporadiche venute ma avendo le lavorazioni interessato un sistema acquifero esteso a tutto “l’anello metallifero”, sede dei principali giacimenti dell’area.

Per risolvere il problema si decise di realizzare il pozzo Sella - posto a 213 m s.l.m. e profondo 145 m per una sezione di 6x3 m - in cui ubicare un impianto di eduzione di grande capacità costituito da due pompe a vapore di 500 CV ciascuna, con una prevalenza di 72 m e una portata edotta totale di 300 l/s, molto elevata per quei tempi ma sottodimensionata ai fini di una soluzione definitiva della questione.

Il sistema, con scarico nella galleria S. Severino a 142 m s.l.m., entrò in funzione a fine 1874 e operò con varie interruzioni fino al 1881, stabilizzando il livello della falda a +61,50 m s.l.m., con un abbassamento di soli 8.50 metri che si rivelò insufficiente.

Al Pellegrini si devono anche l’introduzione dell’uso della dinamite nei lavori minerari, la costruzione dell’acquedotto, del piano inclinato di collegamento tra il piazzale Nicolay, il principale della miniera, con la stazione di Monteponi-Scalo, della palazzina della Direzione dal raffinato e classicheggiante stile architettonico (fig. 6), denominata “Bellavista” per l’imponente panorama su cui si apriva, che dal 1997 è sede dell’Università del Sulcis-Iglesiente, in cui sono stati attivati tre corsi: Scienza dei materiali, Informatica e Ingegneria ambientale.

Nel 1875 Pellegrini rassegnò le dimissioni, sostituito per la parte tecnica dall’Ingegner Erminio Ferraris e per quella amministrativa da Roberto Cattaneo.

Due erano i problemi principali da affrontare:

Iniziò, quindi, a delinearsi un nuovo intervento radicale, lo scavo di una galleria di scolo, al livello più basso possibile, in maniera tale da drenare tutte le acque del bacino direttamente al mare: un’opera assai onerosa, tanto più in vicinanza della scadenza dell’affitto trentennale concesso nel 1850;

Inoltre, poiché l’intervento sull’eduzione delle acque avrebbe recato beneficio anche alle altre miniere dell’area, si chiedeva allo Stato di occuparsene direttamente.

Grazie anche all’intervento in Parlamento di Quintino Sella, le questioni furono risolte mediante un atto di cessione della miniera alla Società Monteponi in data 22 dicembre 1879, ratificato con Legge 2 maggio 1880, che prevedeva il pagamento di 1,150,000 lire e la costruzione, a spese della società, della galleria di eduzione.

Sempre nel 1880 iniziò lo scavo della galleria di drenaggio, intitolata a Umberto I, con andamento SW-NE, per una lunghezza di 5,962 m dalla palude Sa Masa presso Fontanamare (Gonnesa) alla miniera di Monteponi (fig. 7).

L’8 marzo 1885, alla progressiva 4,161, fu tagliato il contatto scisto-calcare dal quale si ebbe una venuta d’acqua di circa 380 l/s che provocò un abbassamento del livello

delle acque nella miniera di Monteponi a quota 55.50 m s.l.m., sceso ulteriormente all’equilibrio a 49.50 m.

Per aumentare il deflusso si decise di prolungare la galleria, riprendendo lo scavo nel 1889 e incontrando il 2 agosto dello stesso anno, nella dolomia gialla alla progressiva di 4,264, una spaccatura di notevoli dimensioni, denominata “Gran Sorgente”, con direzione N-S dalla quale fuoriuscì un’enorme massa d’acqua con una portata nelle prime 24 ore di 3,600 l /s che si stabilizzò dopo 5 mesi intorno ai 1,400 l /s.

Il livello delle acque si abbassò rapidamente in tutto il bacino del metallifero iglesiente, fino a raggiungere nel 1890 la quota 23.75 m s.l.m.

Nel 1892 si riprese l’avanzamento della galleria di scolo verso est e si allargò con delle mine la spaccatura “Gran Sorgente”, ottenendo un abbassamento definitivo del livello idrostatico a Monteponi alla quota media di 13.50 s.l.m., che si mantenne tale per oltre 30 anni con un deflusso nella galleria di scolo attestato a circa 1,000 l /s.

A lavori ultimati, la galleria presentava una sezione libera di 5.31 m2 per uno sviluppo complessivo di 5,874 m fino al pozzo Vittorio Emanuele.

Nel frattempo la miniera aveva attraversato anni critici, a causa della flessione dei prezzi di mercato dei metalli con conseguente riduzione della redditività dell’attività estrattiva.

Nonostante la crisi, gli impianti della miniera avevano continuato a progredire: furono costruite nuove laverie, come la Calamine, espressamente progettata per trattare la calamina proveniente dal cantiere Cungiaus, attrezzate con i brevetti (vagli a scosse, idrovagli, tavole oscillanti) registrati dallo stesso direttore della miniera.

Soprattutto, una volta risolto il problema dell’eduzione delle acque, si mise mano al trattamento metallurgico dei metalli estratti, attraverso un nuovo sistema ideato dal Ferraris, sulla cui base venne costruita la fonderia del piombo ultimata nel 1894, in cui era previsto anche un forno per la produzione dello zinco, ultimato e messo in azione nel 1899.

Quello stesso anno arrivava a Monteponi Francesco Sartori, destinato a succedere al Ferraris nel 1907 e con un grande futuro proprio nella metallurgia dello zinco.

Gli anni successivi furono anni di ulteriori migliorie tecnologiche in miniera, non ultima l’introduzione dell’elettricità come forza motrice e per l’illuminazione, culminati nel 1906 con l’assegnazione della medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Milano, a riconoscimento dei successi conseguiti in campo minerario e metallurgico.

I primi anni del XX secolo furono, però, anche gli anni delle prime serie agitazioni sociali per la rivendicazione di migliori condizioni di lavoro e salariali, che culmineranno con l’eccidio di Buggerru del 4 settembre 1904 .

Come già accennato, nel 1907 il Ferraris [7] lasciò la direzione al Sartori, mentre lo stesso anno moriva il Cattaneo che, come direttore amministrativo, aveva avuto tanta parte nell’atto di cessione della miniera alla Società Monteponi alla scadenza dell’affitto trentennale.

Nel 1909 fu brevettato un nuovo forno a muffola per la produzione dello zinco, in contemporanea con l’incremento degli scavi calaminari nel cantiere di Cungiaus e la ripresa dei lavori nella miniera di Campo Pisano, dove era stato scoperto un importante giacimento di calamine ferruginose.

Tutto ciò, oltre agli specifici interessi e capacità del nuovo direttore, spinse la Monteponi  ad avviare una vera e propria metallurgia dello zinco su larga scala.

Quando nel 1914 scoppiò la 1a guerra mondiale e l’anno dopo l’Italia entrò in guerra, ci furono i primi contraccolpi negativi sulla produzione e l’occupazione; ma, essendo cessate le importazioni di zinco da Belgio e Germania indispensabili per la fabbricazione dell’ottone, lega basilare per l’industria bellica, il Ministero della Marina chiese alla Monteponi di avviare un impianto per la fusione dei minerali della Sardegna.

In breve tempo venne messo a punto il procedimento e presso la stazione ferroviaria di Monteponi sorse la fabbrica per la produzione di ossido di zinco, detta “Fabbrica di Bianco di Zinco”, mentre a Vado Ligure venne costruita una fonderia del tipo belga-slesiano [8].

Di conseguenza, la Monteponi si affacciò al primo dopoguerra rafforzata, in grado di sopportare la crisi provocata sia dall’abbassamento dei prezzi dei minerali, sia dallo sfaldamento dell’economia d’anteguerra, che lentamente tentava di assestarsi su nuove basi.

Lo sviluppo delle ricerche sulla metallurgia dello zinco portò a considerare l’eventualità di dotare la fonderia di Vado Ligure di una sezione sperimentale per la produzione di zinco elettrolitico da minerali di zinco poveri e ferruginosi.

I buoni risultati delle sperimentazioni e un aumento di capitale della Società permisero la costruzione, tra il 1924 e il 1925, di un impianto elettrolitico a Monteponi progettato dal Prof. Livio Cambi, chimico di grande fama allora quarantenne.

L’impianto entrò in funzione nel 1926 e permise di valorizzare le masse calaminari ferruginose di Campo Pisano.

Nel frattempo, approfondendosi le attività di sfruttamento del giacimento e avendo queste raggiunto il livello di stabilizzazione della falda garantito dall’impianto di eduzione del 1892 (+ 13.50 m s.l.m.), si riproponeva il problema dell’acqua in miniera.

Essendo ormai nota la portata di afflusso meteorico in falda, pari a 800 l/s, era necessario installare un impianto capace di smaltire una portata di almeno 1000 l/s per garantire un progressivo abbassamento della falda a una quota di -15 m s.l.m.

Nel 1923 vennero iniziati i lavori di scavo della camera pompe al livello –15, ricavata a sud-est del pozzo Vittorio dentro a un calcare ceroide molto compatto capace di garantirne la tenuta stagna; a Ovest della camera, inoltre, fu scavata una larga galleria con funzione di collettore delle acque alle pompe, in numero di tre da 500 l/s ciascuna, in modo da garantire la portata richiesta anche in caso di mancato funzionamento di una pompa (tab. 1).

Le pompe, aventi una prevalenza di 40 m, inviavano, quindi, l’acqua raccolta dal collettore al livello della galleria di scolo.

Fig. 3 - Breve di Villa di Chiesa

Fig. 4 - Avviso d'asta per la miniera di Monteponi

Fig. 5 - Barche a vela trainate da un rimorchiatore verso Carloforte

 Fig. 6 - Palazzina della Direzione a Monteponi

Fig. 7 - Sbocco delle acque di eduzione nella galleria di scolo di Monteponi

Fig. 8 - Una camera pompe dell'Impianto di eduzione delle acque di Monteponi

Tab. 1 - Articolazione dell’impianto di eduzione delle acque di Monteponi


Il nuovo impianto di eduzione entrò in servizio nel giugno 1928, ma già nel 1933 si ripresentò il problema e fu necessario realizzare un nuovo impianto di eduzione al livello -60 m s.l.m., sulla falsariga di quello al livello precedente, solo che in questo caso le tre pompe avevano ciascuna una portata di 1000 l/s con una prevalenza di 80 m (tab. 1).

L’impianto a -60 cominciò a funzionare nel novembre 1935 con una sola pompa, mentre quello a -15 continuava a funzionare.

I due impianti proseguirono in parallelo, con portate decrescenti al livello -15 e crescenti al livello -60, fino al 18 luglio 1938, quando l’impianto −15, dopo 10 anni di perfetto funzionamento fu definitivamente fermato.

Nel frattempo, gli anni dal 1927 al 1932 furono caratterizzati da una grande crisi, dipendente da cause esterne la crisi economica mondiale del ’29, il crollo dei prezzi di mercato di piombo e zinco e cause interne, la rivalutazione della lira a quota 90 lire/sterlina.

Inoltre, il 22 settembre 1928, si era spento l’ing. Ferraris, allora Amministratore delegato della Monteponi, sostituito nell’incarico ancora una volta dall’ing. Sartori.

Nonostante ciò, la Monteponi non rinunciò a nuovi progetti di espansione e nel 1932, insieme alla Montevecchio, fondò la Società Italiana del Piombo.

L’anno dopo, acuitasi la crisi della Montevecchio, quest’ultima fu rilevata in parti uguali da Montecatini e Monteponi.

La seconda metà degli anni ’30 fu caratterizzata dalle sanzioni internazionali all’Italia per l’invasione dell’Etiopia e dalla politica autarchica fascista, che alla lunga ebbe effetti negativi per via dei prezzi politici imposti dallo Stato, particolarmente antieconomici per la società.

La Monteponi, tuttavia, continuò a potenziarsi con l’installazione di nuovi impianti di flottazione e la rimessa in funzione della centrale termoelettrica di Porto Vesme, acquisita per sopperire alla scarsa erogazione di energia per l’impianto elettrolitico.

Allo scoppio della 2a guerra mondiale, la situazione della Società Monteponi, che aveva provveduto a un aumento di capitale fino 150 milioni di lire, era finanziariamente abbastanza solida da garantire il superamento della crisi che sarebbe sopravvenuta.

Basti dire che, nel 1940, Montevecchio e Monteponi insieme arrivarono a produrre il 75% del piombo e il 65% dello zinco nazionale, oltre a elevati quantitativi di argento e cadmio.

Passata la guerra ci fu una ripresa della coltivazione anche grazie al rialzo dei prezzi di mercato di piombo e zinco, con due problemi: l’impoverimento del minerale all’aumentare della profondità di coltivazione, il progressivo aumento del costo dell’energia elettrica.

Nel 1950 in miniera si contavano 17 livelli principali, per la maggior parte coltivati con il sistema del “gradino rovescio con ripiena al piede”.

Nel 1953, essendo le coltivazioni arrivate al livello -60, si ripresentò la necessità di un nuovo impianto di eduzione che venne installato a quota -100 m s.l.m.

L’impianto, completato nel 1955 ed entrato in funzione il 13 marzo 1956, era costituito da 4 pompe con portata di 750 l/s ciascuna e prevalenza pari a 123 m, con una quinta di riserva (tab. 1). Come per gli impianti precedenti, la camera pompe era isolata dai cantieri di coltivazione, in modo da garantire di non essere invasa dalle acque in caso di sospensione dell’eduzione.

Sempre nel 1956, a causa del crollo del prezzo dei metalli e dell’adesione dell’Italia alla CEE con conseguente crollo delle barriere doganali, tutto il comparto estrattivo entrò in crisi e le società minerarie non furono in grado di reggere la concorrenza estera.

Come già indicato nel caso della miniera di Montevecchio, per fronteggiare la nuova difficile situazione si decise di fondere in un’unica società la Montevecchio e la Monteponi, facendo nascere, alla fine del 1961, la Monteponi e Montevecchio S.p.A., in cui la Montecatini continuava a mantenere la maggioranza delle azioni (54%).

Nel 1971 la “Monteponi – Montevecchio” entrò in liquidazione e le sue attività vennero assorbite dalla Sogersa, Società ricerche gestione ristrutturazione miniere sarde, con capitali pubblici, AMMI ed EMSA, e privati, Montedison.

Successivamente, nel 1982, la SAMIM acquisì la miniera assieme a gran parte delle aziende piombo-zincifere, poi passate alla SIM dopo lo scorporo del settore minerario da quello metallurgico nel 1986.

Nel 1990 fu realizzato un nuovo impianto di eduzione a -200 m s.l.m., costituito da quattro pompe con portata variabile da 500 a 1,000 l/sec con prevalenza di 220 m (fig.8, tab.1).

 L’impianto doveva permettere la coltivazione di nuovi filoni sotto il livello -100, ma il pompaggio venne progressivamente sospeso dal 1997, quando iniziò il lento e irreversibile decadimento della miniera. 

Dal 21 marzo 2000 con Det. n. 385 la concessione è stata trasferita a IGEA SpA per le attività di messa in sicurezza e bonifica.


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[2] All’epoca la Sardegna era divisa in quattro giudicati: Cagliari, il più grande, Arborea, Gallura e Logudoro o Torres.

[3] L’interesse principale dell’epoca stava nella coltivazione dell’argento associato alla galena.

[4] A fine anni ’60 del XIX secolo la produzione era salita a 17,300 tonnellate.

[5] A quota +70 s.l.m.

[6] Questo problema fu risolto con il RD del 13 agosto 1876 di estensione alla coltivazione di minerali dello zinco.

[7] Il Ferraris, comunque, non abbandonò la Monteponi di cui divenne Amministratore delegato nel 1911 e Presidente nel 1926.

[8] Tipo tuttora dominante nella grande metallurgia dello zinco, che utilizza forni messi a punto dalla Società belga Vieille Montagne, a più ordini di muffole sovrapposte dove si opera la riduzione con carbone dei minerali ossidati e la distillazione concomitante del metallo.