Cabernardi-Percozzone

Giacimentologia


Il bacino solfifero di Cabernardi-Percozzone ha forma ellittica con asse maggiore di circa 8 km in direzione NW (Percozzone) - SE (Cabernardi), estendendosi a Est del rilievo di M. Rotondo dal fiume Cesano fino a Coldapi (fig. 1).

Le due miniere, autonome per concessione, insistevano, tuttavia, su un unico giacimento e costituirono di fatto un’unica unità produttiva, specialmente dopo che i rispettivi sotterranei furono collegati con diverse gallerie e livelli.

Nell’area si ha mediamente, dall’alto verso il basso, la seguente successione di litotipi miocenici:

Il lembo orientale del bacino mostra numerose faglie, con una mineralizzazione in giacitura sub verticale che si estende per oltre 3 km con tenori elevati.

La mineralizzazione è costituita da due ampie plaghe (fig. 2) separate da una zona sterile di 500 m di media, maggiore in superficie (fino a 700 m), minore in profondità (200 m).

Gli strati solfiferi sono spessi pochi metri nella plaga NW (Percozzone) e arrivano fino a 32 m a SE (Cabernardi), con tenori fino al 32% e rese al 22%.

A Cabernardi si è rinvenuto anche zolfo purissimo (talamone), che veniva utilizzato direttamente.

L’andamento sub-verticale della mineralizzazione ha fatto sì che le miniere si sviluppassero in profondità:

  • per 700 m su 18 livelli a Percozzone (fig. 3a);

  • per ca. 880 m su 28 livelli a Cabernardi (fig. 3b).

Inoltre, a causa dei fenomeni tettonici cui è stato soggetto, lo strato mineralizzato di Cabernardi, tra l’11° e il 14° livello, formava una piega a “S”, per effetto della quale lo spessore dello strato arrivava anche a superare i 40 m (fig. 4).


Fig. 1 - Il bacino solfifero di Cabernardi-Percozzone (rielaborato da Mattias 1995)

Fig. 2 - Sezione verticale longitudinale della mineralizzazione Cabernardi-Percozzone

Fig. 3 - a) Percozzone: sezione verticale trasversale al pozzo III (Mattias, 1995); b) Cabernardi: sezione verticale longitudinale ai pozzi I e II (Fabbri, 1993)

Fig. 4 - Piega a “S” dello strato mineralizzato di Cabernardi (Mattias, 1995)

Cenni storici

La storia del bacino minerario di Cabernardi-Percozzone ebbe inizio con le dichiarazioni di scoperta dei giacimenti di Cabernardi (DM 10 aprile 1866) e Percozzone (DM 9 luglio 1877), cui seguirono il rilascio delle concessioni di Percozzone (RD 6 giugno 1878) e Cabernardi (RD 5 settembre 1888), la prima a una Società di proprietà dei sigg. Francesco Armando Buhl, Eugenio Buhl e Andrea Federico Deinhard, la seconda all’Azienda Solfifera Italia di Coblenza.

La miniera di Percozzone, tuttavia, manterrà un livello di produzione molto basso fino al 1885, quindi sospenderà la produzione rimanendo inattiva fino al 1920.

La miniera Cabernardi, al contrario, dopo un primo anno di rodaggio, già dal 1889 cominciò a estrarre 14,000 tonnellate di minerale con una produzione di circa 3,000 tonnellate di zolfo greggio.

Nei dieci anni in cui la miniera fu concessionata dall’azienda di Coblenza furono estratte circa 327,000 tonnellate di minerale con la produzione di 65,617 tonnellate di zolfo greggio.

Durante questo periodo, nel 1896, ci fu il sorpasso della produzione di Cabernardi (7,226 ton) su quella delle miniere del Montefeltro (5,507), risultato ottenuto, oltretutto, con un numero molto più ridotto di manodopera (183 vs 908) e, di conseguenza, con una produttività più di 6 volte superiore (39.486 vs 6.065).

Nel 1900 le miniere passarono in concessione alla Società Anonima Miniere Sulfuree Trezza-Romagna, con corrispondente aumento della manodopera impiegata che passò da 196 a 307 unità.

Contemporaneamente, la stessa Società acquisì la quasi totalità delle miniere di zolfo romagnole e marchigiane, comprese quelle del Montefeltro, e la raffineria di Bellisio, in comune di Pergola, che venne collegata alla miniera di Cabernardi con una teleferica di circa 5 km, realizzata in base all’esproprio dei terreni attraversati sulla base del RD del 29 agosto 1904 che ne dichiarava la pubblica utilità.

Nel 1904, in seguito a una fusione societaria, la società concessionaria prese il nome di Società Anonima Miniere Sulfuree Trezza Albani-Romagna conservando il controllo delle miniere fino al 1917.

Durante il periodo di concessione della Società Trezza Albani-Romagna furono estratte 857,200 tonnellate di minerale con una produzione di 171,195 tonnellate di zolfo greggio per un’occupazione costantemente sopra le 300 unità fino al 1914, scesa a 235 unità nel 1917.

Il 22 novembre 1917 la concessione delle miniere passò alla Montecatini Società Generale per l'Industria Mineraria e Agricola.

Il passaggio di concessione e la fine del conflitto bellico garantirono una ripresa della produzione e soprattutto dell’occupazione, che nel 1920 arrivò, compresi i minatori di Percozzone che quello stesso anno riprese l’attività, a 843 unità per 72,625 tonnellate di minerale estratto e 13,712 tonnellate di zolfo.

Intanto, l'anno prima, le due miniere erano state messe in comunicazione per mezzo di un piano inclinato che partendo dal 7° livello della miniera di Cabernardi raggiungeva il 6° livello dell’adiacente Percozzone (fig. 2).

Nella zona, la miniera rappresentava l’unica opportunità di lavoro e di guadagno decoroso tanto che, avendo l’aumento della manodopera esaurita l’offerta locale, si cominciò a reclutare operai e minatori da fuori e, di conseguenza, sorse l’esigenza di costruire un villaggio minerario che la Montecatini realizzò nella frazione di Cantarino, garantendo «...gratuitamente, agli operai che vengano da lontano, l’alloggio, in case di muratura, con branda, mettendo a disposizione una donna per la cucina».

Così, la popolazione di Cabernardi, che nel 2019 contava circa 300 unità, salì all’epoca fino a 2,400 abitanti.

Oltre alle questioni di carattere logistico, la decisione obbedì anche a una logica che si potrebbe definire di “crumiraggio”, in quanto i nuovi minatori andavano a sostituire quelli maggiormente impegnati negli scioperi che, sull’onda del “biennio rosso” italiano (1919-1920), erano scoppiati anche nella miniere Cabernardi-Percozzone finalizzati all'abolizione di una riduzione dell'indennità caro-viveri.

Nel 1922, anno della Marcia su Roma, furono licenziati tutti i dipendenti per un mese e alla successiva ripresa del lavoro, lo stipendio fu diminuito del 20%: un segno inequivocabile dei tempi.

Tra le due guerre la coltivazione nelle due miniere si sviluppò in verticale fino alle profondità record già citate (880 m a Cabernardi e 700 m a Percozzone).

Contemporaneamente (fig. 5 e tab. 1) aumentarono produzione e occupazione, fino ai massimi del 1938 (produzione) e 1940 (occupazione).

L’industria solfifera marchigiana (e quella romagnola) riuscì, quindi, a compensare le perdite associate con la grande crisi del ’29, che invece avevano travolto il Consorzio obbligatorio dell’industria solfifera siciliana anticipandone la chiusura .

Tuttavia, nel 1933 la svalutazione del dollaro provocò un forte ribasso del prezzo dello zolfo sul mercato internazionale, fortemente condizionato dallo zolfo statunitense, con immediate conseguenze sulla possibilità di vendita del prodotto italiano. Il governo intervenne costituendo, con R.D.L. dell’11 dicembre 1933 n. 1699, l’Ufficio Vendite per lo zolfo italiano con l’obiettivo di collocare tutto lo zolfo italiano sul mercato interno e internazionale, opponendo così alla concorrenza statunitense un fronte unico e un appoggio governativo diretto.

Tra le misure adottate ci fu quella di limitare la produzione, il che impedì alle miniere Cabernardi e Percozzone di sviluppare tutte le proprie possibilità, provocando una seppur ridotta diminuzione della produzione nel triennio 1934-36 (-10% ca.).

Nel frattempo, nel 1933 fu realizzata una seconda via di comunicazione tra le due miniere, la grande galleria Donegani, dotata di doppio binario e interamente murata che permetteva di estrarre il minerale sia di Cabernardi che di Percozzone da uno qualunque dei tre pozzi di estrazione delle due miniere e pertanto di utilizzare in pieno, in caso di bisogno, tutti gli impianti di fusione esistenti.

Le due miniere divennero così un’unica unità produttiva, pur rimanendo amministrativamente due concessioni separate, anche perché la Montecatini non voleva perderne la perpetuità, chiedendo una nuova concessione unificata.

Nel 1940 nuove ricerche individuarono una mineralizzazione a sud di Cabernardi, di cui fu chiesta la concessione, accordata con DM del 20 aprile (GU 148/1940) denominata Caparucci.

Durante la seconda guerra mondiale, produzione e occupazione tennero fino al 1943 (1,462 occupati, 230,506 tonnellate complessive di minerale e 41,300 di zolfo) per poi crollare nel 1945, soprattutto in produzione (37,966 tonnellate di minerale e 4,714 di zolfo) mentre l’occupazione si mantenne sempre sopra il migliaio di occupati (1,040 nel 1944 e 1,139 nel 1945).

Finita la guerra, già nel triennio 1947-1949 la produzione di Cabernardi tornò vicino ai valori pre-bellici (176,015÷220,539 di minerale e 30,989÷37,443 di zolfo), mentre la produzione di Percozzone, pur risalendo (16,396÷24,835 di minerale e 2,861÷4,119 di zolfo), non arrivò più ad avvicinarsi a quei valori.

Nel secondo semestre del 1950, lo scoppio della guerra di Corea e la conseguente concentrazione dello zolfo americano sul mercato interno, liberarono lo spazio per lo zolfo italiano sul mercato internazionale, tanto che l’O.E.C.E. (Organizzazione Europea di Cooperazione Economica, antesignana dell’UE) chiese quasi il raddoppio della produzione italiana entro il 1952 (400,000 tonnellate).

Tuttavia, la miniera di Cabernardi-Percozzone non poté trarre grande beneficio dalla situazione, dato il livello di esaurimento a cui era giunto il giacimento, secondo le ricerche prive di significativi risultati effettuate dalla Montecatini nelle aree circostanti il giacimento in coltivazione.

Le conseguenti prospettive di riduzione dell’attività e dell’occupazione suscitarono un naturale malcontento e uno stato di agitazione sindacale e sociale, vista l’importanza che la miniera aveva avuto negli ultimi decenni, rappresentando sostanzialmente l’unica occasione di lavoro sicuro per tutta l’area circostante.

Fig. 5 - Evoluzione temporale della manodopera e della produzione a Cabernardi e Percozzone (Mattias, 1995)

Tab. 1 - Minerale estratto e produzione di zolfo greggio nelle miniere di Cabernardi e Percozzone (Mattias, 1995)

Fig. 6 - Minatori di Cabernardi alla 1^ Conferenza di Produzione

Tutte le forze politiche locali (DC, PCI, PSI, PSDI, PRI) e sindacali si ersero, quindi, a difesa della miniera costituendo comitati cittadini e il 2 luglio 1950 i sindacati indissero la 1^ Conferenza di Produzione di Cabernardi, in cui venne definita la linea da seguire per la difesa e il potenziamento delle risorse minerarie locali.

In assenza di una volontà di confronto da parte della Montecatini, a metà marzo 1951 iniziò quella che fu definita la “lotta dei 100 giorni”, una forma di non collaborazione attuata con sospensione del lavoro a turno che causò una forte riduzione della produzione (-35%).

La Società rispose decurtando i salari del 10% e togliendo la 14a mensilità ai sorveglianti che avevano aderito alla protesta, che, tuttavia, non si fermò fino al 12 luglio, giorno in cui si conclusero le trattative di natura squisitamente sindacale: riforma del cottimo, aumento salariale, 48 ore di lavoro settimanale per tutti.

Rimanevano invece irrisolte le questioni relative alla miniera e al suo futuro e la Montecatini era sempre decisa a mollare non solo la miniera di Cabernardi ma lo zolfo in quanto tale, avendo individuato nella chimica legata al petrolio il proprio futuro, come testimoniava l’apertura a Ferrara nel 1950 del primo complesso petrolchimico europeo.

Il 3 maggio 1952 la Montecatini pubblicò un rapporto in cui si affermava che l'area mineraria era in via di esaurimento e si prospettava una riduzione della produzione e quindi della manodopera; l'optimum sembrava essere un quantitativo di 400-500 tonnellate giornaliere, che implicava la decisione di procedere a 860 licenziamenti, corrispondenti a più del 50% della manodopera occupata a fine 1951 (1,630 unità).

Nonostante la conseguente sollevazione sindacale e popolare, la Montecatini proseguì nella sua politica di smantellamento e l'attività di Percozzone cessò di fatto nel 1952, mentre quella di Cabernardi proseguì con occupazione ridotta: 400 minatori furono licenziati e 500 progressivamente trasferiti tra il 1952 e il 1964 ad altri impianti e/o miniere della Montecatini (stabilimento petrochimico di Pontelagoscuro a Ferrara, miniere siciliane, miniere di pirite in Toscana, miniere trentine) .

Nel 1954 erano rimasti in miniera 200 minatori che produssero 9,455 tonnellate di zolfo.

Negli anni seguenti la manodopera e la produzione andarono via via a ridursi, fino alla chiusura definitiva del 5 maggio 1959.

La definitiva accettazione della rinuncia avverrà solo nel 1963 con DM del 3 settembre (GU 303/1963) riguardante le tre concessioni di Cabernardi, Percozzone e Caparucci.

L'occupazione della miniera (28 maggio÷5 luglio 1952)


La sollevazione operaia contro i licenziamenti preannunciati dalla Montecatini a inizio maggio 1952 raggiunse il suo picco il 28 maggio, quando oltre 300 operai decisero di occupare le miniere di Cabernardi e Percozzone: 176 minatori scesero dal pozzo Donegani (fig. 7) e si stabilirono nelle gallerie del 13° livello, a più di 500 metri di profondità, mentre altri 161 si fermarono nei cantieri esterni.

I “sepolti vivi”, come vennero chiamati dalla stampa, non smossero la Montecatini che anzi, dopo aver impedito ogni collegamento degli occupanti con l’esterno, persino l’approvvigionamento di viveri e acqua oltre all’interruzione della corrente elettrica e della ventilazione del livello, rincarò la dose dei licenziamenti notificandone altri 360.

Seguirono trentotto giorni di occupazione [1], nel corso dei quali i minatori ricevettero il sostegno non solo degli occupanti all'esterno della miniera, ma anche dell'intera popolazione e delle autorità civili e religiose.

Nei primi giorni di giugno il Ministero dell’Industria propose di istituire una Commissione per accertare la tesi della Montecatini circa l’esaurimento della miniera e annullare i licenziamenti nel caso le tesi della concessionaria si fosse rivelata infondata.

Su tale punto i sindacati si divisero: la CGIL riteneva non ci fossero garanzie sufficienti, mentre CISL, UIL e Montecatini accettarono la proposta governativa.

Naturalmente, la divisione si estese anche al livello politico con la DC che ritirò la propria adesione al Comitato di Difesa della Miniera.

La Montecatini rifiutò di partecipare a una riunione convocata dall’Ufficio del lavoro di Ancona per non incontrare la CGIL, ritenuta responsabile della situazione.

Diversi sindaci delle provincie di Ancona e Pesaro, preoccupati per le ripercussioni sulle attività produttive e commerciali della zona prodotte dalla chiusura della miniera, si rivolsero al Presidente della Camera dei Deputati, Giovanni Gronchi.

Per costringere i minatori a cedere furono inasprite le misure di isolamento dei minatori nella miniera, interrompendo a tratti l’energia elettrica e la ventilazione delle gallerie e impedendo lo scambio sia di notizie che di generi alimentari.

Finalmente, il 5 luglio, si arrivò a un accordo tra le parti, che si impegnavano a rispettare decisione della Commissione Ministeriale riguardo le condizioni produttive della miniera.

Trentotto giorni di lotta avevano portato a qualche risultato, la riduzione dei licenziamenti e la dilazione della chiusura, ma la sorte della miniera e di tutto il comparto dello zolfo italiano era ormai segnata.

Ancora peggiore fu la sorte dei minatori che parteciparono direttamente all’occupazione del 13° livello: furono tra i primi ad essere licenziati e quelli che non lo saranno non verranno riassunti negli altri stabilimenti italiani della Montecatini, davanti a loro solo la scelta di emigrare nelle miniere del Belgio.

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[1] Ricordati nel documentario (https://www.youtube.com/watch?v=qyG2l_caNHo) "Pane e Zolfo" di Gillo Pontecorvo (1956).


Fig. 7 - Pozzo Donegani a Cabernardi