Dimensioni analitiche dei modelli di programmazione

obiettivi e modalità di intervento, principio di sussidiarietà, sinottico-incrementale, top down-bottom up, formale-informale

INDICE ANALITICO GENERALE

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Elementi dalla Tesi di Laurea Magistrale in Politiche e servizi sociali, Università di Torino, A.A. 2017-18

 “La dimensione analitica dei modelli di programmazione. Il Piemonte: un caso-studio” Testo in allegato

di Luca Oliva

Sul tema si veda anche la scheda:

Coprogettazione



Il tema è piuttosto complesso poiché si tratta di confrontare modelli diversi, spesso in evoluzione e mal definiti, con dimensioni analitiche che partono da punti di vista differenti.

Dimensioni analitiche

In questa sede se ne propone una prima disamina. 


Obiettivi e modalità di intervento: lo schema Thompson & Tuden 

Per comprendere quale sia il modello programmatico utilizzato in un determinato contesto o, per conoscere quale sia il più efficace da applicare date le circostanze contestuali e/o gli obiettivi da raggiungere, storicamente è stato utilizzato lo schema proposto da Thompson & Tuden alla fine degli anni Cinquanta. La notorietà e applicabilità di questa rappresentazione è però da ricondurre a Christensen K.S. che la trattò in un saggio comparso su “APA Journal” nel 1985[1], utilizzandola per la prima volta contestualmente ai problemi di pianificazione in campo urbanistico. Lo schema prende in considerazione due variabili: 

1.     il grado di consenso sugli obiettivi tra gli attori del processo (presente – assente)

2.     il livello di conoscenza sulle strategie e sulle tecniche per conseguire gli obiettivi (presente - assente).

La peculiarità di questo schema “consente di mettere in relazione la variazione delle condizioni di incertezza del contesto con le caratteristiche che l’azione di pianificazione deve assumere per essere efficace[1]

Le due variabili prese in considerazioni non prevedono al suo interno gradi intermedi di conoscenza e di conflitto, ma vengono presi in considerazione solo i casi limite (conoscenza/non conoscenza e consenso/conflitto)

In questo modo lo schema produce “una classificazione per certi versi riduttiva in quanto la produttività in termini decisionali di un modello di progettazione è correlabile a uno spettro più ampio di variabili[2]. Infatti, lo schema a due sole variabili non riesce a cogliere la complessità della realtà: propone una classificazione eccessivamente riduttiva rispetto al reale, limitando la molteplicità dei modelli che si possono incontrare.

Si noti, in particolare, che nelle condizioni B e D, lo schema non individua una forma specifica, ma rimanda ad una nuova programmazione il cui modello sarà meglio definito dagli approcci che seguono.

Il principio di sussidiarietà

Il principio ha due differenti articolazioni: quella cosiddetta “orizzontale”, quando ci si riferisce a bisogni dei cittadini che vengono soddisfatti dai cittadini stessi, magari in forma associata e/o  volontaristica, e quella “verticale”, quando questi vengono soddisfatti dall’azione degli enti amministrativi pubblici man mano più distanti dal cittadino.

In questo senso, se la sua applicazione può essere semplice e lineare in campo di gestione e offerta di servizi, appare piuttosto problematica in campo di programmazione, in una logica di valori, diritti, obiettivi e azioni da mettere in campo per la riduzione delle differenze sincroniche e diacroniche, compito tipico ed esclusivo della programmazione pubblica.

Dal punto di vista delle dimensioni analitiche dei modelli di programmazione, ci si può chiedere se e quanto il principio sia perseguito ed applicato nei diversi modelli.[3]

Il modello sinottico ed i modelli incrementali

La programmazione sinottica, modello indiscusso fino ai primi anni Settanta del ‘900, parte essenzialmente da due assunti di base:

1. vi è un’unica entità di programmazione che definisce gli obiettivi, assicura la piena coincidenza dell’interesse collettivo con quello individuale e quindi anche i criteri valutativi;

2. tale entità possiede una conoscenza completa, complessiva, sintesi dei differenti punti di vista (appunto sinottica).

Nel modello sinottico il presupposto è che la conoscenza della realtà sia assoluta e detenuta nelle mani di un ente superiore, il quale costruirà il processo in un’unica volta sulla base della propria “visione”. La sua attuazione avverrà poi per mano dei livelli inferiori in un rapporto di sostanziale dipendenza e obbedienza e mera trasposizione delle direttive.

Ma i modelli di programmazione si sono evoluti e sviluppati nel tempo seguendo filoni di pensiero istituzionale, concezioni della società, approcci alle politiche sociali, ruoli delle parti sociali e sviluppi del pensiero scientifico.

In questo senso l’approccio incrementale, progressivamente autonomo e alternativo, si è distinto come critica al modello programmatorio razionalista, ed ha generato, in campo sociale, una famiglia di modelli articolati (Siza, 2004). A livello generale ed economico si è parlato di superamento della pianificazione centralistica, statalista, “coercitiva” (Martini, 2002) che ha caratterizzato i sistemi a economia pianificata in opposizione a quelli a economia di mercato.”[4]

Pertanto, nelle famiglie incrementali si parte da nuovi presupposti: la razionalità è limitata (Simon anni ’60 – 2000), la programmazione viene fatta poco alla volta, si adatta alla realtà e al mutare delle circostanze, assumendo forme diverse, nel riconoscimento dell’importanza di più attori tra pubblico e privato ed in un tentativo di mutuo accomodamento tra le parti.

Tendenze del modello sinottico e dei modelli incrementali

Top-down e bottom-up

Negli ultimi venticinque anni si è iniziato a parlare molto di sistemi di programmazione bottom up e top down, senza che di essi sia stata fornita una chiara e approfondita definizione.

In generale, per bottom up si intende un processo che inizia dal basso e prosegue verso l’alto per influenzarne e definirne le scelte, ovvero, meglio, dal livello locale o più decentrato a quello più ampio (viceversa top down), coniugando la sussidiarietà con il superamento dell’approccio sinottico.

Sibilla (2008, p. 18) individua il primo come una forma di “coscientizzazione” della società civile, in quanto «gli interventi realizzati dalle istituzioni politiche partono dalle istanze mosse dai cittadini, ossia da parte di chi vive il problema in prima persona o ne è più vicino», distinguendo tra “principio di prossimità”, tanto usato in ambito sociale (deve essere coinvolto chi è più vicino al problema perché nessuno lo conosce meglio), e “principio di sussidiarietà” (nelle sue dimensioni di verticalità e orizzontalità).[1]

Vediamone alcuni elementi distintivi di tendenza.

Nei modelli bottom up la sussidiarietà trova più facilmente la sua espressione in quanto il processo di individuazione delle priorità viene affidato all’Ente più prossimo al cittadino e poiché la gestione del potere è localizzata e decentralizzata. In questo senso la concertazione, premessa nelle programmazioni bottom up, non è solo “un invito alle rappresentanze dei livelli istituzionali regionali e locali a partecipare ad un tavolo già definito nelle procedure e nei contenuti, ma costituisce l’inizio di un nuovo ciclo della politica”[2]: un momento di partecipazione e confronto allargato già dall’avvio del processo in cui sono favorite dinamiche locali (raccolta delle informazioni, conoscenza della realtà, individuazione degli interventi) funzionali alla selezione delle priorità da raggiungere. 

Tutto questo non sembra essere una prerogativa all’interno dei processi top down in quanto la relazione tra i vari attori si struttura in modo più gerarchico e centralizzato, a partire da una analisi di vasta area e dalla definizione degli obiettivi, con una tendenza ad appropriarsi di competenze che in realtà spetterebbero ai livelli sottostanti, erodendo, compromettendo o riducendo in questo modo il principio di sussidiarietà.

Pertanto, facilmente si riscontrano caratteristiche del top down e bottom up che le avvicinano ai modelli di programmazione sinottico e incrementali.

Resta il fatto che una programmazione di vasta area non può limitarsi ad essere la semplice sommatoria di quelle locali. (si veda la scheda Multi level governance)

Si noti, infine, che la retorica del contesto sociale, con una forma di etichettamento che spesso travisa i contenuti reali dei due approcci, raffigura il bottom up come  legato ad un concetto positivo inclusivo, mentre il top down tendenzialmente negativo.

Elementi caratteristici della programmazione top down e bottom up: tendenza della direzione del processo

La programmazione tra formalità e informalità

Quando si parla di formalità ci si riferisce al fatto che vi sono degli atti normativi, che prevedono la messa in opera di un corollario di procedure da compiere, riconosciute e riconoscibili da tutti e funzionali al raggiungimento di determinate obiettivi/azioni: procedure standardizzate e trasparenti, tali da garantire il rispetto dei poteri, ruoli e mansioni. La formalizzazione delle procedure che danno vita al processo programmatico, in sintesi, determina ciò che si può fare e ciò che non si può fare, e al contempo dice chi fa che cosa. 

Quando si parla di informalità non si esclude la presenza della burocrazia con al seguito “una serie di uffici e status gerarchici[1], o che non vi siano delle procedure formali da rispettare. Piuttosto che queste vengano aggirate, ignorate, per procedere attraverso le frange dell’informalità, non riconosciute, non standardizzate. Per tanto le azioni compiute, funzionali al raggiungimento di determinate azioni/obiettivi, non prevedono un set riconoscibile di sequenze e divisioni dei ruoli che permangono nel tempo.

Un’informalità portata all’estremo rischia di non rendere chiaro e trasparente il processo decisionale, i ruoli e mansioni dei diversi attori coinvolti, lasciando ai decisori (spesso i politici) un eccessivo grado di discrezionalità. Inoltre, dal punto di vista relazionale, si rischia di dare vita a “fenomeni di favoritismo, nepotismo, servilismo, ecc.[2] 

Di contro il rischio di una programmazione sociale basta su una struttura formale di interazione/azione, è quello di ereditare i limiti della burocrazia. Un’eccessiva burocratizzazione, formalizzazione delle azioni da compiere, un’esasperata conformità ai regolamenti, non permetterebbe una sufficiente duttilità alle circostanze, contingenze, rischiando di rendere l’azione, cieca dinanzi ai particolarismi, poco flessibile ai mutamenti sociali e di contesto. Questo formalismo potrebbe “essere a tal punto esagerato da provocare una situazione in cui la conformità alle norme, diventa interesse primario, ostacolando il raggiungimento degli scopi dell’organizzazione, e cosi si hanno i fenomeni piuttosto comuni del tecnicismo[3].

Ibridazioni

In sintesi, considerando alcune, diverse, dimensioni analitiche (consenso su obiettivi e modalità di intervento, sinottico ed incrementale, applicazione del principio di sussidiarietà, top down e bottom up, formale ed informale) dei possibili modelli di programmazione appare molto difficile che ciascuna di esse sia esaustiva in quanto pone l’attenzione su aspetti differenti non autoescludentesi.

Da qui la necessità di prendere in considerazione simultaneamente le diverse dimensioni al fine di rintracciare le caratteristiche di un processo programmatico in atto. Un’analisi di questo tipo ci condurrà a scoprire che nella realtà si trovano dei modelli ibridi, senza una applicazione rigida di modelli teoricamente definiti: le dimensioni individuate s’incrociano ed intrecciano moltiplicando diversi possibili modelli operativi e generando modelli che risultano dalla composizione delle diverse dimensioni prese in considerazione.


Note

[1] Christensen K.S., “Coping with Uncertainty in Planning”, Apa Journal, Winter, 1985  [2] Balducci A., Incertezza e azione di Piano. Un possibile uso pratico della planning  theory, in Critica della Razionalità Urbanistica, 5, 1996, p.76-82;[3] Siza R, Progettare nel sociale. Regole, metodi e strumenti per una progettazione sostenibile, Franco Angeli, Milano, 2003, p.72;[4] Per un approfondimento si veda: (Merlo p. 70 e seguenti)[5] Merlo G., La programmazione sociale, Carocci Faber 2014 p. 106[6] F. Monge, Entrepreneurship, Giappichelli Editore, Torino, 2016, p.120 [7] Merlo G., La programmazione sociale, Carocci Faber 2014 p.99 e seguenti[8] Merton R. K., Teoria e struttura sociale. II. Studi sulla struttura sociale e culturale, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 403;[9] Ivi., p. 418[10] Ivi., p. 410 

Approfondimenti:

Balducci A., Incertezza e azione di Piano. Un possibile uso pratico della planning theory, in Critica della Razionalità Urbanistica, 5, 1996

Christensen K.S., Coping with Uncertainty in Planning, Apa Journal, Winter, 1985

Merlo G., La programmazione sociale, Carocci Faber 2014 

Merton R. K., Teoria e struttura sociale. vol II. Studi sulla struttura sociale e culturale, Il Mulino, Bologna, 2000

Monge F., Entrepreneurship, Giappichelli Editore, Torino, 2016

Siza R, Progettare nel sociale. Regole, metodi e strumenti per una progettazione sostenibile, Franco Angeli, Milano, 2003 

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gennaio 2018