La legge 285/1997

per l'infanzia e adolescenza

G. Merlo, La programmazione sociale: principi, metodi e strumenti, Carocci 2014

Capitolo: 3.3. Il capitale sociale

BOX DI APPROFONDIMENTO  n.20

N.B. I riferimenti bibliografici si riferiscono alla sito bibliografia del testo. Nel caso di citazione si consiglia la seguente notazione: “Merlo G., La programmazione sociale: principi, metodi e strumenti”, allegato web n.20, Carocci, 2014

INDICE ANALITICO GENERALE

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In argomento:

Terzo settore: il capitale sociale

Le norme come leva della programmazione


Il 28 agosto del 1997 il Parlamento Italiano approvava la Legge 285 "Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza" (“legge Turco”) per attuare e favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo e la realizzazione individuale, la socializzazione dell'infanzia e dell'adolescenza, come principale strumento di attuazione dei principi della LN 176/1991 di ratifica della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia del 20 novembre 1989.

Dopo i precedenti della riforma previdenziale di epoca fascista e quella sanitaria del 1978, per l’Italia fu quasi una rivoluzione in campo di programmazione sociale, su molti versanti: un atto articolato e complesso che introduceva importanti novità con l’obiettivo di realizzare interventi ai diversi livelli, nazionale, regionale e locale. Una prima volta su molti versanti:

- l’attenzione al complesso dei diritti dei minori nella concezione che la società in toto debba occuparsi di questa componente sociale in tutti i suoi diversi aspetti di vita e non solo delle sue possibili manifestazione di disagio;

- la definizione della durata della programmazione in cicli di tre anni;

- l’istituzione di un Fondo nazionale per il finanziamento delle azioni (120 miliardi di lire per il 1997 e 315 miliardi per ciascuno degli anni 1998 e 1999);

- la definizione di un modello di programmazione plurivello e pluriattore con una chiara indicazione delle competenze ai diversi livelli;

- la predisposizione di un Piano Nazionale per l’orientamento della programmazione territoriale decentrata;

- la creazione di una infrastruttura nazionale e regionale di supporto (Osservatorio e formazione) alla programmazione;

- l’individuazione di ambiti di programmazione ed intervento da costruirsi attraverso la concertazione locale (Regione ed Enti Locali);

- l’assunzione dei Programmi locali di intervento quale lo strumento integrato che definisce il sistema di promozione e protezione, contiene gli elementi di diagnosi e gli obiettivi, specifica i risultati attesi, individua progetti, pianifica risorse, mette in rete responsabilità e servizi;

- il coinvolgimento nella loro definizione delle scuole, le aziende sanitarie locali, i centri per la giustizia minorile e le organizzazioni non lucrative di utilità sociale;

- la definizione che ciascun Programma locale debba essere assunto da tutti gli attori partecipanti attraverso un Accordo di Programma;

- l’attenzione alla innovazione e sperimentazione;

- un sistema di valutazione dell’efficacia della spesa.

L’innovativo e complesso processo di programmazione, finanziato per due triennalità, fino al 2002, incontrò non poche difficoltà nella sua partenza protraendosi per quasi 10 anni. Nei fatti in questo periodo furono finanziati 7.902 progetti in un numero di ambiti territoriali che progressivamente aumentò dai 236 della prima annualità fino ad arrivare ai 685 dell’ultima, pur nella tendenza al ridimensionamento numerico per la coincidenza con i distretti sociosanitari (Istituto degli Innocenti 2009).

I principi ed i contenuti, il metodo ed i meccanismi della programmazione introdotti dalla legge produssero un forte cambiamento di cultura e di prassi che interessò tutti i livelli tutti gli attori coinvolti.

Per la prima volta soggetti diversi (amministratori, responsabili, tecnici, animatori, volontari, etc.), ciascuno con la propria visione e prassi operativa ed appartenenti ad organizzazioni con differenti storie e missions, si trovarono a confrontarsi in innumerevoli tavoli su di un tema comune e ad cimentarsi con la formulazione di un programma unitario. Parlare di diritti dei minori fu l’occasione per mettere in campo valori comuni, corresponsabilità, cooperazione, integrazione, fiducia, superamento della parcellizzazione e categorizzazione, nell’ottica di una implementazione e miglioramento degli interventi e dei servizi.

In quegli anni in moltissimi luoghi, in tutta Italia, si è costruita una rete di relazioni sociali, un capitale sociale, che è stata la base su cui, successivamente, si è innestata la programmazione dei Piani di Zona della LN 285. 



[1] Concetto mutuato dall’analisi di Amartya Sen: operativamente nel 2006 l’UNDP (United Nations Development Programme) ha definito “capacità” l’abilità delle persone, delle istituzioni e della società a realizzare funzioni, risolvere problemi e porre e raggiungere gli obiettivi in una maniera sostenibile. Lo sviluppo della capacità (capacity development) è pertanto, il processo attraverso il quale tali abilità si acquisiscono, si rafforzano, si riadattano, si preservano nel tempo (Italian Journal of Public Health, 2012, Volume 9, Number 1, Suppl. 1).


Aggiornamenti:

D.M. 28.07.2014: Ripartizione delle risorse finanziarie afferenti al Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza

http://www.regioni.it/it/show-dm_28072014_ripartizione_delle_risorse_finanziarie_afferenti_al_fondo_nazionale_per_linfanzia_e_ladolescenza_finalizzato_alla_realizzazione_di_interventi_nei_comuni_riservatari/news.php?id=372862

 

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Giorgio Merlo