PRIMA NOI, POI GLI ALTRI - 23/04/2010
Sarà che ho una formazione matematica, ma io direi che la questione sta sempre nelle definizioni . Nel caso in cui si scriva, ad esempio in un programma elettorale, "prima noi poi gli altri", al di là dei giudizi etici che si possono (e si debbono) dare su tale proposizione, occorre definire "noi" e definire "altri".
Noi siamo quelli che sono nati qui? No, non va bene: perché a un lussemburghese o a un leccese trasferitisi qui a 47 anni non possiamo dire "no, tu no" e perché ci sono singalesi, marocchini, lituani, nati qui.
Allora noi siamo quelli che hanno cittadinanza italiana? No, non va bene, perché c'è l'Unione Europea, quindi quantomeno dobbiamo dire: noi siamo quelli che hanno la cittadinanza di un paese dell'Unione europea. Ma di fronte a questo il prode sindaco di un qualsiasi paesino può insorgere e dire: e no! E che mi vengono tutti qui a chiedere assistenza? Si sveglia un bulgaro qualsiasi, viene ad abitare a Vattelappesca e pretende i sussidi del comune? Mai sia!
Quindi bisogna restringere il campo: noi siamo quelli che hanno cittadinanza in un paese dell'Unione europea e risiedono qui da almeno n anni.
Ne consegue che la signora nata in Egitto e che risiede qui da n+1 anni e che ha avuto la cittadinanza italiana dopo un imprecisato ed imprecisabile numero di lustri, quella signora, dicevo, è noi.
Sua sorella Samina, arrivata n-1 anni fa, no. Lei è altri. Bene.
Anche Rachele, però, è altri. Rachele chi? Rachele, la figlia di due miei amici italiani nata negli Stati Uniti e perciò (perciò!) in possesso della cittadinanza statunitense, e cresciuta oltreoceano, che adesso ha deciso di tornare qui.
E anche io, nata, cresciuta e pasciuta in Italia, posso essere altri. Perché magari trovo lavoro a Vattelappesca e mi ci trasferisco da Nonsodove, altro paesino a 20 chilometri di distanza dal primo, ma finché non avrò abitato lì almeno n anni non avrò gli stessi diritti di noi.
Diavolo! E' questo il problema di definire noi e gli altri. Ché all'improvviso posso scoprire che io non sono noi...
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Le macchie di Rorschach (L'Armageddon dei gemelli)
10/11/2010
di francaf e Max Pagani
«Quindici giorni? Ma che si credono? Che siamo dei maghi?»
«No, gemellino: pensano che siamo gli unici abbastanza pazzi da provarci. E d'altronde che scelta abbiamo? A me di stare qui ad aspettare che quel dannato asteroide ci spazzi via dalla faccia dell'universo, non va proprio.»
«Neanche a me, gemella. Neanche a me, lo sai...»
I gemellini. Ormai, da quando il test delle macchie di Rorschach aveva dato quel sorprendente risultato, li chiamavano tutti così. Due individui diversi che danno le stesse identiche risposte. Per lo più spiazzanti e sui generis, tanto da renderne praticamente impossibile l'interpretazione. Dopo tutti i controlli possibili e immaginabili per verificare che non si fossero conosciuti prima , che non si fossero messi d'accordo e insomma, che l'impossibile era successo, decisero che loro due e solo loro due erano i candidati giusti per cercare un modo di salvare il mondo.
All'impatto mancavano solo quindici giorni, ormai. Prima, erano stati esperiti tutti i tentativi più canonici. Ma quando anche Bruce Willis aveva fallito, morendo prima di riuscire a far esplodere l'asteroide, tutti si erano convinti che non ci fosse più niente da fare. Oltretutto quell'ultimo tentativo aveva utilizzato praticamente tutte le risorse energetiche del pianeta, per cui, anche se qualcuno avesse ipotizzato un'altra soluzione, molto probabilmente non avrebbero potuto attuarla.
Così, quando il Dr. Otto van Kulen aveva bussato alla porta del Comitato Mondiale di Emergenza (WEC), sostenendo che con la somministrazione del ben noto test di Rorschach avrebbe potuto selezionare i soli due individui capaci di risolvere la situazione, si erano detti che non avevano niente da perdere e che tanto valeva dare il via libera.
I gemellini decisero di provare con «l’esplosione neuronale veicolata», ovvero concentrare le loro virtuose magie mentali e veicolarle come unico invisibile raggio scandagliatore, un raggio che potesse avere le capacità di percepire la materia, capirla, comprenderla e forse… forse gestirla.
Diedero disposizione di essere portati in una sala dedicata esclusivamente a loro, una sala che fosse internamente blindata e schermata in modo tale da non fare entrare nessun elemento che potesse alterare il loro potente e delicato stato di trance dell’immanente. Rimasero soli, all’interno della stanza non c’era nulla, quattro pareti incolori che sapevano di titanio e piombo. Era tutto asettico e vuoto.
Il gemello, pensò di approfittare dell’occasione (rara) di essere finalmente soli per cercare di approfittare sessualmente della gemella. La gemella rimase sulle sue, dicendo che forse era il caso di festeggiare con un trionfo di sesso gemellare SOLO se avessero risolto la cosa, o quantomeno fossero stati in condizioni di dare utili indicazioni sul come operare.
Il gemello rientrò in sé, con la lentezza del caso… e appena sublimate le ultime pulsazioni carnali si disse pronto all’amplesso mentale. Si concentrarono come sapevano fare: iniziavano il processo di inibizione sensoriale e univano menti e pensieri, entravano in sintonia con le vibrazioni del cosmo, con i suoi spazi terribilmente pieni di vuoto fino a sentire il gelo nel sangue, lo stesso gelo che gestisce l’intero universo. Erano pronti, iniziarono a scandagliare intorno al sistema solare, con il loro cieco pseudopodio di energia splendente.
Lo trovarono. Si muoveva veloce in direzione della terra.
Sarebbe stato più giusto dire LA trovarono…
Ritrassero immediatamente il loro raggio percettore con fare schifato.
Riaprirono gli occhi e sorrisero amareggiati.
Riunirono di tutta fretta il Comitato Mondiale di Emergenza, ed alla presenza del Dr. Otto Van Kulen riferirono in parte sollevati cosa si sarebbe prospettato per la nostra povera terra.
«Egregi signori (parlava il gemello, la gemella per quanto geniale, si impacciava nel parlare in pubblico), possiamo dire che l’allarme in parte può essere fatto rientrare. L’asteroide che ci sta venendo incontro non è formato da materia che si possa definire minerale, ma da un qualcosa che è più riferibile ad un composto organico in continua trasformazione, direi fermentazione…»
« OVVERO?»
«Ovvero, stiamo parlando di un ammasso di materiale organico di scarto evidentemente prodotto da qualche popolazione aliena che…»
«INSOMMA DI COSA STIAMO PARLANDO?»
«Signori, ci sta arrivando addosso una montagna di merda spaziale. Sono rifiuti compattati che sono stati lanciati nello spazio da chissà quanto e da chissà chi. La buona notizia è che in contatto con l’atmosfera si dovrebbero disgregare e diventare come un leggera grandinata di poltiglia merdosa spaziale.»
«EHM… E LA CATTIVA?»
«Stanno facendo degli studi accurati sulla traiettoria del Merdeorite, e pare che purtroppo non arrivi dritto sull’Oceano e neanche in pieno Mediterraneo. La sfortuna vuole che la pioggia di rifiuti si distribuisca in una zona concentrata sull’Italia, pare dalle parti della Campania. Propriamente, ehm… su Napoli.»
E mentre nel Comitato scoppiava un tumulto, e gli abitanti del pianeta si preparavano a tornare alle loro occupazioni tradizionali e ad ignorare, come sempre avevano fatto, quanto sarebbe successo a Napoli, il gemello si voltò verso la gemella. E pronunciò la frase che troviamo nei libri di storia: "Cara tutto e' bene quel che finisce bene. Trombiamo ora?"
Fine
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Il respiro del rosa (a Chicca)
21/02/2011 - 23:36
dall'amaranto nasce la forma
il tratto
emerge dall'azzurra assenza
cola nella terra
si protende
cerca
spirale antica di colori
evanescenza, spasimo
fino
al respiro del rosa
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Storia patria
17/03/2011 - 09:38
Aveva il volto cieco della storia, mia nonna, quando mi raccontava di guerre, stenti, lutti. Il pomeriggio, le leggevo il Libro Cuore: e piangeva, piangeva. Il Risorgimento era la storia dei suoi genitori, dei suoi nonni, la commuoveva la retorica di quel periodo. «Anch'io ho conosciuto un garibaldino», mi diceva. «Portava sempre la camicia rossa», ed io quella camicia me la immaginavo sempre lacera, sporca, aperta sul petto offerto al perfido invasor. Mi chiedeva di cantarle le canzoni che mi insegnavano a scuola. «Il Piave mormorava...», e lei piangeva e mi raccontava del suo primo marito, Renato, morto proprio lì, sul Piave. Nemmeno quel che si chiama l'onore di una pallottola: l'aveva stroncato il tifo.
Era lei la storia, per me, la Storia Patria, come si diceva allora. Sui sussidiari, l'astrazione delle date, delle battaglie. Sul suo viso, le rughe, i segni, le lacrime.
Cos'era poi per lei l'Italia? Non si era mai mossa dalla provincia di Roma, mai. Stava per farlo, stava per andare in America a raggiungere Renato, ma poi lui era dovuto tornare, coscritto, convinto con l'inganno. Gli avevano detto che non si fosse presentato alla leva, non avrebbero fatto partire mia nonna e la figlia che aveva lasciato là, in patria. Così, era rientrato. Il tempo di mettere di nuovo incinta sua moglie ed era partito per il fronte, per non tornare più. L'ultima guerra risorgimentale, la prima mondiale. La Grande Guerra.
«La patria è un inganno, una cosa per ricchi», mi diceva. «Per i poveri, la terra è terra, ovunque sia, basta che dia il pane». E stringeva le mani a pugno, come per trattenerla, quella terra, qualunque fosse.
Io non ho patria ma ho radici
larghe e profonde
Traggono linfa
dalle strade della mia città
lungo le linee delle generazioni
dai volti e dagli sguardi di chi amo
dalla millenaria esperienza del dolore
terra nera fertilissima
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Forse sono stata adottata (riflessione alla vigilia dell'otto marzo)
, 07/03/2012 - 08:25
a Stefania Tolari
«Uomini e donne sono uguali,» mi ripetevano mio padre e mia madre. Così, a fronte del fatto che io ero costretta a stirare camicie e lavare piatti mentre mio fratello no, lui poteva uscire a giocare coi suoi amichetti, mi ero convinta che la mia diversità risiedesse altrove: magari, che so?, ero stata adottata, come Cosetta nei Miserabili.
Erano i primi anni '60, e il movimento femminista era appena agli albori in Italia, sostanzialmente grazie alle donne comuniste, che però mai dimenticavano come la "liberazione della donna", fosse un obiettivo secondario, che veniva dopo la rivoluzione e l'instaurazione della dittatura del proletariato.
Solo dopo venne la consapevolezza della discriminazione di genere, allora praticata a tutti i livelli: giuridico, politico, economico e sociale, finché negli anni '70, il movimento di liberazione della donna esplose con tutta la sua forza.
Sono state importanti le lotte delle donne? Beh, a chi ne dubitasse dando tutto per scontato, ricordo che le donne hanno potuto cominciare a votare solo nel 1948.
Che fino al 1968 un suo adulterio sarebbe stato punibile per legge mentre quello del marito no (art. 559 del c.p.).
Che fino al 1981 il marito o padre o fratello che avessero ucciso la moglie, la figlia o la sorella per "motivi d'onore" - cioe' perche' scopavano, o amoreggiavano, o si sospettava lo facessero, con qualcuno - godeva di circostanze attenuanti. (art. 557 del c.p. - qui c'e' Pasolini, guardate, e' istruttivo: http://www.youtube.com/watch?v=IprzAKhB7DM)
Che fino al 1996 lo stupro di una donna non era un delitto contro la persona (guardatevi questo stralcio da "Processo per stupro", e' istruttivo http://www.youtube.com/watch?v=xaTmbLzyWmk&feature=PlayList&p=6305CA90A098AD66&index=0&playnext=1 e la storia di questo processo epocale la trovate qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Processo_per_stupro).
Divorzio, diritto alla contraccezione, aborto, sono state altrettante tappe di questa lotta.
Attualmente, grazie a tutte le donne e gli uomini che si sono battuti per ottenerlo, la legislazione italiana garantisce una sostanziale parità tra uomini e donne.
Allora, cosa non ha funzionato? Perché che qualcosa non abbia funzionato mi pare evidente: le donne non accedono a posti di potere (sia nel pubblico sia nel privato) se non in numeri percentualmente molto bassi, guadagnano meno degli uomini, sono le prime ad essere licenziate etc. etc.. Sappiamo tutti molto bene come stanno le cose.
Ecco, io sarò ingenerosa, ma penso che non abbia funzionato la consapevolezza delle donne stesse dei loro diritti e doveri. Troppe hanno avuto paura delle opportunità che si aprivano, hanno avuto paura di rivendicare i loro diritti, sebbene sanciti per legge. Hanno avuto paura di dire basta, di dire no. Condannando peraltro quelle che invece questo coraggio l'avevano, a sentirsi diverse, escluse, strane.
Come ho scritto all'amica Stefania, finché le donne accetteranno di 'adeguarsi', di essere trattate così, proponendo ai loro figli quel modello... beh, fintanto che succederà questo, non ci sarà scampo.
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Convalescenza
25/02/2012 - 07:20
che vuoi che ti dica? i giorni sono un po'
tutti uguali, le notti brevi
interrotte, popolate da sogni confusi
trame di guarigioni o melodrammatici addii
sproporzionati alla circostanza
: il ridicolo non osta al dolore, come a volte
s'impara
un libro continuamente aperto e richiuso
mi fa compagnia, il monte del cattivo consiglio*,
triste come sa essere triste la bellezza
il resto è quasi niente. il continuo richiamo
del corpo soffoca il volo, si scivola quieti
e dolenti.
fuori, un'insolita primavera, un presagio
di dolcezza a venire
(*) "Il monte del cattivo consiglio", di Amos Oz, Ed. Feltrinelli