Non saper niente della notte

1.

Non sapeva niente della notte. Nel suo mondo con tre soli, non c'era mai: appena un vago attenuarsi della luce, un allungarsi delle ombre. Così, quando la notte arrivava, si sentiva ancor più smarrita su quella terra aliena che stava esplorando.

Non bastavano i led del modulo di atterraggio. Il buio in fondo, oltre il cerchio di luce che aveva artificialmente creato, trasformava in sagome scure e minacciose i magnifici alberi, i cespugli profumati e le rocce. I versi degli animali, persino il canto degli uccelli, tutto sembrava evocare un dolore segreto.

Nonostante fosse lì da oltre un mese, Lielit non riusciva proprio ad abituarsi.

«Bogale, mi senti?» chiamò il suo compagno sulla nave madre, per attenuare lo sgomento che l'aveva colta. «Sono qui, Lielit, che succede?» «Niente, non succede niente, tranquillo. Mi sentivo sola...» «Non mi dire che hai paura! Dai, che tutto procede per il meglio e fra pochi giorni torni su.»

Era vero, la missione archeologica che li aveva portati sul pianeta stava andando bene. Aveva raccolto importanti testimonianze del fatto che vi si era sviluppata una civiltà di tipo A, sia reperti scritti sia manufatti, in alcuni casi aveva addirittura trovato intere città quasi intatte, a parte che degli esseri che le avevano costruite non c'era più traccia. La decifrazione dei vari linguaggi - per motivi incomprensibili, ce n'era più d'uno e utilizzavano anche diversi alfabeti - aveva richiesto poco tempo e così avevano potuto capire molto di quegli abitanti del pianeta. Ma non c'era ancora nessun indizio su come o perché fossero scomparsi.

Non era una cosa infrequente, nell'Universo. Molti non riuscivano a superare la fase atomica, perdevano il controllo della loro potenza. Ma lì, sul terzo pianeta di Sol, avevano sì trovato tracce di esplosioni nucleari, ma non tali da giustificare la completa estinzione degli esseri che l'avevano abitata. Né c'erano segni di qualche devastazione ecologica tale da risultare definitiva o di impatti di meteore o altre prove evidenti che spiegassero il mistero. Peraltro, di specie diverse da quella che si definiva "razza umana" ce n'erano moltissime, e tutte in perfetta salute.

«Dai, Lielit, vai a dormire, che domani ti aspetta una giornata lunga.» La voce di Bogale la fece sussultare, ma aveva ragione. «Vado, sì. Buon riposo, caro,» rispose. Si sdraiò nella cuccetta, attendendo il sonno.

2.

Lielit si svegliò dopo una notte agitata e preparò l'equipaggiamento. Oggi l'obiettivo erano le rovine di una grande città. L'aspettava un lungo viaggio e chissà quanto tempo per esplorare gli imponenti edifici ancora in piedi.

Si muoveva in fretta, con i gesti automatici imparati durante le lunghe esercitazioni. Un grazioso animale le si avvicinò con fare cauto. Muoveva la coda freneticamente e il naso, nero con la punta rosa, sembrava tremare nel tentativo di cogliere il suo odore. Era un "cane". Lielit lo sapeva grazie ai libri che avevano trovato e sapeva anche che spesso viveva con gli esseri umani. Si abbassò, tese con cautela una mano e quello ci appoggiò sopra il muso, guardandola con i suoi tondi occhioni nocciola.

Ne accarezzò il morbido pelo fulvo e il cane cercò di ricambiarla con qualche leccata a cui lei si sottrasse alzandosi di scatto. L'animale, impaurito dal movimento repentino, scappò con la coda tra le gambe. Si accucciò qualche metro più in là, continuando però ad osservarla.

«Sei carina, piccola,» le disse Lielit, convinta chissà perché che l'animale fosse una femmina. «Ti chiamerò Hailù,» aggiunse, sorridendo poi di se stessa: sarebbe stata via per giorni e chissà se l'avrebbe ritrovata.

Hailù, sentendosi oggetto delle sue attenzioni, scodinzolò lievemente e si riavvicinò a lei. La seguiva passo passo, osservando con la testa inclinata ora da una parte ora dall'altra tutto quello che Lielit faceva.

«Ora devo andare, però!» Cominciò a salire la scaletta del modulo e Hailù, senza nessuna esitazione, le andò dietro. «Non puoi salire qui, piccola,» disse Lielit con dolcezza, ma la cagnolina non se ne dette per inteso, anzi, la precedette dentro al veicolo.

«E adesso come faccio?!» si chiese Lielit. «Ma con chi parli?» la apostrofò Bogale. «Ecco... Con un cane. Mi è venuto dietro.» «Non puoi portarlo, lo sai!» «Lo so, lo so, ma che devo fare? Non mi si scolla dalle gambe.» «Prova a convincerlo...» «Ci ho provato, ma qualsiasi cosa dica, Hailù non mi da retta.» «Hailù? Ma le hai dato un nome?» «Beh, si....»

Bogale era rimasto senza parole e Lielit ne approfittò per chiudere lo sportello e partire.

3.

Le ore di viaggio verso l'antica città trascorsero in un soffio, grazie alla presenza di Hailù. La cagnolina sembrava non aver fatto altro che viaggiare su moduli di esplorazione: non toccò nessuna cosa che non dovesse, non sporcò né ruppe niente. Le stava sempre vicina, non voleva mai perderla di vista. Una presenza rassicurante e affettuosa, anche se in qualche momento un po' asfissiante, in particolare quando Lielit aveva pranzato. Hailù non smetteva di chiedere cibo, anche se non aveva affatto l'aspetto affamato, col suo bel pelo lucido e la pancia rotonda.

Ma insomma, le aveva fatto compagnia dopo tanti giorni in cui c'era solo la voce di Bogale ad alleviarle la solitudine. Già, Bogale. L'aveva rimproverata aspramente per aver portato l'animale con sé ma non aveva saputo darle nessuna idea su come avrebbe potuto evitarlo. Alla fine anche lui si era convinto che non c'era stata alternativa o almeno aveva fatto finta di esserne convinto.

Arrivarono alla città nel primo pomeriggio. Hailù cominciò subito a guaire e a grattare il portello del modulo con le zampe. «Vuoi uscire piccola? Lo credo, siamo chiuse qui da ore! Abbi pazienza due minuti, che prendo la mia attrezzatura,» disse Lielit e la cagnolina sembrò capire, accucciandosi in attesa.

Appena aprì, Hailù corse fuori, voltandosi a guardarla come se la invitasse a seguirla. Ma Lielit aveva un protocollo da seguire, per cui non le badò più di tanto. La cagnolina fece di tutto per attirare la sua attenzione. Corse indietro, la toccò col muso e poi corse di nuovo avanti, abbaiò, guaì, ringhiò persino. «Stai buona, Hailù, ma che ti prende?» chiese Lielit spazientita, ricevendo come risposta un sospiro accorato.

Comunque, l'animale sembrò rassegnarsi e si accoccolò vicino a lei che faceva le misurazioni previste. Non appena Lielit ebbe finito e diede segno di volersi muovere, però, balzò in piedi e ricominciò quell'assurda pantomima. «Va bene, tanto dovevo andare proprio in quella direzione,» disse Lielit sbuffando.

4.

Lielit guardava le rovine con tristezza. Nelle strade ormai dissestate in cui la natura stava riprendendosi i suoi spazi, vagavano solo animali, tutti apparentemente in buona salute, che Hailù buffamente sembrava salutare con un cenno del capo e uno scodinzolio. Aveva quasi l'impressione che volesse rassicurarli dei fatto che la sua presenza non costituiva una minaccia.

«Certo che no, piccola. Sai che non farei mai del male a un essere vivente. Al massimo, se qualcuno di loro mi aggredisse, gli sparerei un sedativo...» disse Lielit e Hailù scodinzolò guardandola, come se avesse capito.

L'esplorazione aveva un obiettivo ben preciso: un edificio che si chiama "Biblioteca del Congresso" e che, secondo tutte le testimonianze, custodiva la più ampia collezione di scritti del pianeta. Speravano di poter trovare lì qualche spiegazione alla scomparsa degli esseri umani, anche se ormai non ci contavano più molto.

«Bogale, sto andando nella direzione giusta?» chiese al suo compagno sulla nave madre. «Sì, Lielit, mi sembra di sì, per quanto possiamo saperne.» «Anche Hailù ne sembra convinta, sta andando dritta come un treno verso una meta che conosce solo lei!» «Non mi parlare di quel... cane. Sai come la penso.» «Dai, Bogale, hai ammesso anche tu che non avevo alternative. Non mi ha mica attaccato, non potevo sedarla, non è previsto» ribadì Lielit per l'ennesima volta. «Non è nemmeno previsto che si violi il regolamento sui rapporti con le specie aliene. Ma comunque, ormai è fatta, concentriamoci sull'obiettivo.»

Con la coda dritta come una banderuola Hailù la precedeva di qualche metro, girando sempre dove indicava il navigatore, senza mai esitare. «Sei proprio strana, cagnolina mia. Come fai sapere dove sto andando?» Quasi a confermare le sue parole, pronunciate sorridendo, l'animale si fermò davanti alle rovine di un palazzo.

«Ma è la Biblioteca del Congresso!» esclamò Lielit, guardando Hailù con un po' di inquietudine. «Bogale, lei lo sapeva che dovevo arrivare qui.» «Lei chi?» «Ma la cagnolina, no?» «Lielit, non mi far preoccupare. Come poteva saperlo? Sarà un caso che si sia fermata proprio lì, forse ha percepito la tua tensione muscolare o qualcosa del genere.» «Bogale, ti dico che.... Vabbè, non importa, adesso entro,» tagliò corto lei, rendendosi conto dell'impossibilità di convincere il compagno e chiunque non avesse visto Hailù precederla con tanta sicurezza.

5.

La grande Hall della Biblioteca era piena di libri strappati, pezzi di carta, disegni... secoli e secoli della civiltà che aveva abitato il pianeta giacevano lì, nel caos, sparse tracce senza senso. Per l'ennesima volta, Lielit si trovò a riflettere sull'infinita capacità di illudersi degli esseri senzienti.

Fondavano biblioteche, costruivano templi, lasciavano tracce su tracce nella convinzione che qualcosa sarebbe rimasto. Invece, nella maggior parte dei casi, non restava quasi niente. Qualche parola, qualche suggestione capace di smuovere i cultori della materia come lei, ma nient'altro che fosse capace di attraversare il gigantesco nulla spazio-temporale in cui galleggiano le esistenze di tutte le specie dell'universo.

Si accucciò vicino ad un libro, scorrendo con un dito la scrittura aliena che aveva imparato a conoscere. "Fatti non foste a viver come bruti, ma a inseguir virtute e canoscenza...", lesse, e quelle parole la commossero indicibilmente, risuonandole nel profondo. Anche lei e i suoi compagni ritenevano che fossero quelle le loro stelle polari, virtute e canoscenza, e chissà se anche di loro non sarebbe rimasto che qualche foglio sparso su un pianeta sperduto.

Hailù sembrò percepire il suo sgomento e le andò vicina, leccandole la mano fino a che Leilit non si fece convincere a staccarsi dal libro ed a guardarla. La cagnolina ricominciò le sue corse avanti e indietro, come per portarla in un posto preciso. Leilit decise di seguirla e si ritrovò in una grande sala di proiezione.

Fu Hailù a spingere il bottone che mise in moto la trasmissione ologrammatica: la sala si popolò all'improvviso di persone e animali. Una anziana donna prese la parola.

6.

«Chiunque tu sia che stai ascoltando questa registrazione, sappi che io ero uno degli abitanti della Terra, il terzo pianeta di Sol, e che, come tutti gli esseri della mia specie, ho contribuito a spingerlo sin quasi a morte certa, infliggendo al contempo sofferenze indicibili agli altri abitanti del pianeta, che noi chiamavamo animali per distinguerli da noi e giustificare così il loro sfruttamento e la loro uccisione.»

«La pretesa della nostra specie di essere la migliore era talmente radicata che coinvolgeva anche i cosiddetti 'animalisti', il cui amore nei confronti degli animali si traduceva spesso nell'attribuirgli sentimenti e aspettative antropomorfe che in verità erano loro del tutto estranee. Una tendenza che spinse alcuni a modificare geneticamente alcune specie, considerate le più 'intelligenti', inserendo nel loro DNA tratti 'umani' di modo che - questa era la tesi - potessero imparare a difendersi dall'uomo.»

Hailù, che fino a quel momento era stata immobile, seduta come una Sfinge, guardò Leilit e le fece un cenno col capo, come a dire: «hai capito, adesso?» «Ancora no, Hailù. Dove sono gli esseri umani?»

Come se volesse risponderle, l'ologramma riprese a parlare. «Quella fu la fine. Alla naturale ferocia degli animali, si aggiunsero alcune delle capacità degli esseri umani. Nessuno di noi sopravvisse. Io appartengo ad uno degli ultimi nuclei di resistenza. Registro questa testimonianza perché è nostra caratteristica voler lasciare una traccia, anche se forse sarebbe giusto lasciar scomparire persino il nostro ricordo....»

La trasmissione finì e gli ologrammi di persone e animali si dissolsero. Nella sala, Leilit e Hailù si fronteggiavano. «Bogale, hai sentito anche tu?» «Sì, Leilit, ora è tutto chiaro, no?» «Chiaro? Non lo so? Gli animali transgenici hanno sterminato gli esseri umani?» «Direi di sì, è quello che dice la donna, non credi?» «Mah, si... e che ne è di loro, degli animali GM, intendo?»

Hailù abbaiò, richiamando la sua attenzione. Fu come una risposta alla domanda di Leilit: eccoci qui, siamo noi, gli eredi degli sterminatori della razza umana, sembrava dire.

7.

Leilit sentì un brivido tra le scapole. Sul suo pianeta nessun essere senziente faceva parte della catena alimentare di altri esseri senzienti. Lì sulla Terra, invece, questa sembrava essere stata la norma. Non solo, ma l'esigenza primaria di nutrirsi si era anche trasmutata in una sorta di assurdo gioco, la caccia, per cui uccidere un altro essere vivente per cibarsene non era solo necessario, ma diventava divertente.

«Va bene, Bogale, direi che abbiamo finito, qui, no?» disse Leilit, improvvisamente ansiosa di andarsene. «Sì, cara, ma dobbiamo completare alcuni rilievi, lo sai. Dai, devi solo resistere un'altra notte.»

Già, la notte. Al solo pensarci le venne un groppo alla gola. Stava calando rapidamente, inghiottendo i palazzi e le strade. Per fortuna però, stavolta non era sola, stavolta c'era Hailù. Si voltò a cercarla con lo sguardo, ma fece in tempo a vedere solo il baluginio dei suoi denti, prima che il buio la inghiottisse.