I gesti di Maria

Qualche giorno fa stavo preparando una salsa. La rivista si raccomandava: usate il mortaio per macinare gli ingredienti, non il blender. Per motivi misteriosi in effetti posseggo un mortaio di marmo, forse un regalo di qualcuno, relegato fino a quel momento al ruolo di oggetto ornamentale. Cosi' mi sono detta: perche' no? Ed ho provato. Niente. I capperi, il prezzemolo, le alici etc, rimanevano li', integri ed irridenti ai miei sforzi. Al che ho chiesto a Daniele, mio marito, di provare lui. Ma ancora niente. Ad un certo punto non so che neurone sia scattato ed ho visto il gesto che faceva mia nonna Maria, ho sentito il rumore del pestello nel mortaio. L'ho detto a Daniele: non cosi', mi ricordo, il pestello deve fare ta-ta-tac, ta-ta-tac... e la mano si deve muovere cosi'. E come per incanto, la salsa ha cominciato a farsi.

Quante volte ho ritrovato nelle mie mani i suoi gesti, i gesti di Maria, i rumori della sua cucina.

Maria era una cuoca straordinaria. Per molto tempo lo aveva fatto anche per professione, cucinando nelle case della nobilta' romana. Lei era di origine contadina, di Cesano di Roma. Unica figlia femmina di non ricordo piu' quanti fratelli, pero', non aveva ereditato terre, e quando giovanissima era rimasta vedova con due figli a carico, a causa della prima guerra mondiale, quella Grande, era venuta nella Capitale per cercare lavoro. Aveva cominciato come cameriera, ma poi piano piano, osservando anche lei, aveva imparato - eccome! - a cucinare. Sapeva fare di tutto: dai fagioli con le cotiche alle terrine di fegato d'oca, dal castagnaccio alla charlotte di fragole. E tutto usciva dalle sue mani perfetto, rifinito. I suoi piatti erano sempre armonici, equilibrati e, soprattutto, belli. Non pesava mai gli ingredienti, faceva tutto ad occhio. E le quantita' erano sempre quelle giuste. Mai una maionese o una crema "impazzita", mai un arrosto bruciato.

Quando per mio fratello o per me venivano organizzate le festicciole di compleanno, per i nostri amici e parenti era una doppia festa: assaggiavano cose mai viste, dolci fatti in casa di una bellezza da togliere il fiato, friandise e bignet paradisiaci, vol au vent salati che non bastavano mai. Non avanzava mai niente, anche se le quantita' preparate sarebbero bastate a nutrire un esercito. Odiava le cose pronte, che all'epoca cominciavano a trovarsi. Una volta fece una scenata a mia madre, sua figlia, che pensando di farle un favore - quando successe il "fattaccio", Maria aveva 82 anni - compro' dei vol au vent surgelati. Non usava impastatrici, frullatori e quant'altro (che invece mamma acquistava non appena arrivavano sul mercato), nessuno strumento complicato o specifico: solo una frusta, coltelli, cucchiarelle di legno - che servivano anche a punire i nipoti quando la facevano arrabbiare - qualche stampo, qualche formina.

Quando ero piccola, fino a tutte le elementari, passavo lunghi pomeriggi con lei, che ricordo sempre ai fornelli. Mi sedevo in cucina su una sediolina, appoggiando su una sedia "normale" i quaderni, il sussidiario e l'antologia per fare i compiti. A volte le ripetevo ad alta voce brani di quello che stavo leggendo in quel momento. Lei aveva fatto fino alla terza elementare, e ne era molto orgogliosa: in effetti, per una contadina della sua generazione - era del 1898 - era un fatto abbastanza straordinario. Che pianti si e' fatta sul libro "Cuore", sui raccontini moralisteggianti dell'antologia. E come ribatteva, lei comunista, alla visione conservatrice della storia che ci ammannivano i sussidiari dell'epoca. E poi mi raccontava le sue storie, quelle della sua vita; di sua madre, nonna Checca, che aveva avuto tre mariti ed innumerevoli figli; di suo fratello colpito dal fulmine; della vigna dell'altro suo fratello; della prima guerra mondiale e della seconda; dei fascisti; dei nazisti; dei bombardamenti.

Ed intanto le sue mani cucinavano, senza mai perdere il controllo di quello che stava facendo, ed i miei occhi guardavano, senza perdere una parola di quello che mi diceva. E' cosi' che i suoi gesti sono entrati in me, come anche i rumori: lo sfrigolio della pasta dei bignet nel tegame; il ritmo del pestello; il rumore del coltello sul tagliere per fare il battuto. Lei non permetteva a nessuno di aiutarla: al massimo ti faceva pelare le patate o pulire la verdura (non tagliarle, a quello ci pensava lei). Di piu', non mi ha mai esplicitamente insegnato niente sulla cucina. Ma nei miei occhi sono rimaste le sue mani.