“Cerchiamo volontari per innovativo test di innesto di ricordi. Presentati!”
L'annuncio lampeggiava insistentemente, illuminando la strada della periferia desolata in cui Giulia era sempre vissuta. Non era stato difficile decidersi: la sua vita era così squallida che ricordi diversi non avrebbero potuto che farle bene. Chi se li vuole ricordare un padre ubriacone che ti mena un giorno sì e l'altro pure, per poi morire con la faccia in un rigagnolo in mezzo ai cassonetti della spazzatura; una madre sciatta e sfatta dagli psicofarmaci; le sfortunate storie con i ragazzi della zona, il più tranquillo ed onesto dei quali era stato uno spacciatore di marijuana? Ricominciare da capo, azzerare tutto. Sì. Un nuovo inizio.
Quando era entrata nella ovattata sede della IRT, le era già sembrato che le si spalancasse un altro mondo. Ed il prof. Ranieri era stato così rassicurante. «Non c'è nessun effetto collaterale. I ricordi che le innesteremo lei li vivrà come assolutamente veri e si sovrapporranno a quelli, diciamo così, reali.» Poi si era lasciato andare ad una tirata filosofica sulla differenza tra realtà e verità di cui non aveva capito quasi niente. Quello che aveva ben compreso, invece, era che, entro certi limiti, poteva scegliersi i ricordi che voleva.
«Quali limiti?» aveva chiesto al professore. «Beh, cara Giulia.... dopo l'innesto dovrà tornare a casa sua, ritrovare la strada, riconoscere il palazzo, sua madre, i suoi fratelli e sorelle, il supermercato in cui lavora. Le consiglio di fare qualche piccolo ritocco, un po' come un intervento di chirurgia estetica....» Beh, se era per questo, lei si sarebbe fatta volentieri anche un trapianto di faccia. Ma tant'è. Aveva deciso di cancellare i suoi ex fidanzati e di fare di suo padre un uomo buono, affettuoso con i figli, morto in Afghanistan mentre combatteva per la patria. Questo non cambiava di un ette la sua vita: sua madre sarebbe rimasta depressa, ma almeno avrebbe avuto un motivo onorevole; lei avrebbe continuato a lavorare in un supermercato; il quartiere avrebbe continuato ad essere quello che era. Ma forse sulla base di quel ricordo innestato, Giulia avrebbe potuto migliorare la sua autostima.
Per un po' in effetti aveva funzionato. La memoria di quell'uomo grande e grosso, che la faceva volare in cielo quando era piccola, senza mai lasciarla cadere, l'aveva sostenuta nel tran tran quotidiano. Persino sua madre stava meglio: forse perché Giulia stessa era più affettuosa, consapevole del fatto che perdere un marito così era una vera tragedia.
Poi, aveva incontrato quel Tommaso. Era un amico di suo padre, del suo padre "reale". «Allora, cucciola, come sta quel vecchio ubriacone?» le aveva chiesto. «Come si permette? Mio padre è morto in Afghanistan! Lui era un eroe, ubriacone sarà lei!» aveva subito reagito. Lui non aveva insistito, l'aveva guardata come se fosse pazza, poi se ne era andato bofonchiando: «Contenta tu...»
Ma dopo Tommaso era arrivato Roberto, e poi c'erano stati Gianni e Riccardo e infine quella donna, Maria. «Senti, cucciola, tu non mi conosci, ma vedi.... io ero un'amica di tuo padre... molto amica... Sei abbastanza grande ora, capisci ciò che intendo. Non l'ho più visto. Sono mesi che è scomparso. Che fine ha fatto?» Lei aveva fatto per andarsene, ma la donna l'aveva presa per un braccio, insistendo. «Ti prego, cucciola...» «Non mi chiami cucciola! Solo mio padre mi chiamava così. Io non la conosco.» «Io... vedi io... noi stavamo insieme, sai? Io lo amavo. Stavamo insieme da tanti anni, da ancor prima che lui cominciasse a bere. Allora non aveva voluto lasciare tua madre perché tu e i tuoi fratelli eravate ancora piccoli, poi era stato troppo tardi, l'alcool...» «Ma che dice, che racconta? Mio padre non ha mai bevuto, è morto in Afghanistan, era un eroe! Mi lasci stare, mi lasci stare...»
Giulia si era divincolata, ma Maria non mollava la presa, e lei aveva cominciato a colpirla, a colpirla, a colpirla, senza più riuscire a smettere.
Finì in carcere per omicidio colposo. Il suo avvocato aveva scoperto che era stata alla IRT ed aveva cercato di far passare l'innesto di memoria come un equivalente della momentanea incapacità di intendere e di volere, senza riuscirci però.
In galera rimase poco, in fondo era incensurata. Dal carcere dei suoi ricordi, invece, non uscì più.
Lo spunto di questo mio scritto è un racconto di Stefania Tolari pubblicato su Neteditor.it, che trovate qui. Alla sfida da lei lanciata hanno già risposto Paxhole, con "Verso il Calmig", e DoctorWho, con "Il giorno del test". Questo è il mio contributo :-)
Grazie a tutti e tre!