La donna arrabbiata

Tra gli abituali frequentatori del vicolo su cui affaccia il mio ufficio, la conosciamo tutti, la donna arrabbiata. Sappiamo che basta incrociare per un secondo il suo sguardo, perché cominci a urlarti contro improperi di tutti i tipi, conditi da fantasiosissime bestemmie e articolate teorie del complotto.

La donna arrabbiata è una di quelle persone dall'età indefinita. Adulta, sì, ma potrebbe avere dai trenta ai sessant'anni, complice la tinta bionda dei capelli, che le cadono lunghi e incolti sulle spalle curve, scosse da un continuo fremito di disgusto. Di lei si sa solo che si chiama Anna e, quanto alla sua storia, girano infinite leggende metropolitane, una più incredibile dell'altra.

La voce di Anna è roca, ma potente. Le sue parolacce rimbalzano sul travertino dei palazzi, si incanalano nei solchi tra i sampietrini, s'annidano nelle crepe del tufo, riempiono tutto il vicolo con la loro veemenza. Creano un inopinato senso di colpa, perché in fondo lo sappiamo, che siamo tutti colpevoli, che ci meritiamo le sue accuse.

Passa sempre verso le cinque del pomeriggio e a passo deciso, quasi militaresco, percorre la stradina. In genere chi la incrocia fa il possibile per non guardarla, per non dover subire la sequela di grida ed insulti, ma c'è sempre il passante casuale o il "locale" distratto, per cui quasi ogni pomeriggio si assiste alla stessa rappresentazione.

Oggi, però, quando mi affaccio alla finestra per fumare una sigaretta, la vedo camminare a capo chino, la donna arrabbiata. Trascina i piedi a fatica e borbotta tra sé. Non si accorge nemmeno della ragazzina che si gira a guardarla con insistenza. Mi viene quasi voglia di gridare il suo nome per sentirmi rispondere con una raffica di improperi. Ma non faccio niente. Spengo la sigaretta e chiudo la finestra, oppressa da un'indefinibile tristezza.