Vertigini

Il precipizio si aprì davanti ad Elena improvvisamente. Camminava svelta sul marciapiede quando senza accorgersene si era trovata su una di quelle grate che servono a dar aria ai garage o ai magazzini sotterranei. Nero, buio, paralisi. Chiuse gli occhi cercando di respirare, di non farsi assorbire da quel vuoto di senso che come sempre l'aveva colta. Oscillò pericolosamente.«Signora, sta male?» Si aggrappò alla voce scaturita improvvisamente accanto a lei come ad una gomena lanciata ad un naufrago. Riaprì gli occhi e vide un omino sbilenco, che sembrava aver bisogno lui di sostegno, ma le porgeva il braccio con occhi rassicuranti e pieni di forza. Vi si appese e riuscì a superare il baratro che la stava risucchiando.

«Grazie, mi scusi.... Sa, le vertigini...» «So bene, per questo ho capito subito cosa le stava succedendo. Ne soffrivo anch'io, sa?» «Usa l'imperfetto? Allora vuol dire che si può guarire... Tutti gli specialisti che ho consultato l'hanno escluso, tranne quelli che volevano spillarmi soldi.» L'omino sorrise, ma solo con le labbra. Gli occhi rimasero seri. «Sì, sono guarito, ma non le auguro di sperimentare il mio metodo.»

Elena vide negli occhi dell'uomo una storia ed a lei le storie piacevano moltissimo, così gli propose di prendere un caffè insieme. Seduti al tavolino del bar, dopo un primo impaccio, venne al dunque. «Allora, mi vuole spiegare come è guarito dalle vertigini?» «È proprio sicura di volerlo sapere?» «Ma... sì, perché no?» «Perché ci sono cose più spaventose di un precipizio... ma se insiste...» Ci sapeva fare l'omino a creare la suspence, pensò Elena, prima di aggiungere «Sì, la prego, vada avanti.» «Però mi deve promettere una cosa, di non interrompermi. Alla fine mi potrà fare tutte le domande che vuole.» «Va bene» replicò Elena, sempre più incuriosita dal modo di fare del suo interlocutore.

E la storia incominciò. «Mi chiamo Yaris Yunabi e sono di Gliese...» «Gliese? E dov'è?» «Ricordi la promessa...» «Ha ragione scusi, non accadrà più.» «Dicevo, mi chiamo Yaris Yunabi e sono di Gliese, un pianeta nella costellazione della Bilancia. Un bel pianeta che qui sulla terra avete scoperto nel 2007, classificandolo come abitabile. In realtà, poco dopo avete corretto i calcoli e scoperto che deve essere molto, molto caldo: troppo per ospitare acqua allo stato liquido. Da qui ne avete dedotto che abitabile non era... per voi. In realtà il pianeta è abitato da noi, una razza molto, molto più antica della vostra, che ha sviluppato tecniche di terraforming assai efficaci.»

Si interruppe per bere un sorso d'acqua, dando così ad Elena il tempo di pensare quanto il suo gusto per le storie la esponesse ad incontrare mitomani.

«Eh no, non sono un mitomane, signora!» se ne uscì l'omino un po' piccato. Ed allo sguardo stralunato di Elena per il fatto che lui avesse usato esattamente il termine che lei aveva pensato, aggiunse: «già. Noi di Gliese sappiamo leggere nel pensiero. Anzi, di più: noi partecipiamo ai pensieri ed emozioni gli uni degli altri. E proprio questa è stata l'origine di tutti i miei guai.»

«Come le ho detto, soffrivo di vertigini. Di acrofobia, più precisamente: paura dei luoghi alti. Ma la definizione di alto, come lei ben sa, è relativa. A volte basta un gradino, un piccolo dislivello a scatenare ondate di panico. E queste ondate di panico, proprio per la capacità della mia razza di compartecipare alle emozioni altrui, si diffondevano in tutte le persone vicine e da loro ad altri, fino a che in un raggio di qualche chilometro, tutti erano paralizzati dal terrore. Una situazione insostenibile, capisce bene. La comunità in cui vivevo tentò di tutto. Interpellammo tutti gli specialisti, provammo le cure più bizzarre, ma niente. Fobico ero e fobico rimasi.

Così, l'unica soluzione possibile apparve l'esilio...

Scelsero Terra. Anche noi avevamo individuato da tempo il vostro pianeta, giudicandolo abitabile. Non siamo mai venuti, perché riteniamo la vostra razza ancora troppo primitiva per accettare l'esistenza di alieni. Mi portarono qui, e mi ci lasciarono, ignorando il mio pianto e il mio dolore.»

L'uomo chinò il capo, nascondendo una lacrima che gli percorse tutta la guancia, andando poi a cadere sul tavolino con un piccolo rumore sordo.

«Le vertigini dice? Sono scomparse. Forse per la gravità più bassa che c'è sul vostro pianeta e che mi dà anche quest'aria sbilenca», disse l'uomo rispondendo alla domanda di Elena prima che lei gliela rivolgesse.

«Signor... Yaris...» cominciò lei, ma lui la interruppe. «No, lasci stare. Vado adesso...» L'omino si alzò e pochi secondi dopo era scomparso, risucchiato dalla folla. Una folla sorda, di cui egli percepiva ogni pensiero, ma dalla quale non era compreso né ascoltato. Elena improvvisamente si rese conto dell'immensa solitudine di quell'essere, abituato all'empatia totale e trascinato in un posto in cui nessuno sentiva le sue emozioni. Sì, ci sono cose più spaventose di un precipizio...