La mia signora Maestra mi amava, ma la facevo disperare.
A quel tempo - parlo degli anni '60 - non c'era solo l'ora di religione. Tutto era permeato dalla Santa Romana Chiesa Cattolica Apostolica. Le letture del sussidiario, le poesie dell'antologia, i discorsi della maestra. Tutto. Tutto tranne me e la mia unica compagna di classe ebrea. Ma io ero quasi peggio: pensate che orrore, ero figlia e nipote di comunisti!
La mia signora Maestra comprese la situazione quando eravamo in seconda elementare. Entro' in classe con dei volantini della Democrazia Cristiana (il catto-comunismo era ancora una cosa da elite, allora). Io le sorrisi, come facevo sempre, e le chiesi: "Signora Maestra, ma i democristiani non sono tutti ladri?". Lei impallidì e mi apostrofò: "Ma chi te l'ha detto??". "La mia nonnina, signora Maestra", risposi io.
Il giorno dopo i miei genitori vennero convocati a scuola. Non so cosa si dissero, ma lo immagino. Uscirono dal colloquio e vennero a prendermi in classe. Mio padre mi strinse a se', mi accarezzo' la testa e mi disse: "Brava!". Io non sapevo in cosa ero stata brava, ma la carezza me la presi volentieri.
Da allora, lo scopo precipuo della mia signora Maestra, divento' quello di catechizzarmi.
Ogni mattina, tutte le mattine, ci faceva recitare il Padre nostro e l'Ave Maria, piu' le preghiere speciali per i giorni speciali. Io le recitavo come recitavo le assurde poesie dell'antologia sui tini e sui mosti che, essendo cresciuta nelle borgate romane, certo non avevo mai visto.
Oppure ci faceva vedere il moto dei pianeti e delle stelle e diceva, guardandomi fissa: ma davvero potete pensare che tutto questo esisterebbe e sarebbe cosi' ordinato se non ci fosse chi l'ha creato? Io alzavo la mano e chiedevo: ma non e' cosi' ordinato per via della forza di gravita'?
L'altra cosa che fece, e' che abbasso' il crocefisso appeso in classe ad altezza di bambino ed ogni mattina, tutte le mattine, ce lo faceva baciare. A tutti, non solo a me di famiglia miscredente, ma anche alla nostra compagna di classe ebrea, che quando lo racconto' a casa successe un putiferio.
Io le chiedevo, di tanto in tanto: signora Maestra, ma perche' ci fa baciare questa statuetta? Lei mi rispondeva: Franca, lui e' morto per noi. E io: ah, come i partigiani?
La povera donna era stremata. Lo vedevo. E siccome l'amavo anch'io, smisi di fare domande e di dare risposte sull'argomento. Lei si pacifico', forse pensando che quel bacio quotidiano m'avesse convinto. Non era vero, ma tant'era. Tant'e'.
Quell'esercizio che sottolineava la mia "diversita'", raccontato cosi', sembra innocuo. Ma quel senso di estraneita', di non essere come gli altri - i miei compagni di classe mi guardavano come si guarda un alieno di un'altra galassia - io continuo a portarmelo addosso. Certo, non sarei quella che sono se non avessi vissuto questa esperienza. Ma anche Primo Levi - si parva, ma proprio parva, licet componere magnis - non sarebbe stato quello che era se non fosse stato ad Auschwitz. Tutte le esperienze sono esperienze, e una volta fatte, non si puo' tornare indietro. Ma magari, se ce ne fosse evitata qualcuna, vivremmo meglio.