stounding! mi dice l'amica inglese in transito a Francoforte e diretta in Cina.
È rimasta bloccata una settimana nell'aeroporto e ha perso la testa per un argentino che andava a Mosca. Stavano seduti nella sala d'attesa come innamoratini di Peynet, impossibilitati a dar sfogo ai sensi accesi dalla folla di gente accampata che li circondava.
Hanno deciso di rivedersi fra due settimane ad Amsterdam, che, mi spiega da pragmatica inglese, costa meno di Venezia pur avendo anch'essa i canali.
E' amore vero, assicura, e pensa già a quando racconteranno ai loro figli dell'eruzione di Eyjafjallajokull in Islanda che ha fatto incontrare mamma e papà. Io le dico che dubito che riuscirà a pronunciarne il nome. Non metto invece in dubbio l'amore, che so essere generato dal movimento, dall'inatteso.
Una forma benigna del caos, l'amore, un vento che scompiglia le idee e i piani precostuiti, che ci coglie sempre impreparati.
In fondo, che differenza c'è tra la nube generata dall'eruzione di un vulcano e la freccia scagliata da Eros? Si svolta un angolo, si cambia lavoro, casa o panorama, si rimane bloccati in un aeroporto, si entra all'università, si sale in un autobus o ci si iscrive a un sito letterario ed ecco che lui irrompe, festante o drammatico che sia.
Perché l'amore è l'unica vera forza vitale: il resto è specchio, rappresentazione.
Così le ho detto, e lei ha riso: un risata argentina, bella, che non sembrava la sua solita e che ancora mi risuona nelle orecchie.
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