Dioniso e la follia

il piede che batte il suolo

il corpo inarcato

la testa gettata all'indietro

celebro te, Dioniso,

che m'hai regalato la follia

per dimostrare d'essere un dio

ah, concittadini tebani,

voi che non gli credevate

guardate noi donne adesso,

come impazzite,

inebriate di vino, piacere e danze,

che corriamo tra i monti.

folli sì, folli di consapevolezza!

si può vivere così,

insieme alla natura e agli dei,

godendo della pioggia e del sole

dell'erba che ci accarezza la pelle facendo l'amore,

del piacere d'esistere.

io non voglio guarire

: lasciatemi qui, nel tiaso del nato due volte,

Dioniso figlio di Zeus e di Semele,

strappato al grembo della madre,

partorito dalla coscia del padre,

lui, che conobbe la pazzia e fu schiavo,

che lottò per rientrare nell'Olimpo.

e se il senso di colpa rimasto

ci trasforma in belve sanguinarie,

se come Agave uccidiamo i nostri figli

e ne infilziamo la testa su una lancia

allora ammazzateci, si.

ma non riportatemi dietro l'arcolaio

o nella casa a prendermene cura,

a vivere la vita ordinata di Tebe.

io non voglio la vostra civiltà

: voglio battere i piedi sul suolo

e danzare, danzare, danzare!

Menade danzante.

Copia romana di un originale greco della

fine del V secolo a.C. Prado, Madrid