DOMENICA SETTIMA DOPO PENTECOSTE
Un pericolo, un dovere, un illusione.
(Mt. 7, 15-21)
Nel Vangelo di oggi N.S. Gesù Cristo, da Maestro saggio, ci insegna tre cose della più grande importanza:
ci mette in guardia da un pericolo: i falsi maestri;
ci inculca un dovere : le opere buone;
ci scampa da un'illusione: le parole in luogo dei fatti.
Un pericolo: i falsi maestri.
Il pericolo dal quale Gesù ci mette in guardia, e che è un grande ostacolo per l'entrata nel regno dei cieli, è costituito dai falsi profeti, ossia dai falsi maestri. Profeta, infatti, secondo il linguaggio biblico, non significa soltanto colui che predice il futuro, ma anche colui che insegna la verità e la virtù, ossia il maestro.
Dice dunque Gesù: « Guardatevi dai falsi profeti! Essi vengono a voi vestiti da pecore: ma al di dentro son lupi rapaci »
Ma chi sono in concreto questi falsi profeti?…
Tali profeti, al tempo di Gesù, erano principalmente gli Scribi e Farisei i quali, sotto mentite spoglie di agnelli, si rivelavano lupi rapaci, intenti sbranare le anime con l'allontanarle insidiosamente dalla via della verità e della virtù insegnata da Cristo. Falsi profeti sono oggi principalmente gli eretici, gli scismatici, in una parola, tutti coloro che, pur atteggiandosi a cristiani, cercano di insegnare il rovescio di ciò che ha insegnato Gesù Cristo.
Falsi profeti sono anche, oggi specialmente, certi scrittori d i romanzi perversi (d'Annunzio, Da Verona, Zola, ecc.) che, sotto l'orpello della bellezza letteraria, addentano brano a brano l'innocenza di tanti giovanetti e di tante fanciulle; falsi profeti sono certi pseudo-filosofi che; sotto il pretesto della sapienza filosofica, tendono a disorientare le anime e a stringerle tra le spire della incredulità e dello scetticismo.
Tutti questi falsi profeti, sono veri lupi che si presentano con la lana degli agnelli, con l'intento di mutare subdolamente gli agnelli in altrettanti lupi. Avviene a un dipresso quella metamorfosi descritta così bene da Dante nel Canto XV dell'Inferno. Giunto all'ottavo girone, egli vide arrivare di furia un serpente di sei piedi, avventarsi addosso ad un'anima. dannata, stringerla membro a membro, fino a formare con essa un sol corpo mostruoso che si allontanò lentamente. E alcuni che assistevano a quella orrenda scena esclamavano: « Ohimè, Agnel, come ti muti! » (Inf., 25,67).
Dinanzi a tante anime, specialmente giovanili, veri agnelli per la semplicità e la mansuetudine, tramutati in lupi mostruosi dai romanzi o da scritti pseudofilosofici, con quanta ragione si potrebbe ripetere « Ohimè, Agnel, come ti muti! ».
Guardiamoci bene, dunque, dai falsi profeti, ossia dai falsi maestri. di verità e di virtù! E per guardarcene bene, Gesù ci ha dato un criterio ossia un segno infallibile onde riconoscerli subito. « Li conoscerete - Egli ha detto - dai loro frutti! Si coglie forse uva dalle spine, o fichi dai triboli?».
L'effetto manifesta sempre l'esistenza e, in qualche modo, la natura della causa dalla quale procede. Se l'effetto, ossia il frutto, è cattivo, anche la causa, ossia l'albero, è cattivo. Il maestro della falsità e dell'empietà non produrrà altro che frutti di falsità e di empietà.
Un dovere: le opere buone.
Dopo averci messo in guardia da un pericolo (quello dei falsi maestri) Gesù passa ad inculcarci un grande dovere: quello delle opere buone. Dice infatti: «Ogni pianta che non porti buon frutto, si taglia e si getta nel fuoco ». Non basta dunque - come vorrebbero alcuni non fare li male, ossia non rubare, non ammazzare, ecc. E' necessario anche fare li bene. Non basta non essere malefici; è anche necessario essere benefici, ossia fare tutto quel bene che possiamo e dobbiamo fare. Per questo lo Spirito Santo ci esorta : « Declina a malo et fac bonum.» Fuggi li male e pratica il bene!
I frutti ossia le opere buone che ciascuno è in dovere di compiere per essere vero maestro, vero e autentico cristiano e per evitare dire di esser condannato a bruciare nell’inferno come ramo disseccato ,sono quello che vengono ricordate da S. Paolo nella lettera 1a ai Corinti, vale a dire la pazienza, la benignità, la gioia peril bene altrui, la rettitudine, l'umiltà, la modestia, li sacrificio, la dolcezza, la semplicità, la mestizia pel male, l'amore del vero, la speranzai concussa, la fortezza nel dolore, la perseveranza... (1 Cor. 13).
Un'illusione: le parole in luogo dei fatti.
Gesù, infine, dopo averci ricordato li dovere delle opere buone, ci scampa da un illusione: le parole in luogo dei fatti. Ci vogliono fatti e non parole: « Non tutti quelli che dicono: Signore, Signore, entrano nel regno dei cieli: ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, costui entra nel regno dei cieli ».
Diceva bene l'Alighieri, echeggiando le parole di Gesù: «molti gridan: "Cristo, Cristo! " - che saranno in giudicio assai men prope a Lui, che tal che non conosce Cristo » (Par., xix, 106-108).
Non basta, dunque, aderire a Gesù esteriormente per essere veri maestri o anche veri cristiani; ossia non bastano le belle espressioni (che equivalgono a un po' d'aria percossa), o alcune pratiche religiose materialmente eseguite. E’ necessario aderire a Gesù anche e sopratutto interiormente, con tutta l'anima, con tutte le forze facendo in tutto e sempre la volontà di Dio, manifestata dai vari comandamenti della sua legge. La volontà di Dio: ecco la chiave d'oro che ci apre il regno dei cieli.
Si racconta che, allorquando uno domandava di essere ascritto fra i cittadini romani, Catone - il rude censore - si affrettava a scrutargli le mani, e se non le vedeva callose pel lavoro le respingeva sdegnosamente esclamando: « Non sei degno di essere cittadino romano! ». Le mani incallite dal lavoro, le mani colme di opere buone: ecco il certificato di identità, ecco la tessera che distingue infallibilmente il vero dal falso cristiano, e che nel giorno del giudizio gli darà il diritto di essere ammesso fra i cittadini del cielo, ossia - come dice l’Alighieri «. di quella Roma onde Cristo è Romano » (Purg., 32, 102).
(P. Gabriele M. Roschini, Predicate il Vangelo, LICE Torino, 1943, pp. 113-115)