Amati confratelli della Comunità Francescana,
e voi tutti, carissimi fratelli e sorelle.
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2. “Exsulta, Lusitania felix; o felix Padua, gaude”, ripeterò col mio predecessore Pio XII (cf. AAS 38 [1946] 200): esulta, nobile terra del Portogallo, che nella schiera numerosa dei tuoi grandi missionari francescani hai come capofila questo tuo figlio. E rallegrati tu, Padova: alle glorie della tua origine romana, anzi preromana, ai fasti della tua storia a fianco della vicina ed amica Venezia, tu aggiungi il titolo nobilissimo di custodire, col suo sepolcro glorioso, la memoria viva e palpitante di sant’Antonio. Da te, infatti, il suo nome si è diffuso e risuona tuttora nel mondo per quella nota peculiare, già da me ricordata: la genuinità del suo profilo evangelico.
Un vasto ambito, in cui si espresse al meglio tale evangelicità di sant’Antonio, fu senza dubbio quello della sacra predicazione. Qui appunto, nell’annuncio sapiente e coraggioso della Parola di Dio troviamo uno dei tratti salienti della sua personalità: fu l’attività indefessa di predicatore, accanto ai suoi scritti, che egli ha meritato l’appellativo di “Doctor Evangelicus” (cf. Ivi. 201).
“Passava - annota il biografo - per città e castelli, villaggi e campagne, dovunque spargendo i semi della vita con generosa abbondanza e con fervente passione. In questo suo peregrinare, rifiutandosi ogni riposo per lo zelo delle anime . . .” (Vita prima o Assidua, 9, 3-4).
Non era la sua predicazione declamatoria, o limitata a vaghe esortazioni a condurre una vita buona; egli intendeva annunciare veramente il Vangelo, ben sapendo che le parole di Cristo non erano come le altre parole, ma possedevano una forza che penetrava gli ascoltatori. Per lunghi anni si era dedicato allo studio delle Scritture, e proprio questa preparazione gli consentiva di annunciare al popolo il messaggio di salvezza con eccezionale vigore. I suoi discorsi pieni di fuoco piacevano alla gente, che sentiva un intimo bisogno di ascoltarlo e non riusciva, poi, a sottrarsi alla forza spirituale delle sue parole.
Si può dire, pertanto, che allo stile evangelico, proprio del discepolo pellegrinante di città in città per annunciare la conversione e la penitenza, corrispondeva il contenuto evangelico: formato allo studio della Scrittura che al Pontefice Gregorio IX aveva suggerito per lui l’epiteto di “arca del Testamento”, era soprattutto la pura dottrina di Gesù Cristo che egli riproponeva nel predicare agli uomini del suo tempo.
3. Al ministero della parola Antonio seppe congiungere, esplicandovi altrettanto zelo, l’amministrazione del sacramento della Penitenza. Grande sul pulpito, egli non fu meno grande all’ombra del confessionale, coordinando quanto per logica soprannaturale deve essere e rimanere congiunto. Predicazione e ministero della confessione, infatti, si collocano come due momenti di un’attività pastorale che mira in fondo al medesimo scopo: il predicatore prima semina la parola di verità, avvalorandola con la sua personale testimonianza e con la preghiera; ed egli stesso ne raccoglie poi i frutti come confessore, allorché riceve le anime sinceramente pentite e le offre, per il perdono e la vita, al Padre delle misericordie.
Facile e naturale era per Antonio il passaggio dall’uno all’altro ministero: già predicando egli parlava spesso della confessione, come confermano i suoi “Sermoni”, dove sono rare le pagine che non ne contengono qualche cenno. Ma non si limitava ad esaltare le “virtù” della penitenza, né soltanto raccomandava di frequentarla ai suoi ascoltatori. Attuando personalmente le sue parole ed esortazioni, era molto assiduo ad amministrare il Sacramento. Vi erano giorni in cui Antonio confessava senza interruzione fino al tramonto, senza prender cibo. Sappiamo, inoltre, che “egli induceva a confessare i peccati una moltitudine così grande di uomini e di donne, da non esser bastanti ad udirli né i frati, né altri sacerdoti che in non piccola schiera lo accompagnavano” (cf. Vita Prima o Assidua, 13, 13).
Davvero per lui, secondo le sue stesse parole, “casa di Dio” e “porta del paradiso” era la confessione in una visione di fede così viva, che all’aspetto sacramentale e canonico (tanto approfondito dalla teologia medievale) imponeva come culmine l’incontro affettuoso col Padre celeste e l’esperienza confortante del suo generoso perdono.
Nella luce di Antonio ministro del sacramento della Penitenza, come non ricordare in questa città di Padova un altro religioso della famiglia francescana, il beato Leopoldo Mandic da Castelnuovo, l’umile e silenzioso cappuccino che, nella riservatezza della sua cella del convento di Santa Croce, fu per decenni ministro della confessione, infondendo col sacramento del perdono pace e serenità a innumerevoli persone di ogni età e condizione?
4. Sono esempi preclari quelli di cui sto parlando, carissimi fratelli e sorelle, che mi ascoltate. Ma trovandomi nel Tempio che da Antonio si nomina, permettete che, prima che ai Laici, io mi rivolga soprattutto a voi, religiosi, che qui attendete a questi sacri ministeri “ex officio”, ed anche a voi, sacerdoti diocesani di Padova e del Veneto.
Predicazione e Penitenza: ecco un grande binomio di pura matrice evangelica, il quale dalla pratica luminosa di Antonio anche a voi si ripropone, essendo pienamente valido ed urgente per i nostri giorni, pur tanto dissimili dai suoi. Cambiano i tempi; possono cambiare, e di fatto cambiano secondo le indicazioni sapienti della Chiesa, metodi e forme dell’azione pastorale: ma i principi fondamentali di essa e, soprattutto, l’ordinamento sacramentale restano immutati, come immutati restano la natura ed i problemi dell’uomo, creatura ch’è al vertice della creazione divina, eppur sempre esposta alla drammatica possibilità del peccato. Ciò vuol dire che anche all’uomo d’oggi urge annunciare, inalterato nel suo contenuto, il kerigma di salvezza (ecco la predicazione); anche all’uomo peccatore urge offrire oggi lo strumento-sacramento della Riconciliazione (ecco la penitenza). Insomma, resta tuttora necessaria l’attività di evangelizzazione nella duplice direzione dell’annuncio e dell’offerta di salvezza.
Le celebrazioni antoniane, non saranno state soltanto una commemorazione, se in tutti voi sacerdoti, secolari o regolari, si svilupperà la coscienza di questi due ministeri irrinunciabili e preziosi, e se in voi laici si accrescerà il desiderio, anzi il bisogno di profittarne per il vostro spirituale progresso. Non è forse vero che tante volte una buona confessione si colloca in questo stesso processo come punto di partenza o di arrivo? Tutto ciò - notate - sempre nella linea evangelica della penitenza-conversione.
A Dio piacendo, nell’autunno del prossimo anno si terrà una nuova sessione del Sinodo dei Vescovi, che sarà dedicata alla penitenza ed alla riconciliazione. Dopo i grandi temi dell’evangelizzazione, della catechesi e della famiglia, è sembrato opportuno esaminare sotto tutti i suoi aspetti, non ultimo quello pastorale-sacramentale, questo grave argomento che impegna per tanta parte la vita e l’azione della Chiesa nel mondo.
In vista di tale evento ecclesiale, nella luce del Centenario Antoniano, a tutti voi qui presenti io dico di riflettere intorno al dono ineffabile della Riconciliazione: esorto i sacerdoti ad essere sempre ministri zelanti di essa (cf. 2 Cor 5, 18-19), come esorto i fedeli ad essere sempre disponibili e docili: “Lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5, 20).
Nelle celebrazioni dei santi che la Chiesa ha insignito del titolo di "dottori" della fede il Signore ci offre la grazia di ascoltare un insegnamento che può nutrire la nostra vita cristiana in un modo singolare. Antonio è stato chiamato "doctor evangelicus" [dottore evangelico] e S. Francesco riconobbe in lui singolare sapienza, poiché fu il primo cui affidò l’insegnamento della teologia ai suoi frati. Anche noi dunque questa sera vogliamo porci alla scuola di Antonio, ascoltando il suo insegnamento sulla persona e l’opera del nostro Salvatore, Gesù Cristo.
1. Fedele discepolo di Francesco, Antonio vede sempre Gesù il Cristo come il centro di tutta la realtà. "Il centro" egli scrive "è il posto che compete a Gesù: in cielo, nel grembo della Vergine, nella mangiatoia del gregge e sul patibolo della Croce … Sta al centro di ogni cuore; sta al centro perché da Lui, come dal centro, tutti i raggi della grazia si irradino verso di noi che camminiamo all’intorno e ci agitiamo alla periferia" [Sermone dell’Ottava di Pasqua 6; in S. Antonio da Padova. I Sermoni, ed. Messaggero, Padova 1996, pag. 229-230]. Quello che è il sole nel mondo fisico, è Cristo nel mondo delle persone: lui è la luce che dona la vita; lui è il fuoco che riscalda la freddezza del nostro cuore.
Volendo Antonio descrivere il modo con cui Cristo ha operato la nostra salvezza, con profonda commozione scrive: "Ci mostrò quindi le mani e il costato dicendo: Ecco le mani che vi hanno plasmato, come sono state trafitte dai chiodi; ecco il costato, come Eva fu procreata dal fianco di Adamo, ecco come è stato aperto dalla lancia per aprirvi la porta del paradiso, sbarrata dalla fiammeggiante spada del cherubino… Se farai bene attenzione a queste cose e le ascolterai, avrai pace con te stesso, o uomo" [ibid. pag. 231-232]. La contemplazione di Antonio, fedele discepolo in questo di Francesco, si fissa nella contemplazione della passione di Cristo, anzi anticipando in questo la spiritualità cristiana moderna – del costato aperto di Cristo. "La vita muore per i morti" dice "O occhi del nostro diletto chiusi nella morte! O volto, nel quale gli angeli bramano fissare lo sguardo, chino ed esangue! O labbra, favo di miele stillante parole di vita eterna, divenute livide! O capo, tremendo agli angeli, che pende reclinato! Quelle mani, al cui tocco scomparve la lebbra, fu restituita la vista perduta, fuggi il demonio, si moltiplicò il pane: quelle mani, ahimè, sono trafitte fai chiodi, sono bagnate di sangue!" [Sermone nella Cena del Signore 8; ibid. pag. 194].
Ciò che colpisce il cuore di Antonio nella continua meditazione sull’opera redentiva di Cristo, è la fatica che questa è costata al Redentore. "Agevole e facile" egli scrive "fu la creazione, che avvenne soltanto con una parola, anzi con la sola volontà di Dio, il cui dire è volere; ma la ri-creazione fu molto difficile, perché avvenne con la passione e morte … Nella creazione il Signore non ha faticato, perché "ha fatto tutte le cose che ha voluto"; ma nella ri-creazione faticò tanto che "il suo sudore fu come gocce di sangue che cadevano in terra"(Lc 22,44)" [Sermone della Domenica IV dopo Pasqua 5; ibid. pag. 291].
2. Antonio, dottore evangelico, ponendo al centro di tutto nella persona ed opera di Gesù Cristo, ci insegna anche una dottrina assai profonda sulla nostra persona: ci guida ad una nuova comprensione di noi stessi.
L’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio. In questa profonda verità sull’uomo, Antonio vede riassunta tutta la storia della nostra salvezza. "Considera" egli scrive "che l’immagine è triplice: l’immagine della creazione, nella quale l’uomo è stato creato, cioè la ragione: l’immagine della ri-crazione (nuova creazione), con la quale viene ricostruita l’immagine creata, cioè la grazia di Dio che viene infusa nella mente da rinnovare; l’immagine della somiglianza, per la quale l’uomo è stato fatto ad immagine e somiglianza di tutta la Trinità" [Sermone della Domenica XXIII dopo Pentecoste 10; ibid. pag. 853].
Alla scuola di Antonio poniamoci alla sequela di Cristo, nella quale solamente possiamo raggiungere la pienezza della nostra vita: "Su dunque" ci esorta il santo "carissimi fratelli, supplichiamo e imploriamo il nostro Salvatore, il Signore Gesù Cristo, perché voglia illuminare … la nostra anima con la sua effigie e con la sua luce, affinché, trasformati nell’anima e nel corpo, meritiamo di essere resi conformi alla sua luce nella gloria della risurrezione" [ibid. pag. 862].