Il Verbo fatto carne:
vita e luce degli uomini
La liturgia della seconda domenica dopo Natale c’invita ad una riflessione più approfondita sul mistero del Verbo di Dio fatto uomo. Come la Madre di Gesù tornava, con stupore sempre nuovo, al ricordo degli avvenimenti del primo Natale, così anche noi, oggi, vogliamo tornare a Betlemme, sostare ancora una volta davanti al Bambino e, illuminati dalla luce della fede, chiederci: quale ineffabile mistero nasconde la nascita di Gesù? Chi è quel Bambino che vediamo giacere nella mangiatoia povero, debole e bisognoso di tutto? Qual è la sua origine?
Riflettiamo e meditiamo con il cuore di Maria. Ci aiuta in questo San Giovanni evangelista, colui che posò il capo sul petto, sul Cuore di Gesù. San Giovanni è stato definito «il teologo», colui che più di tutti è penetrato nel mistero di Gesù Cristo e lo ha contemplato con profondità d'intuizione e di comprensione. Per questo, fin dalla più remota antichità cristiana, il quarto evangelista fu simboleggiato nell'aquila, l'uccello che vola alto nel cielo, vive sulle alte montagne ed è dotato di una vista molto acuta. Inoltre San Giovanni ebbe il privilegio d’accogliere Maria nella sua casa e quindi conoscere ed approfondire tante cose di Gesù, tramite la bocca e la sapienza di Maria.
La preesistenza del Verbo
Tra gli scritti del Nuovo Testamento il Vangelo di Giovanni è stato definito la perla d'immenso valore; ma si può altresì dire che «il Prologo [che abbiamo sentito nel Vangelo di oggi]è la perla all'interno di questo Vangelo». Lo scritto di san Giovanni ci mette, fin dall'inizio, dinanzi alla profondità abissale del mistero di Gesù: Gesù Cristo è la Parola (Logos) eterna del Padre, che si è fatta carne e ha rivelato visibilmente il mistero invisibile di Dio (Gv 1, 1-18).
Infatti leggiamo: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio» (Gv1, 1-2). Queste affermazioni rivelano la preesistenza del Verbo (Logos), la sua persona e natura divina, esistente anteriormente ad ogni opera della creazione. «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1), rimanda al primo capitolo della Genesi che rivela la creazione del mondo e di tutti gli esseri da parte di Dio: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1, 1). Quel che viene rivelato è che presso Dio Padre, già prima della creazione dell'universo e di qualunque essere creato, esisteva («era») il Verbo: la Parola esisteva ed esiste da sempre. L'Antico Testamento conosceva già il tema della Parola di Dio e della sua Sapienza, esistenti in Dio prima della creazione del mondo. Il brano sapienziale della prima lettura della messa odierna lo attesta: «Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo e ho ricoperto come una nube la terra. Ho posto la mia dimora lassù, il mio trono su, una colonna di nubi ( ... ). Prima dei secoli, fin da principio, egli mi creò» (Sir 24, 3-4.9).
La Sapienza appare qui distinta da Dio e intimamente unita a lui; fra Dio e gli uomini essa fa da tramite della creazione del mondo e della rivelazione della volontà divina. Nel Nuovo Testamento spetta all'evangelista Giovanni, grazie all'evento dell'incarnazione del Verbo (Gv 1, 14), rivelare pienamente la natura personale di questa Sapienza o Parola di Dio, preesistente in Dio ed eterna come Dio. Nello stesso prologo del quarto Vangelo viene rivelato che questa Parola è il Figlio unigenito, esistente da sempre nel Padre e «rivolto» al suo seno (1, 18). La stessa Parola eterna, che si fa uomo, assume - a seguito dell'incarnazione - il nome storico di Gesù Cristo (1, 17).
Quindi, il personaggio storico e concreto di Gesù Cristo è lo stesso Figlio di Dio, è «un Dio Figlio unico», coeterno come il Padre, l'amato Figlio del Padre. Egli è divenuto uomo ed è venuto nel mondo, per stabilire la sua dimora in mezzo agli uomini. Proprio nella sua umanità concreta e storica, Gesù Cristo, cioè il Figlio- unigenito del Padre, ci ha fatto conoscere il mistero inaccessibile di Dio; egli ci ha rivelato visibilmente il Dio invisibile e incomprensibile all'uomo. L'uomo Gesù Cristo, proprio in quanto è la Parola eterna del Padre, è l'espressione visibile di Dio. Questo è quanto afferma la finale del prologo dicendo: «Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1, 18). Solo Gesù Cristo, e nessun altro, è la rivelazione piena e definitiva di Dio. Il contenuto essenziale di questa rivelazione è il mistero della persona di Gesù: manifestando se stesso quale Figlio unico ed eterno di Dio, Gesù ha fatto conoscere anche il Padre al quale egli è indissolubilmente unito nell'essere e nell'operare.
Il Verbo: vita e luce degli uomini
Dopo aver presentato il Verbo nella sua preesistenza come persona distinta da Dio ed esistente da tutta l'eternità nella sfera del divino, san Giovanni parla dello stesso Verbo quale mediatore della creazione del mondo e ricreazione del mondo, con l’opera della redenzione: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1, 3). E la rivelazione divina del Verbo è annunciata attraverso due grandi simboli, che costituiranno due temi centrali dell'intero Vangelo di san Giovanni. Tali simboli, indicanti la natura divina del Verbo eterno e incarnato, sono: la vita e la luce:
«In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta. ( ... ) Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1, 4-5.9).
Con questi due simboli vita e luce si tocca un vertice altissimo nella designazione della persona divina del Verbo e nella sua funzione rivelatrice del mistero trinitario di Dio, per la salvezza del mondo. Gesù infatti non è semplicemente colui che ha la vita, ma «egli è la vita» (Gv 1, 4); così pure, Gesù non è un «illuminato» o ispirato come Budda e i profeti, ma egli è «la luce vera» (1, 9) che dona agli uomini «la luce della vita» (8, 12). Infatti, l'inno cristologico del prologo attribuisce al Logos «la capacità di donare agli uomini luce e vita divine; ma egli non è una potenza o una figura mitica, bensì una persona divina, che poi si è fatta uomo in Gesù Cristo per adempiere il suo compito a favore degli uomini caduti nel peccato e nelle tenebre».
Gesù è la vita personificata: «Io sono la vita» (Gv 14, 6); il Cristo è «sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (4, 14), è «il pane della vita» e «se uno mangia di questo pane vivrà in eterno» (6, 48-5 1). Gesù dimostra di essere la sorgente della vita e il datore di essa col grande miracolo della risurrezione di Lazzaro. Alla sua parola di autorivelazione: «Io sono la risurrezione e la vita» (11, 25), il Cristo fa seguire l'azione con cui risuscita Lazzaro, ridando vita a un cadavere. Nel modo più vigoroso e plastico Gesù dimostra che le sue parole «sono spirito e vita» (6, 63).
La stessa identificazione personale Gesù dimostra, in parola e in azione, con la realtà della «luce» della salvezza: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8, 12); «Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre» (12, 46). Anche in questo caso, mentre si definisce «la luce del mondo» (9,5), Gesù dimostra col miracolo straordinario della guarigione del cieco nato di essere «la vera luce», sorgente di vita e di speranza per quanti credono in lui, ne ascoltano la parola e lo seguono.
La fede come risposta a Gesù, vita e luce
Il dono della vita eterna, cioè la partecipazione degli uomini alla pienezza della vita di Dio, la salvezza dell’uomo, del mondo è lo scopo primario dell'incarnazione del Verbo, della rivelazione trinitaria fatta dal Figlio di Dio nella sua missione storica nel mondo. Come si legge nei primi capitoli dello stesso quarto Vangelo, «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare (consegnando alla morte di croce) il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3, 16 s). San Giovanni richiama nel suo scritto il piano originario di Dio, lo scopo essenziale dell'incarnazione redentrice. A quest’opera di salvezza si richiede da parte nostra e di tutta l’umanità un’accoglienza, una risposta di fede e di opere.
Fede e vita sono legate in modo indissolubile. La fede è l'apertura dell'uomo all'onnipotenza di Dio. La fede è la premessa perché l'uomo, peccatore e mortale, possa entrare in comunione con Dio, rivelato dal Figlio, Gesù Cristo. Tale partecipazione del credente alla vita divina non inizia semplicemente dopo la morte, nell'aldilà, ma già nell'oggi della fede: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (17, 3); «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita» (3, 36). La necessità della fede nel mistero della persona di Gesù, per poter entrare nel regno della vita divina, può essere compendiata con le stesse parole solenni del Cristo in occasione del miracolo della risurrezione di Lazzaro: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» (11, 25 s).
Ma dinanzi al dono della vita, come all'apparire della luce, che è Cristo, gli uomini si dividono. Dal prologo - e per tutto il quarto Vangelo,– affiora una tensione antitetica tra luce e tenebre: «La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta» (1, 5; cfr 1, 10-13; 3, 19-21; 9, 39-41).
Questa tensione tra luce e tenebre, tra il Regno di Dio e il dominio del male, sembra essersi fatta ancor più drammatica nel tempo presente. La nostra società contemporanea è attraversata da paurosi segni di morte e del peccato: corsa agli armamenti, nuove guerre, indigenza e fame per milioni di esseri umani, aborto, eutanasia, la «peste» dell'AIDS, soprattutto la perdita del senso del peccato. Nonostante il grandioso progresso tecnico e scientifico, oggi «l'uomo è minacciato, l'umanità è minacciata» (GiOVANNI PAOLO Il, Dominum et vivificantem, n. 65; cfr n. 57).
E questo è il dramma che si svolge ogni giorno. Tuttavia, continua il Vangelo di oggi: “A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” perché “da Dio sono stati generati” (Gv 1,12). Ecco, in definitiva, la ragione ultima della venuta di Dio in mezzo a noi e di tutto il mistero della salvezza: rendere l’uomo figlio di Dio. E’ questa una realtà così incredibile per la mente dell’uomo da sembrare impensabile e assurda. (S. Alfonso, infatti, osserva che essa supera di molto anche l’immaginazione delle antiche mitologie).
Sta a noi accogliere Gesù, il Verbo di Dio accoglierlo nella nostra mente e nel nostro cuore, evitando ogni peccato, vivendo quindi da veri figli di Dio.
Ci aiuti la Madonna, la Madre del Verbo Incarnato, la Stella del mattino, Lei che porta la Luce e la Vita in Gesù Cristo. Maria infatti come la “Stella del mattino” brilla “su tutta la creazione”, ossia sulla creazione che è stata fatta per il suo Figlio divino e per Lei, poiché anche Lei è stata voluta dal Padre unita al Figlio in un «unico e identico decreto», secondo la Bolla di definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione, del beato papa Pio IX. La Creazione, l’Incarnazione, la Redenzione, la Glorificazione, in realtà, dipendono da quell’unico e identico decreto fatto per Cristo e fatto per Maria quale Immacolata Madre di Dio, e per questo, come dice Padre Pio, è bene affermare che «tutte le cose si riferiscono a Lei e ogni grazia passa per le sue mani».
Anche San Luigi M. Grignion de Montfort sostiene fortemente la presenza di Maria vicino a Cristo non solo in vista dell’Incarnazione, ma anche della Redenzione. Così egli commenta il brano citato del Siracide nella prima lettura: «Dio Padre vuol avere figli per mezzo di Maria sino alla fine del mondo e le dice: “Fissa la tua tenda in Giacobbe”, e cioè fissa la tua dimora e residenza tra i miei figli e predestinati, simboleggiati da Giacobbe, e non tra i figli del demonio e i riprovati, raffigurati da Esaù. Come nella generazione naturale e fisica c’è un padre ed una madre, così nella generazione soprannaturale e spirituale c’è un padre che è Dio e una madre che è Maria. Tutti i veri figli di Dio e predestinati hanno Dio per padre e Maria per madre; e chi non ha Maria per madre non ha Dio per Padre. Per questo i reprobi, come gli eretici, gli scismatici, che odiano o considerano con disprezzo o indifferenza la Santissima Vergine, non hanno Dio per padre – anche se se ne vantano –appunto perché non hanno Maria per Madre».
All’Immacolata Madre di Dio e Madre nostra, quindi, noi dobbiamo riferirci e sempre ricorrere per ottenere tutti i beni che ci occorrono, per ricevere tutte le grazie necessarie e utili alla nostra salvezza e santificazione, a gloria di Dio e dell’Immacolata.